Blog del Griso

Lecco, Martedì 7 Novembre 1628, pomeriggio. (Sabrina Patrucco)

Io sono il Griso, il capo dei bravi di don Rodrigo, il mio signorotto. Questo mio nome un po’ strano deriva da un termine lombardo che significa “grigio” e si riferisce al mio carattere cupo. Ho iniziato a lavorare per il mio padrone un po’ di tempo fa, quando, dopo che uccisi un uomo, scappai alla giustizia e mi misi sotto la sua protezione.

Nel paese tutto mi descrivono come “ colui al quale s’impongono le imprese più rischiose e inique”, proprio perché don Rodrigo mi affida ogni giorno incarichi molto pericolosi e delicati.  Ha piena fiducia in me e io ne vado fiero, anche se a causa sua sono complice di molti delitti e crimini.

Quando indosso la mia livrea, mi sento troppo forte: la reticella verde in testa, la cintura lucida di cuoio con appese le pistole, gli ampi calzoni dai quali spunta fuori un manico di coltellaccio, la spada lucente; porto i baffi arricciati in punta, sulla fronte un enorme ciuffo e appeso al collo , come una collana, un piccolo corno ripieno di polvere. Faccio proprio paura!! Chissà come si è sentito don Abbondio quando ha visto me e l’altro bravo che lo aspettavamo! Si è quasi sentito male quando abbiamo fatto il nome di don Rodrigo! Ha provato a difendersi, il codardo, ma gli ho fatto capire che i prepotenti hanno sempre ragione.

Lecco, Venerdì 10 Novembre 1628, mattina, pomeriggio, sera e notte

Uno degli incarichi che mi è stato affidato dal mio capo è quello del rapimento di Lucia  che doveva avvenire nella stessa notte (la “notte degli imbrogli”). La mattina, insieme ad altri bravi, mi sono travestito da mendicante per intrufolarmi a casa di Lucia per poter vedere l’interno. Ho anche fatto finta di sbagliare uscio, così mi sono ritrovato sulla scala e le ho dato in fretta un’occhiata. Ho fatto alcune domande alle due donne, ma mi rispondevano in modo evasivo e sembravano sospettose.

Tutto era pronto per il rapimento e la notte sono entrato con i miei compagni nella casa di Lucia ma era vuota, non c’era nessuno! Abbiamo messo la casa sottosopra , abbiamo rovistato dappertutto, ma nulla, Lucia non c’era proprio. Il garzoncello Menico è arrivato all’improvviso, ci ha sorpresi in casa. Ha cacciato un urlo, l’ho minacciato tirando fuori il mio coltellaccio. Poi le campane si sono messe a suonare impazzite, un rintocco dietro l’altro, siamo dovuti scappare e nella confusione Menico se l’è data a gambe. Che vergogna! I bravi, presi dal panico, si scompigliavano, si urtavano a vicenda, ognuno cercava la strada più corta per arrivare all’uscio, sembravano una mandria di porci. Ho dovuto usare tutta la mia autorità per riportarli all’ordine e prendere la strada che portava fuori dal paese.

Il mio padrone mi aspettava in cima alla scala e mi ha accolto con rimproveri che non meritavo: avevo lavorato duramente rischiando anche la pelle. Quando poi mi ha congedato, ha cercato di addolcire i rimproveri dicendomi che comunque mi ero comportato bene. Gli ho promesso che l’indomani mi sarei mescolato con altri bravi alla gente del paese per capire cosa fosse successo quella notte. La gente parla ed è stato facile capire dove si era rifugiata Lucia. Così don Rodrigo mi ha ordinato di trasferirmi a Monza per prendere informazioni circa il convento in cui Lucia era stata accolta. Io ero pronto a metterci la pelle per il mio padrone, ma questa…questa poteva anche risparmiarsela!

A Monza ero conosciuto, c’erano parecchie taglie sulla mia testa e non avrei avuto la protezione di don Rodrigo. L’ho spiegato al mio padrone e lui mi ha deriso, ha detto che sembravo quei cani da cortile che hanno l’aspetto feroce ma sono in realtà paurosi. Mi sono risentito e ho detto che ero pronto a partire e così ho fatto portando con me lo Sfregiato e il Tiradritto. Sono partito per Monza arrabbiato come un lupo affamato nella neve.

Milano, fine Agosto 1630, di notte.

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Quando don Rodrigo si è sentito poco bene, ho subito avuto il sospetto che covasse la peste e gli ho puntato in faccia il lume per guardarlo meglio.

Lui diceva che stava bene, che aveva solo bevuto troppo ma, quando febbricitante ha cacciato un urlo e mi ha chiamato, ho avuto la certezza che era proprio peste. L’ho guardato a distanza, era disperato, ha detto che se fosse guarito mi avrebbe fatto del bene più di quanto non me ne avesse già fatto. Diceva che si fidava solo di me, voleva che chiamassi il chirurgo e che lo avrebbe pagato bene per tenere segreta la sua malattia. Lui è gli scudi! Pensava di comprare ogni cosa con i suoi scudi! Non ce l’ho fatta, l’ho tradito: ho chiamato i monatti, lui era sconvolto, chiedeva aiuto, voleva ammazzarmi, diceva che aveva fatto sempre il mio bene. Io mi voltavo dell’altra parte e con i monatti mi sono impossessato dei suoi averi. I monatti lo portarono via su una barella e io rimasi a scegliere quello che mi poteva servire; non avevo mai toccato i monatti per paura della malattia ma nella furia del frugare ho scosso i panni del mio padrone. Non sono riuscito a godere delle cose rubate: il giorno dopo mi sono sentito male in una bettola, i compagni mi hanno abbandonato.

Sono finito nelle mani dei monatti che mi hanno preso tutto e mi hanno gettato su un carro. Sono morto prima di arrivare al Lazzaretto.

Adesso che sono morto posso dire come la penso sul mio padrone: ero il suo fidato, diceva che mi aveva fatto solo del bene. Io mi sentivo protetto da lui per evitare la galera e lui mi usava per i suoi servizi. Era abituato a comprare tutto con i suoi scudi, mi ha detto che ero un cane da pagliaio quando non volevo andare a Monza, mi ha pagato e io ci sono andato.  Non lo sopportavo più, per questo l’ho tradito consegnandolo ai monatti. Pensavo di vivere agiatamente con i suoi averi ma la mia avidità mi ha portato alla morte e adesso che sono nell’aldilà, credo che, se non fossi stato accecato dalla possibilità di diventare ricco, forse sarei ancora vivo.

 

 

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