Blog di Don Rodrigo

Ciao a tutti, sapete già chi sono vero? Io sono il signore delle terre di ***: Don Rodrigo. Ho aperto questo blog perché voglio raccontarvi per bene le mie avventure, così per rendervi partecipi siccome le vostre vite non sono sicuramente entusiasmanti quanto la mia.

Lecco, Lunedì 6 novembre 1628 ( Denisa Istoc)

Sono in compagnia di mio cugino Attilio, in questo momento ci stiamo godendo la passeggiata, nel mentre stiamo parlando, quando lui all’ improvviso mi fa una domanda: “mi meraviglio che oggi I tuoi bravi non ti stiano a presso, di solito ti stanno sempre dietro in quanto tu non sei capace da solo, vero il mio caro cuginetto?” mi deride lui.

Gli ricordo che io a differenza sua ho persino un palazzo e una serie di uomini pronti a combattere per me servirmi, tu invece cos’hai? La nostra conversazione scherzosa sta mutando in una specie di sfida, rimanendo comunque in tono amichevole, in quanto noi siamo abituati a parlarci in questo modo.
Inizia subito a vantarsi delle sue conquiste, allargando le braccia per mostrarmi che tutto il mondo ritiene che lo premi per le sue doti.

Mi accusa che nonostante abbia un palazzo, terre e uomini, continui a non essere in grado di avere una donna al mio fianco. Gli feci subito notare che nemmeno lui ce l’ha. Eppure, lui mi risponde dicendomi che invece ne ha anche troppe, mentre io è da tempo che non ho una donna al mio fianco. Ci penso un attimo, nonostante sappia che abbia ragione… ma per rispondergli a tono, per non sembrare debole gli rispondo che non ho tempo per queste stupidaggini. Lui continua a sfidarmi chiedendomi se non ho tempo o non ho modo, mi deride.

Attilio sta oltrepassando ogni limite, non può insultarmi, così gli rispondo che io posso fare tutto, persino conquistare il cuore di una ragazza. Lui allora mi mostra una ragazza nei pressi della filanda e mi chiede se persino lei. Io gli dico che l’ho vista un paio di volte, si aggirava nei pressi della casa di Don Abbondio, la definisco un tipo timido con bisogno di protezione perché la sua natura è di tipo pauroso. Sono di certo io quello che potrà darle la protezione di cui lei ha bisogno. Gli faccio comunque notare che quella ragazza e promessa in sposa ad un certo Renzo Tramaglino… Posso fare tutto quindi scherzando e ridendo scommettiamo sul fatto che sarà mia.

 

Lecco, Giovedì 9 novembre 1628, prime ore del pomeriggio (Denisa Istoc)

Per oggi ho organizzato un sontuoso banchetto al quale assistono il Conte Attilio, Podestà e il dottor Azzeccagarbugli.

Mio cugino mi ha richiamato l’attenzione salutando un soggetto della cui presenza mi ha confuso, si tratta di un frate. Non capisco chi possa essere, ma poiché mio cugino lo saluta con tale enfasi, decido di farlo unire al nostro dibattito.

È quel frate che si trova nel paese vicino, Fra Cristoforo. Si inchina come segno di rispetto e alza la mano per salutare gli altri. Subito lo faccio accomodare e gli offro un bicchiere di vino come è giusto fare, e nonostante non accetti, insisto. Mi dice di voler parlare di qualcosa di importante e allora io gli rispondo dicendo che parleremo dopo.

Stiamo parlando quando il frate ci interrompe e insiste con il fatto di voler parlare con me, allora lo porto in una stanza. Inizia il discorso riferendosi al fatto che certi abbiano fatto il mio nome per quanto riguarda l’oppressione di due giovani innocenti. Capisco di chi stia parlando, ma per non finire nei guai, visto che Fra Cristoforo non è come Don Abbondio, lui cerca di ottenere la mia confessione ma invano, svio l’argomento alla nomina di Dio. Io per quanto lui stia cercando di non essere ostile, parlandomi in modo diplomatico, mi infastidisco lo stesso a causa della sua indiretta accusa e allora inizio a prenderlo in giro parlandogli in modo malvagio e sfidandolo.

Lui, visibilmente infastidito mi dice che anche se ora io sono il capo, quando sarò in cielo, sarà solo Dio a decidere la mia sorte in base al mio operato terreno, intendendo quindi che io farò una brutta fine nell’ Aldilà. Adesso ha iniziato anche a parlare del mio onore, dicendo che in questo modo potrebbe risentirne, mi parla di questo, quando tutti e quindi anche lui, sanno che io non sono una brava persona e non voglio esserlo. Lo minaccio dicendogli che io porto rispetto al suo abito, quindi al ruolo che ricopre, ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso a qualcuno che ardisse di venire a fare la spia nella mia casa.

Il frate, arrabbiato, cambia tono, e dopo una lunga e aggressiva discussione pronuncia il nome della ragazza cioè Lucia.

In fine mi dice, alzando il dito in su e guardandomi negli occhi, “verrà un giorno…” ma non finisce la frase, parla di Dio, il quale un giorno mi punirà. Io, arrabbiato per il fatto che abbia osato parlare in questo modo a me e per la paura di Dio gli urlo contro e lo caccio via da casa mia.

 

Lecco, Giovedì 9 novembre 1628 pomeriggio e sera (Serena Rubiano)

Sono davvero infuriato con quel maledettissimo Frate, non doveva assolutamente trattarmi in quel modo e soprattutto non doveva permettersi di dire quella stupida frase. Percorrendo la stanza a grandi passi, cerco di farmi venire qualcosa in mente ma mi fermo a guardare i miei antenati, che hanno tutti compiuto grandi cose, come me ovviamente, e che riescono a trasmettere terrore anche soltanto da una fotografia.

Pensare alle parole di Fra Cristoforo mi mette tanta agitazione da farmi venire la pelle d’oca. Forse mi sto tormentando troppo, ma non riesco proprio a darmi pace per il fatto che un frate abbia osato venirmi addosso con tanta arroganza.
Tutto questo è un disonore, io devo portare alto il nome della mia famiglia. So cosa fare, poterei… anzi no forse sarebbe meglio…

Mi stanno venendo alla mente troppi disegni di vendetta, non so quale scegliere. Così decido di chiamare un servo e di dirgli di comunicare agli altri che mi sono trattenuto per un affare urgente. Nel frattempo penso ancora alle parole di Fra Cristoforo, ma mi interrompo quasi subito per via del servo che è venuto a riferirmi che tutti sono andati via. Decido di andare a fare una passeggiata anch’io e ordino al servo di chiamare sei uomini e di portarmi subito la spada, la cappa e il cappello. Arrivano quasi subito tutti armati e pronti ad uscire; ci dirigiamo verso Lecco. Sono più altezzoso, più superbo e più accigliato del solito perché voglio che tutti gli abitanti di questo paese mi vedano così, mi devono temere.

Camminando, iniziamo a incontrare alcune persone che si ritraggono al muro e fanno inchini che ovviamente io non ricambio. Incontro anche persone di una certa importanza ed anche loro si inchinano dinnanzi a me. Per tirarmi su il morale decido di andare in un luogo di ritrovo in cui ci sono molte persone. Mi accolgono molto bene, sono cordiali e rispettosi. Dato che è già notte, decido di tornare al mio palazzetto dove incontro Attilio, che sta anche lui tornando a casa.

Mentre ceniamo, io e mio cugino parliamo della scommessa. Lui mi chiede, infatti, quando la pagherò, convinto che ormai io abbia perso la scommessa ma gli ho ricordato che ho ancora del tempo a disposizione. Attilio continua a parlare della scommessa, del frate, del fatto che è convinto che perderò e inizia anche a raccontare storie strane. Decido così di proporgli di raddoppiare la scommessa e lui accetta. Io non sono affatto stupido: ho fatto questa proposta perché sono sicuro che vincerò. Ho già pensato a tutto, rapirò Lucia. Intanto Attilio continua a pormi domande sulla mia decisione, è molto curioso, ma io sono bravo ad evitarle tutte. Vado a dormire, è stata una giornata piuttosto stancante.

 

Lecco, Venerdì 10 novembre 1628 (Serena Rubiano)

Oggi mi sono svegliato con il piede giusto, dormire mi ha fatto proprio bene, i sogni mi hanno aiutato a dimenticare le parole di Fra Cristoforo. Sono di nuovo me stesso, ieri sono stato un vero fifone. Appena sveglio, chiamo subito il Griso, il capo dei miei bravi, e gli ordino di rapire Lucia e di portarla qua senza un graffio, non voglio che le venga fatto del male. Il Griso e altri bravi organizzano il rapimento.

Poco dopo si recano a casa di Lucia vestiti da mendicanti. Il Griso bussa alla porta e chiede un pezzo di pane. Mentre è lì, si guarda bene intorno e quando gli viene dato il pane finge di sbagliare porta per guardare un’altra stanza. Il piano per ora prosegue bene. Il Griso mi riferisce tutto quello che ha visto nella casa di Lucia e la zona in cui si trova. Dico al Griso che pensi lui a come rapirla: l’importante per me è che sia qui prima di domani. Alla sera vedo i
miei bravi andarsene e ho fiducia in loro, hanno fatto cose più difficili, questa      (Alcuni dei miei bravi)                       volta dovrebbe essere una passeggiata.

Finalmente arrivano, ma con loro non c’è Lucia. È impossibile! Devono averla presa. Forse l’hanno lasciata al pano di sotto!? Non capisco proprio, come hanno fatto? Appena il Griso entra gli chiedo dov’è Lucia e già dal suo sguardo capisco che non sono riusciti a prenderla. Ho voglia di picchiare tutti i miei bravi, ho chiesto loro una cosa soltanto e non sono riusciti a farla! Io del Griso mi fido molto, non riesco ancora a capire come abbia fatto a farsela sfuggire. Chiedo subito delle spiegazioni al Griso che inizia a raccontarmi tutto fin dall’inizio.

Aveva mandato tre bravi all’osteria del paese per controllare la situazione. Loro gli avevano riferito che ad un certo punto era arrivato Renzo con altri due, un certo Tonio e un altro di cui non erano riusciti a capire il nome. Avevano parlato sottovoce tutto il tempo e Renzo continuava a guardarli insospettito. Quando se n’erano andati i bravi sono rimasti ancora lì per un po’, fin quando il brusio della gente che tornava a casa era svanito perché tutti dormivano. Poco dopo aevano raggiunto il Griso e altri bravi, vicino alla casa di Lucia. Erano entrati piano piano con molta cautela, il Griso aveva fatto nascondere alcuni bravi dietro ad un cespuglio che aveva visto la mattina stessa e aveva bussato alla porta con l’intenzione di fingersi un pellegrino smarrito. Aveva continuato a bussare, ma nessuno apriva così decise di aprire da solo la porta. Al piano terra però non ha trovato nessuno. Sono andati al piano di sopra e anche lì non c’era nessuno. Nel frattempo i bravi nascosti dietro al cespuglio si erano imbattuti nel Menico che aveva gridato alla loro vista ma i bravi lo avevano preso e gli avevano messo una mano sulla bocca. Poco dopo avevano sentito le campane suonare, tutta la gente si era svegliata ed era scesa per le strade. I bravi, impauriti, avevano lasciato andare Menico; stavano per scappare tutti disordinatamente ma il Griso aveva mantenuto l’ordine ed erano scappati via tutti insieme percorrendo una stradina fuori paese.

Sentendo tutto ciò penso che in fin dei conti non è stata colpa dei miei bravi, ma sono lo stesso un pochino arrabbiato con loro. Ci dev’essere una spia, come facevano a sapere della rapina? Perché hanno suonato le campane di notte? Troppe domande continuano a ronzarmi in testa e questo mi infastidisce troppo, così ordino al Griso di andare in paese l’indomani e di cercare di capire cosa fosse successo questa notte. Per questa volta Lucia è stata fortunata ma non mi arrenderò mai, proverò di nuovo a rapirla e la prossima volta mi assicurerò io stesso che sia tutto perfetto.

 

Lecco, Sabato 11 novembre 1628 (Serena Rubiano)

Mi sono appena svegliato, che sonno! Vedo subito Attilio che alla mia vista si rallegra e mi urla in faccia che è San Martino (il giorno della scadenza della scommessa). Non so cosa dire, pagherò la scommessa, ma non è questa la cosa che mi scoccia di più, bensì il fatto che pensavo di stupirlo stamattina, invece è stata una vera delusione.

Decido di raccontare tutto per bene a mio cugino perché sinceramente non mi va di fare la figura dello scemo. Attilio mi dice che ci deve essere di mezzo quel frate, mi chiede anche come abbia fatto a sopportare tutte quelle sofferenze che mi aveva causato il frate e ammette che lui al posto mio l’avrebbe ucciso. Anch’io avrei voluto farlo, ma non avevo voglia di mettermi contro tutti i frati d’Italia.

Il conte Attilio ad un certo punto mi fa una proposta, mi dice che ci penserà lui a tutta questa faccenda e che parlerà con il Conte Zio (un capo clan mafioso) a cui affiderà il compito di far allontanare Fra Cristoforo. Io non so ancora se acconsentire ma mi sembra una proposta accettabile. Iniziamo a fare colazione e non smettiamo di parlare d’affari.

Io, che non resisto più, inizio a lamentarmi di tutto ciò, della situazione in cui ci troviamo. Mio cugino insinua che ho paura, ma anche se è in parte vero non voglio che qualcuno lo sappia, infatti lo contraddico immediatamente. Alla fine mi faccio convincere e lascio che sia lui a occuparsi di tutto.

Ad un certo punto vedo arrivare il Griso e spero che mi dia delle belle notizie. Mi dice che Renzo e Lucia sono scappati al convento di Pescarenico. Che rabbia! Dev’essere tutta opera di quel maledettissimo frate, lo so, ma io gliela farò pagare. Come ho potuto farmeli scappare tutti e due? Mando subito il Griso al convento perché voglio assolutamente saperne di più su questa faccenda. Il Griso, tornato, mi riferisce che Renzo è a Milano e che Lucia è a Monza. Mando di nuovo il Griso a Monza mentre io con il mio avvocato, il dottor Azzecca-garbugli pensiamo a un modo per mettere nei guai Renzo.

Venerdì 13 Novembre 1628 Lecco (Serena Rubiano)

Sono a casa mia con Attilio e discutiamo sugli ultimi pettegolezzi che girano in paese: Renzo è riuscito a scappare dalla Polizia a Milano che veniva ricercato per aver commesso qualcosa di grave. Io sono molto compiaciuto degli ultimi avvenimenti, Renzo si merita tutto questo. Attilio, appena si calmò un po’ il tumulto, si reca a Milano per metter mano all’impegno di liberare il cugino del frate.
Subito dopo la sua partenza arrivò il Griso da Monza a dirmi che Lucia è in un convento lì a Monza con la madre. Mi disse anche che non usciva mai e che si comportava come una vera monaca quindi era davvero difficile rapirla. L’ira iniziò subito a prevalere su tutte le altre emozioni e per un attimo ho immaginato le cose peggiori su quella maledetta coppia. Non so proprio cosa fare. Mi è venuta un’idea ma non sono sicuro se possa andar bene o no. È un po’ azzardata secondo me perché si tratta di chiamare in mio aiuto un uomo o un diavolo che spesso fa cose pericolose. Potrebbe funzionare ma ci sono molti rischi che potrebbero impedire la buona riuscita del piano. Decido che per prendere decisioni così importanti è meglio rifletterci per più tempo.

 

Venerdì 1 Dicembre 1628 Lecco (Serena Rubiano)

L’inaspettato arrivo di una lettera da parte di Attilio e l’arrivo in paese di Agnese mi fecero finalmente convincere che era ora di chiamare quell’uomo. Poteva ancora essere rischioso ma ho deciso di provare e vedere come fa a finire tutta questa storia.
Così decido di andare al palazzotto dell’innominato a chiedergli se accetta la proposta di rapire Lucia per me. L’innominato accettò e promise di occuparsene lui con l’aiuto di Egidio, uno dei suoi più stretti collaboratori. Io sono abbastanza fiducioso perché l’innominato è uno di cui puoi fidarti, lui le promesse le mantiene. È il più grande criminale di sempre, riuscito in ogni sa impresa spero che non fallisca proprio in questa.

 

Giovedì 11 Dicembre 1628 Lecco e Milano (Denisa Istoc)

Sono felice perché Attilio è riuscito a mantenere la sua promessa cioè quella di convincere il conte zio a mandare in esilio Fra Cristoforo a Rimini. Non sono però riuscito a gustarmi per intero questa buona notizia che ne ho subito ricevuta un’altra spiacevole. L’innominato, il più grande criminale di tutti i tempi, proprio adesso si è convertito e di conseguenza ha liberato Lucia. Il mio piano escogitato da tempo non è riuscito solo per colpa sua che doveva convertirsi proprio adesso.
La sfortuna mi perseguita!
Ma non è finita qui, non solo l’innominato si è convertito, tutti in paese parlano di me e del mio insuccesso. E adesso non posso fare altro che scappare a Milano per la vergogna.

 

Fine Agosto 1630 Lecco (Denisa Istoc)

Sto tornando a casa dopo un festino celebrato per la morte di Attilio, il mio caro cugino… Che riposi in pace. Mi corico sul letto sentendo un grave senso di malessere e cerco di capire a cosa sia dovuto. Forse al caldo, al vino o agli stravizi ma il pensiero della pesta si insinua prepotente. Malgrado il dolore, riesco ad addormentarmi. Mi sveglio urlando pensando all’incubo appena fatto. Avevo sognato di trovarmi in una chiesa tra una folla raccapricciante e di rivedere l’incontro con Fra Cristoforo che avevo cercato di dimenticare. Nel frattempo guardo verso dove sento il dolore e scopro di avere un bubbone livido. Terrorizzato, chiamo il Griso pregandolo di andare a chiamare il chirurgo Chiodo che lo avrebbe curato. Ma il Griso, approfittandosi del mio malessere, mi disubbidisce e si rivolge ai monatti e con essi mi deruba. Ormai ho perso tutto, non posso più fidarmi di nessuno. Sono debole e arrabbiato ma non posso fare niente per sfogare la mia ira.  Oltre a tutto il male successo fin ora, la malattia si aggrava e perdo conoscenza.

 

Milano, agosto 1630  (Chiara Rossetti)

Caro diario, non ne posso più, veramente.                                                                                                                                                 Sto male già da troppo tempo, è da quattro giorni che sono in questo posto e sto soffrendo come un cane. Sono qui, in questa capanna, disteso su un materasso, se si può chiamare così, avvolto in un lenzuolo e rivestito da una specie di coperta.  Sono diventato irriconoscibile, direi addirittura spaventoso. Chiunque mi vede in queste condizioni si terrorizza. Sembro un cadavere, ho le labbra gonfie e nere, ho gli occhi sempre fissi su un punto e non ho neanche la forza per reagire, o quando cercano di parlarmi non riesco a rispondere. Tengo gli occhi aperti solo per miracolo, ma credo che questa sia la mia ultima pagina di diario prima di morire. Se non fosse per alcune contrazioni che delle volte mi attraversano, sembrerei davvero un morto. Spero di morire il prima possibile, e lo so che è brutto da dire, ma non ce la faccio più, preferisco andarmene piuttosto che soffrire in questo modo e farmi vedere in questo stato dalla gente. Non riesco quasi più a respirare, a parte alcuni affanni. Le mie dita stanno diventando di un colore nero, non so quale forza mi stia tenendo in vita. Mi devo rassegnare, la mia vita sta fnendo così, nel peggiore dei modi. Che poi io cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?

 

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