BLOG SULLA PESTE NERA

 

Milano, autunno del 1629 (Martina Trucco)

i Lanzichenecchi, soldati arruolati da legioni tedesche, penetrati attraverso la Valtellina, sono giunti fino a Mantova e l’hanno assediata. Purtroppo con il loro arrivo si è sviluppata una terribile epidemia di peste: Quasi  tutta la Lombardia e Milano sono contagiate.

Io mi chiamo Alessandro e sono un mercante milanese, dunque non me ne intendo molto della questione, ma parlando con la gente della città durante i miei viaggi ho scoperto che la peste è una malattia infettiva che sta decimando la popolazione.  Quest’epidemia si è propagata molto facilmente soprattutto perché Milano in questo periodo è una città molto povera a causa dell’ultima carestia per la guerra del pane e la gente è debole, sfinita.

Un famoso medico di cui ho sentito parlare è Lodovico Settala, che ha provato ad informare il Tribunale di Sanità che la peste si sta diffondendo in tutto il territorio;  alcuni funzionari si sono recati in vari paesi del territorio di Lecco riscontrando molti casi di contagio, a quel punto, le autorità di Milano hanno iniziato a formare un cordone sanitario attorno alla città, per impedire alle persone provenienti dai paesi in cui sono stati registrati casi di malattia di entrare a Milano, ma questa prevenzione è stata applicata troppo tardi, e ora tutta la città è infetta.

 

Milano, 11 Dicembre 1629 (Martina Trucco)

Arrivo alle porte della città, la nebbia rende l’atmosfera ancora più lugubre e terrificante; da lontano intravedo delle ombre che si avvicinano nel viale. Poi sento un suono particolare come di campanelli che si avvicinano sempre di più, le sagome si fanno più nitide: sono quattro persone vestite di stracci con ai piedi delle cavigliere con dei sonagli: trascinano faticosamente un carretto con i cadaveri di decine di infelici. Mi ricordo che qualcuno mi ha parlato dei “Monatti”, devono essere loro, quindi cerco riparo perché temo il contagio. Queste persone fanno tale lavoro per recuperare di casa in casa i corpi dei morti. Mi riparo in un uscio e intanto osservo la scena: da una delle porte si affaccia una donna pallida che sorregge un piccolo corpicino,- sicuramente è sua figlia-  gli individui del carretto si avvicinano a lei la salutano e la chiamano Cecilia. Questa donna non consegna  il corpo di sua figlia, ma lo ripone lei stessa con tutto l’amore possibile. Aspetto che il carretto vada via, poi ritorno a camminare: le vie sono deserte, solo qua e là si sentono voci sommesse e a tratti urla e grida; le case hanno tutte le finestre sbarrate. Forse gli abitanti non esistono più o forse sono dentro malati, la vita in città sembra essersi fermata, i forni sono fermi, non c’è più pane: si combatte anche per la fame e non solo contro la peste.

Le poche persone che incontro mi guardano con diffidenza, non è rimasto più nulla della meravigliosa città che avevo incontrato qualche anno fa. Mi chiedo se saranno tutti morti o qualcuno si sarà salvato.

Poco oltre incontro una vecchietta, confido nella sua saggezza e nella sua pazienza, e le chiedo dov’è tutta la gente, ma quella mi risponde che chi è sopravvissuto se n’è andato via dalla città oppure sta aiutando i malati. Quest’ultimi sono stati portati in un luogo chiamato Lazzaretto: è una costruzione quadrangolare molto vasta in cui si rifugiano i malati. Alcuni di loro sopravvivono e diventano immuni alla malattia, la maggior parte invece muore. Nessuno sa di preciso come avvenga il contagio: c’è invece chi pensa che ci siano delle persone chiamate “Untori” che infettano le porte delle case strofinandoci sopra i vestiti dei malati perché lo facciano non lo so.

Mi rendo conto che non potrò più fare il mercante perché in questa città il commercio è ormai fermo, decido quindi di andare a visitare il Lazzaretto, e trovo un uomo con la barba bianca e vestito da frate che aiuta i più deboli, e con questa immagine mi allontano per timore che la malattia mi possa contagiare.

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