Blog del Cardinal Borromeo

Milano, mercoledì 16 dicembre 1628 (Mauro Beatrice)

Ho deciso di intraprendere la trascrizione delle mie memorie, ma prima ci tengo a esporre un po’ della mia storia. Il mio nome è Federigo e porto il cognome di una nobile familglia: i Borromeo. Tutti mi considerano un uomo di rara virtù e intelligenza che impiego nella ricerca del bene.

Fin dall’infanzia presi sul serio gli insegnamenti cristiani e decisi di seguirli, infatti, all’età di 16 anni, entrai nel collegio di Borromeo di Pavia, che fondò mio cugino Carlo. Lì, oltre a seguire la regola ecclesiastica, insegnai la dottrina  cristiana al popolo di Pavia. Non mi è mai piaciuto approfittarmene della situazione economica favorevole, anzi, sto rifiutando ancora oggi  tutti i vantaggi che la mia famiglia mi offre. Mi opposi persino ad un insegnamento che mi avrebbe permesso di distinguermi nella società.  Sono un uomo umile e amante della cultura, infatti un paio di anni fa fondai a Milano la biblioteca Ambrosiana fornendola di 30 mila libri di cultura orientale, e la riempii di esperti insegnanti.

Sostengo  l’uguaglianza e la pace tra tutti gli uomini, infatti considero l’elemosina un dovere, mi sento realizzato nell’aiutare gli altri e poi… Dio sicuramente riconoscerà quello che faccio nei confronti dei più bisognosi e, se avrò bisogno, mi saprà aiutare nello stesso modo. Nel 1594 morì mio cugino Carlo che mi sostenne in tutte le mie avventure e decisioni all’interno della Chiesa; alla sua morte tutti volevano e credevano che sarei stato io a prendere il suo posto ma io rifiutai poichè non mi ritenevo degno di un incarico così ambito e pericoloso al tempo stesso. Successivamente, nel 1595, Papa Clemente VIII mi propose l’incarico di Arcivescovo di Milano: io dapprima rifiutai per poi ubbidire  all’espresso ordine del Papa. Sto scrivendo molte opere morali, storiche, religiose e letterarie in lingua latina e italiana. Chissà, magari quando la mia anima sarà nelle mani dell’Alti ssimo queste verranno inserite nella biblioteca da me fondata.

Milano, Giovedì 17 dicembre 1628 (Mauro Beatrice)

Oggi la mia solita routine della domenica mattina è stata interrotta da un incontro con una persona molto particolare; una folla enorme per strada mi voleva incontrare. Mentre mi stavo dedicando agli ufizi divini e la strada era piena di gente che mi voleva vedere si è presentato a me il cappellano che presentava un viso turbato dicendomi che un “signore” chiedeva di essere ricevuto. Ho capito subito il motivo  di quell’espressione, smentendo ogni mia aspettativa, l’ospite che voleva incontrarmi era l’Innominato!!! Varcata la porta siamo rimasti uno di fronte all’altro per un po’ di tempo senza dire nulla. Costui era considerato un criminale dalla faccia cattiva ma questa mattina aveva il volto diverso dal solito: sembrava straziato e tormentato. Nonostante sapessi della sua reputazione nella societá non mi sono fatto intimorire e ho fatto tre passi avanti verso di lui per accoglierlo nel migliore dei modi. Se avesse avuto brutte intenzioni avrei fatto giustizia alla grazia divina e alla speranza della vita eterna. Con molta cautela ho fatto io la prima mossa domandandogli  la ragione di questa visita. Mi diceva che aveva il cuore oppresso e, a seguito di una profonda maturazione della sua coscienza e una notte tormentata da mille pensieri, avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare di tutto il male che aveva inflitto a tutti i poveri innocenti. Ero stupito, e non poco, sentendo proferire queste parole di pentimento dall’uomo considerato “Il Criminale”. A quel punto gli ho detto: “Dio solo può perdonarvi  e salvarvi! Se io sono preoccupato per la vostra salvezza pensate qual è l’amore di Dio per voi. Dio può fare di voi un esempio della sua gloria per tutti gli uomini”.  

La sua espressione era cambiata, era stato colpito dalla provvidenza  divina, il suo sguardo aveva gli occhi in lacrime dalla contentezza. Mentre piangeva sulla mia spalla mi diceva che non aveva mai provato sensazione più bella di quella che provava adesso: rimpiangeva tutte le azioni per cui poteva solo pentirsi ma almeno adesso avrebbe potuto interrompere quelle messe in programma. Mi ha raccontato della prepotenza che stava per fare a una giovine che ora si trovava al castello dell’Innominato e, che voleva liberare all’istante. Ho incaricato subito il cappellano di chiamare nella stanza in cui ero il parroco del paese e il parroco del paesello nel quale risiedeva la povera perseguitata. Il primo venne subito avanti mentre il secondo veniva controvoglia. Mentre incaricavo il parroco del paese di far chiamare qualche buona donna, che lo avrebbe accompagnato a prendere Lucia al castello, ordinavo di far preparare subito una lettiga e due mule per Don Abbondio. Ho rassicurato quest’ultimo dicendogli: “Consoleremo questa povera giovane e faremo il suo benessere”.

Ora si è fatto tardi, vado a pregare l’Altissimo di accompagnarmi in questa avventura e domattina proseguiró la trascrizione del mio diario personale.

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