Blog dell’avvocato Azzeccagarbugli

Lecco,Mercoledì 8 Novembre 1628, ore 21.00 (Alessia Paschetta)

Caro diario questa mattina stavo controllando l’ennesima grida nel mio studio con dosso la mia solita toga consulta,quando sento degli strani versi e la mia serva che,con un tono scocciato e duro,dice:”date qui e andate inanzi”. Allora uscito dal mio studio, un po’ disordinato e impolverato, vidi quello che ai miei occhi era palesemente un bravo,che si era tagliato il ciuffo per rendersi meno riconoscibile (che astuzia!) e che si inchinava dinanzi a me, con a fianco la mia serva con quattro capponi in mano.

L’avvocato Azzecca-Garbugli

Lo feci entrare e subito ho notato che il giovane si guardava in torno con aria disorientata, ma speranzosa; allora gli ho chiesto il motivo della sua vista ed egli subito inizia a scusarsi per il suo linguaggio da “poveraccio “(cosa che ormai sta diventando una consuetudine e per cui ogni volta devo fingere compassione per questa fascia di società analfabeta o quasi) e mi chiese, dopo un po’ di insistenza da parte mia per farmi raccontare il fatto e lasciare perdere le scuse, se minacciare un curato,perché non vuole celebrare un matrimonio, fosse un reato penale.

Io subito non ho capito, infatti ho preso tempo giocando con le mie labbra, poi mi sono ricordato di quella grida fresca fresca che avevo messo qualche giorno fa in quel mucchio di gride polverose sul mobile dietro la scrivania, quindi mi sono alzato e l’ho presa. Il poveretto mi faceva quasi compassione, infatti mi è venuto quasi naturale chiamarlo figliuolo e gli ho chiesto se sapesse leggere, cosi’ potevamo analizzare insieme il suo caso. Lui mi ha risposto che se la cavava, ma non era bravissimo; allora ho iniziato a leggere la grida che sembrava essere fatta apposta per il “poverello”, dopo di che ho iniziato a complimentarmi con lui “per il travestimento”,però anche un po’ infastidito, gli ho chiesto di spiegarmi dettagliatamente il motivo della sua visita e per rassicurarlo gli ho detto che comunque io ho cavato altri imbrogli peggiori di una minaccia a un curato o una persona importante. Lui subito mi rispose che non è lui che ha minacciato, ma bensì era lui stesso la vittima.

L’avvocato Azzecca-Garbugli e Renzo

Allora lì ho capito tutto il malinteso che c è stato fra me e quel ragazzo!

Quindi con voce scocciata e arrabbiata gli ho chiesto di chiarire le cose. Dunque inizia raccontare e io inizio a capire che non erano faccende da Azzecca-Garbugli, avrei rischiato troppo… .

Così ho deciso di lavarmene le mani e cacciarlo dal mio studio,sminuendo il suo caso.

Il bello è che il giovane ha continuato a insiste,quindi mi sono innervosito ancora di più, ho chiamato la serva per dargli indietro le bestie e l’ho cacciato!

Non mi era mai capitato di scambiare un giovane di buona fede per un bravo,ma che giornata!

Lecco,Giovedì 9 novembre 1628, ore 23.50(Paschetta Alessia)

Caro diario oggi, dopo aver passato una comune giornata in studio, sono stato invitato a cena da don rodrigo nel suo palazzotto. Allora chiuso lo studio per le 18 ho iniziato a prepararmi, così che per le 19.00 sono partito.

Arrivato sulla collina del palazzotto, da dove potevo vedere tutta Olata, mi sono diretto verso l’entrata e sul portone d’ingresso ho notato subito due avvolto inchiodati ad esso. Che inquietudine! Oltre a quel “benvenuto” ho visto subito la polvere e lo sporco del suo castello, ma dal tronde dovevo immaginarlo già dall’esterno dove c’erano pale e rastrelli buttati a caso e due bravi con aria stanca e scocciata fuori a fare come da guardia. Oltre a me, poco dopo, è arrivato il Podestà, il cugino del padrone, Attilio e altri due convivianti, di cui neanche mi ricordo il nome.

Cena nel palazzotto di Don Rodrigo

Ci siamo seduti subito a tavola e verso le 20 la cena è stata servita. Penso di non aver mai mangiato cosí male in tutta la mia vita, infatti la carne era scotta, la Verdura era stopposa e il pane duro.

In piú, perché tutto ciò non bastava a rovinare la serata, dovevamo parlare di una faccenda noiosissima di cavalleria, ma a un certo punto è arrivato un servo con un frate che don rodrigo, un po’ spaventato, fa sedere al tavolo con noi. Dopo abbiamo cambiato discorso e abbiamo iniziato a parlare di politica e della guerra di successione del ducato di Mantova allora, dato che l argomento mi sembrava troppo pesante e noioso ho proposto un brindisi per il duca d’Olivares e a cui ha partecipato anche il frate.

Dopo il mio brindisi l argomento della cena è cambiato di nuovo, infatti abbiamo iniziato a parlare della carestia, però non so bene cosa sia successo, so solo che a un certo punto Don Rodrigo si allonta con il frate ed è tornato  10 minuti dopo solo e  con aria scocciata e spaventata.

Dopo questo piccolo inconveniente la noiosa serata e andata avanti fra chiacchiere inutili e bicchieri di vino.

Adesso sono nel letto con la luce della candela che sto pensando a che pessima serata è stata questa.

Promemoria: non andare a mangiare mai più nel palazzotto di Don Rodrigo.

Blog di Fra Cristoforo

Lecco, 8 Novembre 1628 (Scalzo Rossella)

Mi chiamo Lodovico e sono qui a scrivere la prima pagina del mio diario per poter manifestare le mie emozioni.

Sono figlio di un ricco mercante di *** che dopo aver accumulato molte ricchezze, decise di lasciare da parte il commercio per dedicarsi ad una vita agiata.

Mio padre voleva far dimenticare il suo passato di un uomo povero e studiava tutti i modi di far dimenticare ch’era stato mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui.

Io sono stato educato nel lusso, secondo l’arte della cavalleria, e sono abituato ad esser trattato con molto rispetto, circondato da adulatori.

Tuttavia, i potenti del luogo mi tengono in disparte e il mio carattere acceso mi ha portato a voler diventare una sorta di protettore degli oppressi. Prendo volentieri le parte dei deboli e cerco di tenere a freno i soverchiatori, ma per fare questo mi sono dovuto circondare di bravi, andando contro la mia coscienza.

Tutto filava liscio quando stamattina, mentre sto passeggiando per una strada della mia città, accompagnato da due bravi e dal mio fedele servitore Cristoforo, vedo spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non ho mai parlato ma che mi è cordiale nemico. Quando ci incrociamo mi dice:”Fate luogo”. Io rispondo che la precedenza è la mia e lui  risponde all’istante in modo arrogante. 

 Iniziamo a litigare fino ad arrivare alle armi e, mentre io cerco di scansare i colpi, lui cerca di uccidermi.

Cristoforo, il mio fedele servitore vedendomi ferito, viene in mio soccorso e si scaglia contro il nemico che, con una spada in mano, lo trafigge.

Io, vedendo Cristoforo a terra, con tutta la mia ira colpisco l’avversario al ventre e quello cade. I suoi bravi scappano e lo lasciano solo: rimaniamo io e i due defunti in mezzo ad una folla che si è fermata per assistere al duello.

Ora mentre scrivo, sono ricoverato nel vicino convento dei Cappuccini dove mi sono rifugiato e sto ripensando all’accaduto. Mi sento molto in colpa per la morte del mio servo, così ho deciso di chiamare un frate per cercare la vedova di Cristoforo e per dirle che provvederò io al mantenimento della famiglia.

L’antico pensiero di farmi frate è ritornato alla mia mente e, con questo segno divino, ho deciso di entrare nell’ordine dei Cappuccini, con il nuovo nome di Cristoforo.

La famiglia dell’assassino, nel frattempo, desidera far giustizia dell’ucciso, ma io vorrei chiedere il perdono e scusarmi per il gesto violento, così che mi recherò da loro e chiederò perdono.

Mi reco a casa della famiglia dell’ucciso.

Attraverso il cortile con una folla che mi squadra con una curiosità poco cerimoniosa e, seguito da un centinaio di sguardi, giungo alla presenza del padrone di casa.

Questo, circondato dai suoi parenti ha lo sguardo a terra e con la mano sinistra impugna il pomo della spada.

Io mi inginocchio e con un gesto umile invoco il perdono della famiglia che, mossa dalla commozione, mi perdona e mi offre il rinfresco. Io per non rifiutare i suoi doni chiedo un pane come pegno, lo saluto e mi reco verso l’uscita. Mentre la famiglia continua a festeggiare, abbandono la città pronto ad iniziare una nuova vita, più umile e meno ribelle.

 La nostra storia nota espressamente che, da quel giorno in poi, quel signore fu un po’ men precipitoso e un po’ più alla mano.  (Alessandro Manzoni)

 

Lecco, 9 Novembre 1628, al mattino. (Scalzo Rossella)

Appena arrivato a casa di Lucia mi accorgo che i miei presentimenti non erano falsi: guardando le due donne capisco che è successo qualcosa di grave.

Lucia scoppia a piangere e io cerco di tranquillizzarla, mentre chiedo ad Agnese di raccontarmi cos’è successo. Lei inizia la sua dolorosa relazione e io cerco di trattenermi.

Appoggio il gomito sinistro sul ginocchio, chino la fronte nella palma e con la destra stringo la barba e il mento come per tenere ferme e unite tutte le potenze dell’anima.

Penso a diverse ipotesi: mettere un po’ di vergogna a Don Abbondio e fargli sentire quanto manchi al suo dovere, informar di tutto il cardinal Arcivescolo, e invocar la sua autorità, oppure tirare dalla mia parte i miei confratelli di Milano.

Alla fine decido di affrontare io stesso Don Rodrigo per tentar di smuoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere, coi terrori dell’altra vita, anche di questa, se sia possibile.

Nel frattempo arriva Renzo che si ferma sulla soglia in silenzio.

Quando alzo lo sguardo per comunicare alle donne il mio progetto mi accorgo di lui e lo saluto. Renzo, prima commosso e poi infuriato, racconta del suo progetto di affrontare Don Rodrigo ma io lo afferro fortemente al braccio e gli faccio promettere che non provocherà nessuno e che si lascerà guidare da me.

Io cerco di tranquillizzarlo comunicando che andrò io stesso da lì a poco a parlare di persona a Don Rodrigo.

Detto questo, tronco i ringraziamenti e le benedizioni e mi avvio verso il convento per cantare le preghiere del mezzogiorno, poi mi metto in cammino per andare verso il covile della fiera che volevo provare ad ammansare…

 

Lecco, 9 Novembre 1628 (Nicotra Gaia)

Mentre mi avvicino al castelletto di Don Rodrigo, attraverso le strade del paese, mi rendo conto che tutti gli abitanti hanno connotati somatici inquietanti, dalle donne ai bambini: i volti sono arroganti e le espressioni maleducate.

Intravedo l’uscio presidiato da due energumeni di guardie e su di esso vedo  scolpite due teste di avvoltoi. L’edificio sembra abbandonato, le finestre sono serrate da inferriate possenti, l’atmosfera è tutt’altro che lieve, si odono cani abbaiare ferocemente. Una delle due guardie, riconoscendo il mio abito, mi degna di attenzione e mi permette di entrare. Vengo accompagnato in una sala dalla quale si sentono commensali in festa; mi annunciano, entro, un’atmosfera di disagio mi assale: è in corso una discussione su tematiche letterarie, mi vogliono coinvolgere ma cerco di evitare ogni domanda. Infastidito da ciò, Don Rodrigo quasi con tono di minaccia, mi ricorda che in fondo sa benissimo che non sono sempre stato un religioso ma un uomo di mondo e a questo punto vorrei rispondere, ma preferisco tacere ricordandomi il motivo per cui mi sono recato in questo luogo.

La discussione poi riprende, questa volta il soggetto è la successione al Ducato di Mantova, che io ascolto in silenzio, non voglio partecipare, mi sembra don Rodrigo che si stia perdendo tempo per non avere un colloquio privato con me. Me ne sto zitto in un angolo, paziente, non posso andarmene senza essere stato ascoltato, prima o poi qualcuno smetterà di parlare … Ecco! Don Rodrigo incrocia il mio sguardo, forse mi concede udienza, si alza, si avvicina e mi fa cenno di seguirlo in un’altra sala. conduce in un’ altra sala.

Don Rodrigo si mette zitto in mezzo alla stanza e mi chiede con tono deciso e quasi irriverente:  “In che cosa posso ubbidirla?”

Giro e rigiro la corona del rosario tra le mie mani cercando frasi da pronunciare o meglio cercando di non far uscire quelle che avrei voluto pronunciare, ma che non erano adatte al fine che mi ero proposto; cosi decido di venire al dunque e di chiedere un atto di carità, vale a dire di lasciare in pace Renzo e Lucia. Don Rodrigo mi risponde stizzito, dicendo di non amare chi fa leva sui sentimenti di coscienza e onore e che ha molto rispetto del mio abito ma che potrebbe dimenticarsene. Cerco di rimediare solleticando  l’ego di questo uomo  dice:  “Una parola di lei può far tutto”.  Don Rodrigo mi risponde: “Ebbene” e per un attimo spero  abbia deciso di lasciare libera Lucia, invece rigira il discorso dicendomi di portargliela in modo che possa proteggerla.

A questo punto non ce la faccio più ed esplodo dicendo: ” La vostra protezione! E’ meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatto a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.”

Inizio a dire che la sua casa sarà maledetta e termino dicendo: “Verrà un giorno…”

Don Rodrigo davanti a me rimane stupefatto, mi sembra impaurito, poi grida forte di levarmi dai piedi, mi indica la porta e io me ne vado.

Uscendo il vecchio guardiano, mi si avvicina e portandosi un dito alla bocca mi sussurra: “Padre ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle” spero di avere qualche risposta subito, invece quello mi propone un incontro in un luogo più sicuro nei giorni seguenti.

Milano,  24 Agosto 1630 (Nicotra Gaia)

Mi trovo nel lazzeretto, un recinto quadrilatero fuori dalla città di Milano destinato agli appestati, mi guardo intorno e vedo solamente uomini malati, con gli occhi che urlano sofferenza e dolore, uno di essi mi si avvicina e mi chiede aiuto, un aiuto fatto solo di parole e comprensione… nulla può guarirlo.

Mentre mi aggiro tra le baracche piene di paglia putrida e fetente con la scodella in mano, mi fermo all’uscio di una di esse, mi siedo e sento una voce, una voce familiare; poso in terra la scodella e mi alzo con difficoltà, rimango meravigliato da quell’uomo che riconosco essere Renzo, “come sta padre? Come sta?” mi domanda. Rispondo, ancora sorpreso: “Meglio di tanti poverini che tu vedi qui” . Gli chiedo di Lucia e mi dice che non è ancora sua moglie e la sta cercando, spera di trovarla proprio lì.

Mi ritiro con lui in un posto appartato,  gli procuro un pasto caldo e gli chiedo di raccontarmi cosa è successo; tra una cucchiaiata e l’altra, Renzo mi racconta di Lucia del suo rapimento e della sua clausura nel Monastero di Monza; mi racconta di essere stato anche a Milano ma di non averla trovata.

Gli dico che le donne nel lazzeretto sono divise dagli uomini ed è proibito incontrarsi.

Mi dice che sono venti mesi che la cerca e gli indico di rivolgersi a Padre Felice, il frate cappuccino del lazzeretto, perché proprio oggi avverrà l’incontro di tutti i superstiti. Quindi gli consiglio di intrufolarsi quando ci sarà il rintocco delle campane e cercare di scorgere il volto di Lucia. Spero prima di morire di sapere che lei sia viva … L’afferro per un braccio e lo sposto dicendogli che non ho tempo di dargli retta e ascoltare i suoi desideri di vendetta. Ma decido di prenderlo per mano e lo conduco in una stanza, all’interno della quale riposa un uomo in fin di vita: Don Rodrigo. Glielo indico e voglio che lo guardi, lo induco a perdonare ” forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipendono ora da te, da un sentimento di perdono, di compassione…d’amore!”

Renzo giunge le mani e china il viso su di esse, usciamo dalla stanza, io  mi avvio lentamente e dolorante con il pensiero di poterlo incontrare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Blog di Agnese

Mercoledì 8 Novembre 1628. ( federica )

Io sono Agnese, la madre della famosa Lucia Mondella di cui tutti parlano; bravissima ragazza mia figlia, ma ora non siamo qui per parlare di lei, io sono una donna molto furba e molti dicono che io non sia così colta ma a parer mio non è  vero, infatti a Lucia e al suo futuro marito do sempre ottimi consigli.

Quando Renzo informò anche me della notizia non ci potevo credere! Lucia e Renzo non si potevano sposare per colpa di un ignorante Signorotto che si era invaghito di mia figlia. Non poteva accadere una cosa simile, dovevo pensare a qualcosa e anche in fretta prima che succedesse qualcosa di molto peggio… data la violenza di Renzo in quel momento.

Lucia era in lacrime ed io da madre mi sentivo distrutta a vedere la mia bambina, ormai diventata donna, stare così per un prepotente. Mi raccontò che qualche giorno prima mentre tornava dalla filanda incontrò Don Rodrigo, in compagnia di un altro uomo, che che cercò di trattenerla in chiacchiere non troppo belle e quando lei si allontanò sentì il signorotto esclamare “scommettiamo!” e altri sghignazzi.

Così mi venne in mente un’idea geniale, mandai Renzo dall’Azzecca-garbugli chi meglio di lui poteva risolvere questa nostra questione?

Prese quattro capponi e si avviò verso lo studio dell’uomo.

9 Novembre 1628 (Federica)

La mia soluzione non ha funzionato, eppure pensavamo tutti che fosse un’idea geniale, che un uomo sveglio e furbo come lui ci sarebbe riuscito a risolvere i nostri dilemmi.                                                                                          Renzo arrivò con un’espressione indispettita e mortificata allo stesso tempo.                                                        Cercai così di dimostrargli che la mia idea sarebbe stata buona se solo Renzo fosse stato capace di svolgere il suo semplice compito, Ma Lucia ci interruppe annunciandoci un’idea migliore, chiedere al buon Fra Cristoforo e decidemmo di incontrarlo il giorno seguente.

Giovedì 9 Novembre 1628. (federica)

Quando incontrammo Fra Cristoforo il giorno seguente mi scusai per averlo disturbato e Lucia scoppiò a piangere e il buon uomo cercò di calmarla ma non sapeva più come fare ed iniziò a diventare dei mille colori.

Gli raccontammo di come si fosse comportato Don Abbondio e Don Rodrigo e lui faceva quasi fatica a trattenersi dal nervoso, ne ha dette di tutti i tipi di quei due vigliacchi.

Così iniziò a pensare a un modo per risolvere la questione.

                                            *** 9 Novembre 1628  (Nari Laura)

Dopo un po’ qualcun altro bussava alla porta, questa volta era Renzo.                                                                      Dopo aver salutato il frate, Renzo iniziava  ad insultare quella canaglia di Don Rodrigo ed a lamentarsi che tutti i suoi amici nel paese lo avevano abbandonato nel momento del bisogno, ma subito veniva  interrotto e rimproverato da Padre Cristoforo.                                                                                                                                                        Egli ci diceva che sarebbe andato lui stesso da Don Rodrigo, che Dio vegli su di lui.                                                      Dopo averci consigliato di starcene nella nostra casa  si avviava verso il suo convento.                                          Stavamo nella nostra casa in silenzio,  dopo  un po’ mi veniva una fantastica idea, perché non fare un matrimonio a sorpresa? Era di sicuro un piano migliore di quello di Fra Cristoforo, sarebbe servito solo coraggio e destrezza.            Renzo era fomentato e la mia figliola titubante così spiegavo che, una volta sposati, tutto si sarebbe risolto. Avevo sentito dire giù in paese che per un matrimonio ci doveva essere, si un curato, ma non per forza  il suo consenso. Ci devono essere due testimoni molto furbi, si sarebbe dovuti andare dal curato, prendendolo alla sprovvista. L’uomo dovrà dire:”Signor curato, questa è mia moglie.”; la donna dovrà dire :”Signor curato questo è mio marito.” e il matrimonio sarà valido.

Anche una mia amica aveva usato questo stratagemma per sposare il suo amato senza il consenso dei suoi parenti, ma la poveretta se ne pentì dopo tre giorni.                                                                                                                      Renzo subito non ci credeva ma sono riuscita a convincerlo, invece Lucia non voleva averne a che fare. Diceva che era solo un imbroglio, che si doveva dire tutto al Padre Cristoforo.                                                                         Renzo però non le dava ascolto, ci salutava e si dirigeva subito a cercare i due testimoni.

 *** 9 Novembre 1628, tardo pomeriggio (Nari Laura)

Finalmente è  tornato il mio caro genero, ci ha  spiegato  che  ha  convinto il suo amico Tonio e il cugino ad aiutarci nel nostro inganno.                                                                                                                                                    Lucia è  ancora titubante ma la cosa non importa molto a me a Renzo, questo matrimonio s’ ha da fare!                    Io e Renzo eravamo decisamente motivati, fino a quando mi ricordavo della presenza di Perpetua nella casa del curato. Non avrebbe di sicuro fatto entrare i due promessi sposi a quell’ora della sera.                                          Subito dopo trovavo una soluzione : avrei distratto Perpetua, nota come una grande chiacchierona, con dei grandi pettegolezzi .                                                                                                                                                                  La mia cara Lucia però non si lasciava smuovere, non voleva sposarsi con inganni e sotterfugi, men che meno nascondere una cosa simile a Fra Cristoforo, voleva sentire la sua idea.                                                                 Subito dopo  sentivamo dei passi, era proprio Padre Cristoforo.                                                                                  Lui ci aveva detto che all’indomani avremmo dovuto recarci nel suo convento, dove   ci avrebbe spiegato il suo piano.  Ci spiegava anche cos’era successo con Don  Rodrigo.                                                                                          Dopo aver finito il racconto Fra Cristoforo usciva di fretta dalla nostra casa per arrivare prima della notte nel convento , per evitare  di incorrere nelle penitenze. Mentre usciva, ci ricordava di avere fede nel Signore e nella provvidenza.                                                                                                                                                                      Uscito il frate , io non ero così convinta delle sue parole . Renzo era fuori di sé dalla rabbia, tornava a proferire minacce contro Don Rodrigo. Io e Lucia provavamo a farlo ragionare, ma il giovane non voleva  sentire ragioni ed era determinato ad uccidere Don Rodrigo. Provavo inutilmente a calmarlo, Lucia piangeva e lo supplicava  di rinsavire, si inginocchiava di fronte a lui  e prometteva  che sarebbe andata dal curato per tentare il “matrimonio a sorpresa”, quindi finalmente Renzo si calmava.

*** 10 Novembre 1628, mattina (Nari Laura)

Questa mattina è arrivato Renzo per definire i dettagli del nostro grande piano. Dopo gli ho chiesto se poteva andare al convento per parlare con Padre Cristoforo, ma lui si è rifiutato per paura che il frate scoprisse degli inganni che avevamo in mente.                                                                                                                                                            Allora ho deciso di andare da un ragazzino di dodici di nome Menico, per chiedergli di andare dal cappucciono, sentire cos’aveva da dire e tornare dalle due donne a riferirgli le sue parole in cambio di un paio di monete d’argento, fortunatamente Menico ha accettato.                                                                                                          Dopo essere tornata a casa sono successe cose molto strane, per prima cosa è arrivato un mendicante a chiedere il pane, quando però ha ricevuta la sua pagnotta si è trattenuto nella nostra casa con delle scuse mentre curiosava in giro.                                                                                                                                                                                Dopo il mendicante, altre persone sono passate davanti alla nostra casa in modo sospetto fino a mezzogiorno. Io e la mia adorata  Lucia eravamo intimorite per cioò che era successo, l’idea del matrimonio a sorpresa non sembrava più così geniale.

*** 10 Novembre 1628, notte (Nari Laura)

Era arrivato il gran momento! Ci siamo incamminati verso la casa del curato per l’ inganno, arrivati alla porta Tonio e Gervaso chiamarono Perpetua mentre io, Renzo e Lucia ci nascondevamo.                                                          Perpetua, dopo essere andata ad avvertire Don Abbondio della presenza dei due, li raggiunge. Poi, come per caso, sono arrivata io per distrarla, la domestica così invita i due uomini a entrare, mentre gli  dico che per alcuni pettegolezzi Perpetua non avrebbe sposato due pretendenti perché non l’avevano voluta, subito ha negato la cosa e mi ha chiesto chi aveva messo in giro delle simile menzogne. Ho finto di voler sapere altri particolari, inizio a parlare con Perpetua e la faccio allontanare dalla casa.  Quando io e Perpetua ci siamo allontanate abbastanza, ho  tossito forte per lanciare un  segnale che ha fatto capire a Renzo e Lucia che era il momento di entrare nella casa.      È passato un po’ di tempo e stavo ancora parlando con Perpetua cercando di non farla avvicinare alla casa del curato. Non avevo avuto nessun segno della buona riuscita del piano quando ad un certo punto sentiamo le grida di Don Abbondio. Io continuo a parlare con indifferenza ma Perpetua sentendole grida di aiuto si precipita verso la casa. Io la seguo ma subito dopo sento le urla di Menico e in contemporanea il suono delle campane. Insomma nel Paese si è creato un grande casino!                                                                                                                        Arrivata alla casa  arrivarono subito Renzo e Lucia. Renzo invita me e la mia povera figliola a casa, ma arriva di corsa Menico che ci invita ad andare da Fra Cristoforo. Così ci siamo incamminati verso il convento tagliando per i campi. Quando siamo arrivati in un campo isolato, Renzo mi ha informato dell’esito negativo del piano e Menico ci racconta che nella nostra erano entrati gli scagnozzi di Don Rodrigo, quel farabutto! Do a Menico 4 monete d’argento e Renzo gli da una berlinga, speriamo che non dica niente di quel che il Frate gli ha detto.                                                                                                                                                                                Siamo arrivati al convento, all’ingresso ci sono Padre Cristoforo e Fra Fazio, diffindente dal fatto che due donne entrino un convento.                                                                                                                                                      Fra Cristoforo ci consiglia di lasciare il nostro paese, ormai non è più un posto sicuro per noi. Io e mia figlia saremmo dovute andare a Monza in un convento, Renzo invece sarebbe dovuto andare a Milano da Padre Bonaventura da Lodi.                                                                                                                                                                                    frate ci invita a raggiungere la riva del lago  dove troveremo un barcaiolo che ci trasporterà alla riva opposta, dove una carrozza ci porterà fino a Monza.                                                                                                                       Siamo usciti dal convento e ci siamo recati alla riva del Lago dove subito abbiamo trovato il barcaiolo, e dopo aver detto la frase in codice ci fa salire sulla barca e inizia a remare verso la riva opposta. La mia bellissima figlia ha un aria triste, so che gli mancherà questo piccolo paesino.

Monza 11 Novembre 1628, mattina (Nari Laura)

Il barcaiolo ci fa scendere sulla sponda opposta dell’Adda. Il calesse è lì ad attenderci con il suo conduttore, perciò saliamo e l’uomo parte subito per Monza.                                                                                                                     Arriviamo a Monza poco dopo l’alba e  il conduttore del calesse ci porta in una locanda per riposarci, Renzo vuole restare con noi, ma doveva subito partire per Milano per obbedire a Padre Cristoforo. Renzo quindi si incammina verso Milano mentre la mia povera figlia piange per la separazione.                                                                                Il conduttore del calesse ci conduce al convento dei padri cappuccini e una volta arrivati l’uomo fa subito chiamare il padre guardiano. Lui si presenta sull’uscio e legge la lettera scritta da padre Cristoforo. Così capisce che solo la “ Signora” potrà esserci d’aiuto, e ci invita a seguirlo al convento delle monache. Intanto il frate ci raccomanda di seguirlo a una certa distanza in strada, per evitare che la situazione si possa fraintendere. Il conduttore del calesse ci rassicura che questa “Signora” è una brava persona, molto rispettata e che con lei saremo state al sicuro. Quando arriviamo al convento il conduttore ci lascia con il frate e ci augura il meglio. Il frate ci fa entrare nel cortile del convento e ci  fa attendere nelle stanze della fattoressa, mentre lui va a chiedere udienza alla “Signora”, torna poco dopo e le accompagna al parlatorio per parlare con la” Signora”.                                                                                      La mia figlia non è mai stata in un convento e rimane  sorpresa di non vedere la monaca, vede poi il padre guardiano avvicinarsi a una finestra con una grata che si apre sulla parete, dietro di essa c’è la “Signora”.                    Il Padre ci presenta la “Signora” e noi subito ci inchiniamo. La monaca subito inizia a chiedere a Lucia la sua storia, ma la mia povera figlia è troppo sconvolta per rispondere quindi inizio a parlare io ma subito il Frate mi zittisce e continua lui la storia. Però la monaca chiede altri particolari, ma li vuole sentire dalla mia Lucia questa volta.            Lucia è imbarazzata e inizia a balbettare senza dir nulla, così inzio a spiegare a Gertrude che Lucia odia quel farabutto  ed è promessa in sposa a Renzo, e che sarebbero già sposati se il curato del paese avesse avuto più coraggio! Gertrude mi interrompe bruscamente e mi rimprovera di parlare senza essere interrogata, che persona maleducata! Il padre guardiano accenna a Lucia che deve essere lei a raccontare la sua storia.                              Lucia quindi prende coraggio e  inizia a raccontare, dopo inizia a supplicare la “Signora” di concederci la sua protezione. Gertrude crede a Lucia e sceglie di aiutarla, così decide di ospitarci. Dopo decide di parlare in privato con Lucia così fa uscire me e il frate dalla stanza.                                                                                                                  È passato un po’ di tempo e finalmente Lucia esce dalla stanza e mi confida l’imbarazzo nel rispondere alle domande della monaca. Così la consolo dicendole che tutti, chi più e chi meno, sono strani e che prima a  poi lo capirà anche lei. Il frate ci fa accomodare nell’alloggio lasciato dalla figlia della fattoressa, sono molto felice di aver trovato protezione, adesso io e la mia adorata figlia possiamo essere serene.

 

Monza 13 Novembre 1628 (Laura Nari)

Sono passati pochi giorni da quando io e Lucia ci siamo trasferite a Monza, ma sta mattina la fattoressa mi ha raccontato delle voci che si sono sparse giù in paese.  A Milano hanno arrestato dei capi della rivolta e presto saranno uccisi, uno di questi è scappato e veniva da Lecco. Che sia il nostro Renzo?!                                                    All’inizio pregavo  Dio che non fosse lui, ma poco dopo la fattoressa ci ha confermato che era proprio lui. La mia povera Lucia era spaventata ma io con calma spiegai che quel giovane è una persona per bene.

 

 

Monza 31 Novembre 1628 (Laura Nari)

Due settimane fa  è arrivato un pescaiolo di Pescarenico mandato da Fra Cristoforo, ci ha detto che le voci che girano su Renzo sono vere, ma il ragazzo, fortunatamente, è sano e salvo nel Bergamasco. Almeno adesso la mia amata figlia potrà dormire sonni tranquilli.                                                                                                                     Lo scorso Giovedì è tornato di nuovo è ci ha confermato che Renzo sta bene, anche se non ci sono notizie precise di che fine abbia fatto il giovane.                                                                                                                                        Ieri mattina il pescaiolo non è tornato, così ho preso una decisione, andrò al paese a parlare direttamente con Fra Cristoforo, chiederò al pescaiolo di accompagnarmi fino a Pescarenico, non potrà rifiutare.                                    Siamo arrivati sta mattina a Pescarenico, e subito mi sono avviata verso il convento dei cappuccini.                              Ho suonato il campanello e subito mi ha aperto fra Galdino. Il Padre Cristoforo non è nel convento ma io non posso parlare con altri padri del convento. Così ho deciso di tornare nel paese, chissà cosa ci aspetterà nel futuro.

Novembre 1628 (Nari Laura)

Il buon cardinal Borromeo mi ha avvertito del rapimento di Lucia, così sono subito partita verso il Paese vicino al Palazzo dell’Innominato, chissà cos’ha fatto quel mostro a mia figlia!                                                                          Nel viaggio verso il paese ho incontrato Don Abbondio, così ho potuto raccontargli tutte le disgrazie di mia figlia. Ma non avevo molto tempo, non vedevo l’ora di riabbracciare.                                                                                              Più tardi sono finalmente arrivata a casa del sarto e finalmente ho visto la mia adorata figlia. La padrona di casa ci ha lasciate sole per parlare, Lucia mi racconta di tutte le disavventure. Ovviamente tutto quello che era successo era stato architettato da Don Rodrigo, quel maledetto!                                                                                            Abbiamo parlato anche di Renzo, ma Lucia non sembrava interessata all’argomento. Chissà perché.                            Il nostro discorso viene poi interrotto dall’arrivo del cardinal Borromeo che si fa raccontare tutto quello che era successo, a partire da Don Rodrigo.

 

Novembre-Dicembre 1628 (Nari Laura)

Io e Lucia siamo ancora ospiti nella casa del sarto, a mia figliola passa tutto il tempo a cucinare e io spero ogni secondo di ritrovare Renzo e di continuare la nostra vita. Io e la moglie del sarto siamo diventate grandi amiche, parliamo sempre dei pettegolezzi in paese.                                                                                                                  Un pomeriggio arriva una carrozza che viene a prendere me e Lucia per portarci da donna Prassede, una donna molto buona da come dicono nel paese. Così accettiamo e quando arriviamo, la donna ci accoglie calorosamente.       Mi ha subito fatto una buona impressione, sembra una donna gentile e di buone maniere. Voleva offrire a me e Lucia ospitalità nella sua casa a Milano.                                                                                                                          Io e Lucia non ci abbiamo pensato due volte e abbiamo accettato l’offerta, la loro villa è vicino al nostro paese. Così il marito di donna Prassede ha scritto una lettera al cardinal Borromeo per informarlo.                                          Pochi giorni dopo siamo arrivate al paese, in seguito faccio vedere al cardinale la lettera di don Ferrante e dopo averla letta decide che l’invito di donna Prassede è la cosa migliore per noi

16-18 Dicembre 1628 (Federica Pannia)

Mia figlia Lucia è andata da donna Prassede, ma per fortuna la potrò ancora vedere prima che parta per Milano stavo infatti pensando ad un modo per poter passare un po’ più tempo con lei, probabilmente starò qualche giorno nella villa vicino al villaggio… si farò così!

Comunque sia, oggi il cardinal Borromeo mi ha fatto chiamare con molta urgenza, al che sono subito andata da lui per vedere cosa fosse successo: l’innominato l’ha incaricato i consegnarmi cento scudi d’oro ed una lettera in cui diceva al cardinale di consegnarmi questa somma come risarcimento per il male fatto a Lucia e per farmi sapere che qualunque cosa avessimo avuto bisogno lui ci sarebbe stato. Chi l’avrebbe mai detto che uno dei criminali più temuti sarebbe diventato così gentile?

Arrivata a casa non ci credevo ancora.

Il giorno dopo sono andata a trovare Lucia per raccontarle tutto ma lei non sembrava entusiasta.. anzi, sembrava completamente apatica alla notizia, cercai di capire cosa avesse fin quando non mi diede la notizia: si era votata alla Vergine, di non voler più pensare a Renzo e mi chiese se potevo farglielo sapere. Non sapevo proprio come reagire, mi limitai a dirle che l’avrei fatto, ma il problema era che nessuno sapeva che fine avesse fatto Renzo!

*** Dicembre 1628, tarda sera. (Federica Pannia)

Oggi mi è arrivata una lettera da Renzo finalmente, sono andata infatti a Maggianico a farmela leggere da mio cugino Alessio e per inviare una risposta.

Ho dovuto informare Renzo del voto della sua futura sposa, poverino… chissà come la prenderà.

*** 1629 (Federica Pannia)

Oggi ho aiutato Don Abbondio e Perpetua a scappare dai lanzichenecchi: gli ho proposto di andare a vivere nel castello dell’innominato per qualche tempo ed hanno subito accettato, così ci siamo subito messi in viaggio tagliando dai campi.

Siamo andati a casa del sarto e non ce l’ho più fatta, sono scoppiata a piangere come una bambina tra le braccia della moglie del sarto, ci hanno offerto poi il pranzo e ci siamo rimessi in viaggio.

Arrivati lì siamo stati accolti benevolmente e ci è dispiaciuto dovercene andare.

Quando siamo tornati in paese abbiamo fatto un’orribile scoperta: i lanzichenecchi erano arrivati anche li, era tutto completamente distrutto.

Agosto-Settembre 1929. (Federica Pannia)

Era arrivata la peste e io non potevo starmene li e rischiare di essere contagiata così sono partita per Pasturo. Ad un certo punto sento bussare e vidi Renzo: mi disse che per fortuna mia figlia stava bene, lo invitai ad entrare ma rifiutò per la paura di contagiarmi nonostante non fosse infetto, ormai era l’unica cosa di cui si parlava; così andammo in un orto dietro casa e mi spiegò tutto: lo scioglimento del voto di Lucia, il loro trasferimento dopo le nozze, proprio tutto senza tralasciare niente