Blog su donna Prassede

Donna Prassede e Lucia

Provincia di Lecco, 2 dicembre 1629 (Bonino Chiara)

Ciao, sono donna Prassede, una ricca donna sposata, intenta a far del bene. Abito nella provincia di Lecco e ho sentito parlare di una giovine promessa sposa a un tale delinquente, poverina. Sono così curiosa che ho chiesto di incontrarla, e le ho mandato un bracciere a prendere la giovine con sua madre. Entrambe molto timide, ma dopo poco si sentirono a loro agio, e dopo una chiacchierata ho pensato che sia una bella idea quella di ospitare Lucia nella mia casa a Milano, così da aiutare cardinal Borromeo a trovare dimora alla giovine. Nei giorni in cui Lucia dimorerà a casa mia, credo che cercherò di farla ragionare sul suo promesso sposo. Lui è un delinquente, poco di buono, sedizioso, uno scampaforca, e devo farglielo dimenticare. Rinnovai le gentilezze e le promesse e dissi che avrei mandato subito una lettera da presentare a monsignore, per ospitare Lucia. Dopo averle salutate, ho chiesto subito a mio marito Don Ferrante di scrivere una lettera a cardinal Borromeo. Quest’ultimo accettò, e tra qualche giorno arriverà la giovine a casa mia.

 

Milano, 5 Marzo 1630 (Bonino Chiara)

Ormai sono 3 mesi che Lucia dimora a casa mia. Ho provato molte volte a fargli cambiare idea del suo sposo. Ma, aimè, lei ha le idee ben chiare in testa. Quando si ha nel cuore uno scapestrato non si leva più.  Ho cercato di farle dire le buffonate che ha fatto quel mascalzone, ma la giovine mi rispondeva vagamente: la sua voce era tremante e piena di dolore. Mi ha detto che Renzo nel suo paesetto non aveva fatto mai nulla di male, anzi mi ha detto che parlavano bene di lui. Lo ha difeso anche per i fatti successi a Milano, anche se lei non è nemmeno bene al corrente di quel che è successo. Ma da queste apologie io ho cercato di convincerla che il suo cuore è ancora pieno di lui. Lì ho capito che era innamorata. Quando si è innamorati non puoi far separare due persone perchè uno è un mascalzone che ha fatto il delinquente a Milano. Renzo e Lucia sono due promessi sposi, anche se non si vedono da tanto e sono lontani. Non sanno nemmeno se si rivedranno mai più: la peste sta arrivando in città.

Blog di Gertrude

Monza, 5 maggio 1628, Ore:8.08   (Sara Monge)

 

Ciao, sono Gertrude, ma tutti mi chiamano “la Monaca di Monza”.
È mattino presto, mi sono appena svegliata e non so cosa fare. Mi è venuto in mente di scrivere un blog, perciò adesso vi racconto cos’è successo ieri… è stata proprio una giornata particolare.

 

Sono seduta su uno sgabello durissimo dritta dietro a una grata, con una mano bianchissima e languida appoggiata ad essa, con le dita intrecciate negli spazi vuoti. Nel mentre vedo entrare il padre Guardiano con due donne: una giovane e l’altra evidentemente più anziana. Tutte le persone mi chiamano “la signora”,mi portano rispetto e mi temono perché provengo da una famiglia molto importante, appunto il padre guardiano per parlarmi abbassa la testa, mette la mano sul petto e mi dice con un tono di voce basso e calmo “questa è la povera ragazza per la quale mi hai fatto sperare molto di poterle dare aiuto e proteggerla, l’altra è sua madre.” Le due iniziano a fare inchini e io con un cenno della mano le faccio smettere e mi rivolgo subito al padre Guardiano dicendo che fare favori ai nostri amici frati cappuccini è un piacere per me, ma voglio saperne di più di cos’è successo a questa povera ragazza che è perfino dovuta fuggire dal suo paese per venire fino a qua in convento a Monza. Agnese, la madre della giovane Lucia, inizia a parlare ma io mi sto innervosendo perché voglio farmi raccontare tutta la storia con tutti i particolari dalla ragazza, non dalla signora perché senza ombra di dubbio Lucia la racconterebbe molto meglio dato che ha vissuto questa disgrazia in  prima persona.  Così mando via Agnese e il padre Guardiano. Mentre i due escono io lo informo che alla vecchia e alla ragazza lasciamo la camera della Fattoressa che ormai è maritata e quindi se ne deve andare.  Rimaste sole, io e Lucia, iniziamo a parlare e più mi racconta più sono curiosa, cosi le chiedo di raccontarmi tutto nei minimi particolari. Lei all’inizio è stata abbastanza timida, ma poi, pian piano, si è lasciata andare e abbiamo dialogato per moltissimo tempo.  

 

 

 

Monza, 7 maggio 1628, Ore:3.52 (Sara Monge)
È notte fonda e non riesco a dormire, allora ho deciso di raccontarvi brevemente la storia della mia infanzia, capirete magari il motivo di qualche mio comportamento, ad esempio la curiosità…

 

Sono l’ultima figlia del principe ***, un gentiluomo ricco milanese. Quest’uomo era tanto bravo tanto menefreghista appunto già prima che io nascessi aveva deciso la mia sorte: dovevo diventare monaca o frate, in poche parole bastava la mia presenza. Non importava a nessuno di che sesso fossi, ancor di meno la mia volontà, l’importante era che facessi parte della chiesa. Quando sono nata hanno deciso di chiamarmi Gertrude perché è un nome portato da una santa. Mi ricordo ancora molto bene quel giorno, ero piccolina…

È mattino e vedo entrare mio padre nella mia stanza con dei regali, sono un po’ perplessa perché non c’è nessuna festività in questi giorni, ma sono comunque felicissima. Inizio a spacchettare e trovo delle bambole vestite da monache e anche dei santini che rappresentavano sempre delle monache. Ho intuito che era fatto apposta, ma non sono stata a farmi tante domande e ho iniziato a giocare. Mio padre mi guarda sorridendo, si gira e esce dalla camera.

Già da giovanissima mi hanno portato al monastero di Monza per imparare l’educazione e per autonomasia mi chiamano “la signorina”. Sono passati un po’ di anni nel monastero perciò devo diventare pure io una monaca come le altre. Ma prima di essere chiamata con il nome “monaca” dovevo essere esaminata da un ecclesiastico chiamato “il vicario delle monache” così è sicuro che ci vado di mia volontà e non obbligata da altra gente . Questo esame non poteva essere svolto, se non un anno dopo aver inviato a quel vicario il mio desiderio, con supplica per iscritto. Questa prassi veniva applicata con tutte le monache ovviamente. Dopo circa un anno dal l’invio della lettera mi avvisarono che c’era un’ultima legge, cioè che dovevo trascorrere un mese fuori dal monastero dove sono stata istruita,  perciò sono stata costretta a ritornare alla casa dove ho passato i primi anni della mia infanzia. Ma stavo cercando qualsiasi modo per non diventare monaca, perciò mi sono rivolta a una mia compagna, la quale mi ha suggerito di dire tutto a mio padre con una lettera. Ho tentato, ma non ho mai avuto risposta, forse non l’ha neanche ricevuta. Arrivò il mio temuto giorno… il ritorno a casa. Sono 8 anni che non tornavo, sono pena di gioia, ho quasi le lacrime agli occhi per la felicità, avevo avuto un po’ di malinconia in questi anni. Nei giorni trascorsi a casa spero di continuo di poter parlare con qualcuno, invece era peggio che in monastero!!! Nessuno mi rivolge la parola tranne un paggio che mi porta rispetto, non ce la faccio più. Segretamente io e il mio nuovo amico paggio iniziamo a scambiarci delle lettere, finché un giorno una cameriera mi sorprende piegare una lettera e incuriosita me la toglie dalle mani. Legge tutto e in seguito la consegna a mio padre. Sento già i passi del principe e inizio a tremare come come non mai, ero terrorizzata, non ho mai avuto così tanta paura. Sarebbe stato capace di tutto. Mi ha rinchiuso in una stanza sorvegliata dalla cameriera ficcanaso che ha scoperto delle lettere che mi scambiavo con il paggio. Tra l’altro, questa donna, era insopportabile, antipatica e permalosa. Mi sto sento in colpa perché non ho più notizie del paggio, ma immagino che non lavori più qua, mio padre, conoscendolo, l’avrà sfrattato. Passato un po’ di tempo capisco l’enorme errore che ho commesso e all’ora scrivo una lettera con sincere scuse a mio padre.

 

Ora cerco di prendere un po’ sonno che domani mattina mi devo svegliare presto. La prossima volta continuerò a raccontarvi la mia storia. 

Blog di Fra Cristoforo

Lecco, 8 Novembre 1628 (Scalzo Rossella)

Mi chiamo Lodovico e sono qui a scrivere la prima pagina del mio diario per poter manifestare le mie emozioni.

Sono figlio di un ricco mercante di *** che dopo aver accumulato molte ricchezze, decise di lasciare da parte il commercio per dedicarsi ad una vita agiata.

Mio padre voleva far dimenticare il suo passato di un uomo povero e studiava tutti i modi di far dimenticare ch’era stato mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui.

Io sono stato educato nel lusso, secondo l’arte della cavalleria, e sono abituato ad esser trattato con molto rispetto, circondato da adulatori.

Tuttavia, i potenti del luogo mi tengono in disparte e il mio carattere acceso mi ha portato a voler diventare una sorta di protettore degli oppressi. Prendo volentieri le parte dei deboli e cerco di tenere a freno i soverchiatori, ma per fare questo mi sono dovuto circondare di bravi, andando contro la mia coscienza.

Tutto filava liscio quando stamattina, mentre sto passeggiando per una strada della mia città, accompagnato da due bravi e dal mio fedele servitore Cristoforo, vedo spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non ho mai parlato ma che mi è cordiale nemico. Quando ci incrociamo mi dice:”Fate luogo”. Io rispondo che la precedenza è la mia e lui  risponde all’istante in modo arrogante. 

 Iniziamo a litigare fino ad arrivare alle armi e, mentre io cerco di scansare i colpi, lui cerca di uccidermi.

Cristoforo, il mio fedele servitore vedendomi ferito, viene in mio soccorso e si scaglia contro il nemico che, con una spada in mano, lo trafigge.

Io, vedendo Cristoforo a terra, con tutta la mia ira colpisco l’avversario al ventre e quello cade. I suoi bravi scappano e lo lasciano solo: rimaniamo io e i due defunti in mezzo ad una folla che si è fermata per assistere al duello.

Ora mentre scrivo, sono ricoverato nel vicino convento dei Cappuccini dove mi sono rifugiato e sto ripensando all’accaduto. Mi sento molto in colpa per la morte del mio servo, così ho deciso di chiamare un frate per cercare la vedova di Cristoforo e per dirle che provvederò io al mantenimento della famiglia.

L’antico pensiero di farmi frate è ritornato alla mia mente e, con questo segno divino, ho deciso di entrare nell’ordine dei Cappuccini, con il nuovo nome di Cristoforo.

La famiglia dell’assassino, nel frattempo, desidera far giustizia dell’ucciso, ma io vorrei chiedere il perdono e scusarmi per il gesto violento, così che mi recherò da loro e chiederò perdono.

Mi reco a casa della famiglia dell’ucciso.

Attraverso il cortile con una folla che mi squadra con una curiosità poco cerimoniosa e, seguito da un centinaio di sguardi, giungo alla presenza del padrone di casa.

Questo, circondato dai suoi parenti ha lo sguardo a terra e con la mano sinistra impugna il pomo della spada.

Io mi inginocchio e con un gesto umile invoco il perdono della famiglia che, mossa dalla commozione, mi perdona e mi offre il rinfresco. Io per non rifiutare i suoi doni chiedo un pane come pegno, lo saluto e mi reco verso l’uscita. Mentre la famiglia continua a festeggiare, abbandono la città pronto ad iniziare una nuova vita, più umile e meno ribelle.

 La nostra storia nota espressamente che, da quel giorno in poi, quel signore fu un po’ men precipitoso e un po’ più alla mano.  (Alessandro Manzoni)

 

Lecco, 9 Novembre 1628, al mattino. (Scalzo Rossella)

Appena arrivato a casa di Lucia mi accorgo che i miei presentimenti non erano falsi: guardando le due donne capisco che è successo qualcosa di grave.

Lucia scoppia a piangere e io cerco di tranquillizzarla, mentre chiedo ad Agnese di raccontarmi cos’è successo. Lei inizia la sua dolorosa relazione e io cerco di trattenermi.

Appoggio il gomito sinistro sul ginocchio, chino la fronte nella palma e con la destra stringo la barba e il mento come per tenere ferme e unite tutte le potenze dell’anima.

Penso a diverse ipotesi: mettere un po’ di vergogna a Don Abbondio e fargli sentire quanto manchi al suo dovere, informar di tutto il cardinal Arcivescolo, e invocar la sua autorità, oppure tirare dalla mia parte i miei confratelli di Milano.

Alla fine decido di affrontare io stesso Don Rodrigo per tentar di smuoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere, coi terrori dell’altra vita, anche di questa, se sia possibile.

Nel frattempo arriva Renzo che si ferma sulla soglia in silenzio.

Quando alzo lo sguardo per comunicare alle donne il mio progetto mi accorgo di lui e lo saluto. Renzo, prima commosso e poi infuriato, racconta del suo progetto di affrontare Don Rodrigo ma io lo afferro fortemente al braccio e gli faccio promettere che non provocherà nessuno e che si lascerà guidare da me.

Io cerco di tranquillizzarlo comunicando che andrò io stesso da lì a poco a parlare di persona a Don Rodrigo.

Detto questo, tronco i ringraziamenti e le benedizioni e mi avvio verso il convento per cantare le preghiere del mezzogiorno, poi mi metto in cammino per andare verso il covile della fiera che volevo provare ad ammansare…

 

Lecco, 9 Novembre 1628 (Nicotra Gaia)

Mentre mi avvicino al castelletto di Don Rodrigo, attraverso le strade del paese, mi rendo conto che tutti gli abitanti hanno connotati somatici inquietanti, dalle donne ai bambini: i volti sono arroganti e le espressioni maleducate.

Intravedo l’uscio presidiato da due energumeni di guardie e su di esso vedo  scolpite due teste di avvoltoi. L’edificio sembra abbandonato, le finestre sono serrate da inferriate possenti, l’atmosfera è tutt’altro che lieve, si odono cani abbaiare ferocemente. Una delle due guardie, riconoscendo il mio abito, mi degna di attenzione e mi permette di entrare. Vengo accompagnato in una sala dalla quale si sentono commensali in festa; mi annunciano, entro, un’atmosfera di disagio mi assale: è in corso una discussione su tematiche letterarie, mi vogliono coinvolgere ma cerco di evitare ogni domanda. Infastidito da ciò, Don Rodrigo quasi con tono di minaccia, mi ricorda che in fondo sa benissimo che non sono sempre stato un religioso ma un uomo di mondo e a questo punto vorrei rispondere, ma preferisco tacere ricordandomi il motivo per cui mi sono recato in questo luogo.

La discussione poi riprende, questa volta il soggetto è la successione al Ducato di Mantova, che io ascolto in silenzio, non voglio partecipare, mi sembra don Rodrigo che si stia perdendo tempo per non avere un colloquio privato con me. Me ne sto zitto in un angolo, paziente, non posso andarmene senza essere stato ascoltato, prima o poi qualcuno smetterà di parlare … Ecco! Don Rodrigo incrocia il mio sguardo, forse mi concede udienza, si alza, si avvicina e mi fa cenno di seguirlo in un’altra sala. conduce in un’ altra sala.

Don Rodrigo si mette zitto in mezzo alla stanza e mi chiede con tono deciso e quasi irriverente:  “In che cosa posso ubbidirla?”

Giro e rigiro la corona del rosario tra le mie mani cercando frasi da pronunciare o meglio cercando di non far uscire quelle che avrei voluto pronunciare, ma che non erano adatte al fine che mi ero proposto; cosi decido di venire al dunque e di chiedere un atto di carità, vale a dire di lasciare in pace Renzo e Lucia. Don Rodrigo mi risponde stizzito, dicendo di non amare chi fa leva sui sentimenti di coscienza e onore e che ha molto rispetto del mio abito ma che potrebbe dimenticarsene. Cerco di rimediare solleticando  l’ego di questo uomo  dice:  “Una parola di lei può far tutto”.  Don Rodrigo mi risponde: “Ebbene” e per un attimo spero  abbia deciso di lasciare libera Lucia, invece rigira il discorso dicendomi di portargliela in modo che possa proteggerla.

A questo punto non ce la faccio più ed esplodo dicendo: ” La vostra protezione! E’ meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatto a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.”

Inizio a dire che la sua casa sarà maledetta e termino dicendo: “Verrà un giorno…”

Don Rodrigo davanti a me rimane stupefatto, mi sembra impaurito, poi grida forte di levarmi dai piedi, mi indica la porta e io me ne vado.

Uscendo il vecchio guardiano, mi si avvicina e portandosi un dito alla bocca mi sussurra: “Padre ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle” spero di avere qualche risposta subito, invece quello mi propone un incontro in un luogo più sicuro nei giorni seguenti.

Milano,  24 Agosto 1630 (Nicotra Gaia)

Mi trovo nel lazzeretto, un recinto quadrilatero fuori dalla città di Milano destinato agli appestati, mi guardo intorno e vedo solamente uomini malati, con gli occhi che urlano sofferenza e dolore, uno di essi mi si avvicina e mi chiede aiuto, un aiuto fatto solo di parole e comprensione… nulla può guarirlo.

Mentre mi aggiro tra le baracche piene di paglia putrida e fetente con la scodella in mano, mi fermo all’uscio di una di esse, mi siedo e sento una voce, una voce familiare; poso in terra la scodella e mi alzo con difficoltà, rimango meravigliato da quell’uomo che riconosco essere Renzo, “come sta padre? Come sta?” mi domanda. Rispondo, ancora sorpreso: “Meglio di tanti poverini che tu vedi qui” . Gli chiedo di Lucia e mi dice che non è ancora sua moglie e la sta cercando, spera di trovarla proprio lì.

Mi ritiro con lui in un posto appartato,  gli procuro un pasto caldo e gli chiedo di raccontarmi cosa è successo; tra una cucchiaiata e l’altra, Renzo mi racconta di Lucia del suo rapimento e della sua clausura nel Monastero di Monza; mi racconta di essere stato anche a Milano ma di non averla trovata.

Gli dico che le donne nel lazzeretto sono divise dagli uomini ed è proibito incontrarsi.

Mi dice che sono venti mesi che la cerca e gli indico di rivolgersi a Padre Felice, il frate cappuccino del lazzeretto, perché proprio oggi avverrà l’incontro di tutti i superstiti. Quindi gli consiglio di intrufolarsi quando ci sarà il rintocco delle campane e cercare di scorgere il volto di Lucia. Spero prima di morire di sapere che lei sia viva … L’afferro per un braccio e lo sposto dicendogli che non ho tempo di dargli retta e ascoltare i suoi desideri di vendetta. Ma decido di prenderlo per mano e lo conduco in una stanza, all’interno della quale riposa un uomo in fin di vita: Don Rodrigo. Glielo indico e voglio che lo guardi, lo induco a perdonare ” forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipendono ora da te, da un sentimento di perdono, di compassione…d’amore!”

Renzo giunge le mani e china il viso su di esse, usciamo dalla stanza, io  mi avvio lentamente e dolorante con il pensiero di poterlo incontrare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Blog del Cardinal Borromeo

Milano, mercoledì 16 dicembre 1628 (Mauro Beatrice)

Ho deciso di intraprendere la trascrizione delle mie memorie, ma prima ci tengo a esporre un po’ della mia storia. Il mio nome è Federigo e porto il cognome di una nobile familglia: i Borromeo. Tutti mi considerano un uomo di rara virtù e intelligenza che impiego nella ricerca del bene.

Fin dall’infanzia presi sul serio gli insegnamenti cristiani e decisi di seguirli, infatti, all’età di 16 anni, entrai nel collegio di Borromeo di Pavia, che fondò mio cugino Carlo. Lì, oltre a seguire la regola ecclesiastica, insegnai la dottrina  cristiana al popolo di Pavia. Non mi è mai piaciuto approfittarmene della situazione economica favorevole, anzi, sto rifiutando ancora oggi  tutti i vantaggi che la mia famiglia mi offre. Mi opposi persino ad un insegnamento che mi avrebbe permesso di distinguermi nella società.  Sono un uomo umile e amante della cultura, infatti un paio di anni fa fondai a Milano la biblioteca Ambrosiana fornendola di 30 mila libri di cultura orientale, e la riempii di esperti insegnanti.

Sostengo  l’uguaglianza e la pace tra tutti gli uomini, infatti considero l’elemosina un dovere, mi sento realizzato nell’aiutare gli altri e poi… Dio sicuramente riconoscerà quello che faccio nei confronti dei più bisognosi e, se avrò bisogno, mi saprà aiutare nello stesso modo. Nel 1594 morì mio cugino Carlo che mi sostenne in tutte le mie avventure e decisioni all’interno della Chiesa; alla sua morte tutti volevano e credevano che sarei stato io a prendere il suo posto ma io rifiutai poichè non mi ritenevo degno di un incarico così ambito e pericoloso al tempo stesso. Successivamente, nel 1595, Papa Clemente VIII mi propose l’incarico di Arcivescovo di Milano: io dapprima rifiutai per poi ubbidire  all’espresso ordine del Papa. Sto scrivendo molte opere morali, storiche, religiose e letterarie in lingua latina e italiana. Chissà, magari quando la mia anima sarà nelle mani dell’Alti ssimo queste verranno inserite nella biblioteca da me fondata.

Milano, Giovedì 17 dicembre 1628 (Mauro Beatrice)

Oggi la mia solita routine della domenica mattina è stata interrotta da un incontro con una persona molto particolare; una folla enorme per strada mi voleva incontrare. Mentre mi stavo dedicando agli ufizi divini e la strada era piena di gente che mi voleva vedere si è presentato a me il cappellano che presentava un viso turbato dicendomi che un “signore” chiedeva di essere ricevuto. Ho capito subito il motivo  di quell’espressione, smentendo ogni mia aspettativa, l’ospite che voleva incontrarmi era l’Innominato!!! Varcata la porta siamo rimasti uno di fronte all’altro per un po’ di tempo senza dire nulla. Costui era considerato un criminale dalla faccia cattiva ma questa mattina aveva il volto diverso dal solito: sembrava straziato e tormentato. Nonostante sapessi della sua reputazione nella societá non mi sono fatto intimorire e ho fatto tre passi avanti verso di lui per accoglierlo nel migliore dei modi. Se avesse avuto brutte intenzioni avrei fatto giustizia alla grazia divina e alla speranza della vita eterna. Con molta cautela ho fatto io la prima mossa domandandogli  la ragione di questa visita. Mi diceva che aveva il cuore oppresso e, a seguito di una profonda maturazione della sua coscienza e una notte tormentata da mille pensieri, avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare di tutto il male che aveva inflitto a tutti i poveri innocenti. Ero stupito, e non poco, sentendo proferire queste parole di pentimento dall’uomo considerato “Il Criminale”. A quel punto gli ho detto: “Dio solo può perdonarvi  e salvarvi! Se io sono preoccupato per la vostra salvezza pensate qual è l’amore di Dio per voi. Dio può fare di voi un esempio della sua gloria per tutti gli uomini”.  

La sua espressione era cambiata, era stato colpito dalla provvidenza  divina, il suo sguardo aveva gli occhi in lacrime dalla contentezza. Mentre piangeva sulla mia spalla mi diceva che non aveva mai provato sensazione più bella di quella che provava adesso: rimpiangeva tutte le azioni per cui poteva solo pentirsi ma almeno adesso avrebbe potuto interrompere quelle messe in programma. Mi ha raccontato della prepotenza che stava per fare a una giovine che ora si trovava al castello dell’Innominato e, che voleva liberare all’istante. Ho incaricato subito il cappellano di chiamare nella stanza in cui ero il parroco del paese e il parroco del paesello nel quale risiedeva la povera perseguitata. Il primo venne subito avanti mentre il secondo veniva controvoglia. Mentre incaricavo il parroco del paese di far chiamare qualche buona donna, che lo avrebbe accompagnato a prendere Lucia al castello, ordinavo di far preparare subito una lettiga e due mule per Don Abbondio. Ho rassicurato quest’ultimo dicendogli: “Consoleremo questa povera giovane e faremo il suo benessere”.

Ora si è fatto tardi, vado a pregare l’Altissimo di accompagnarmi in questa avventura e domattina proseguiró la trascrizione del mio diario personale.

Blog di Agnese

Mercoledì 8 Novembre 1628. ( federica )

Io sono Agnese, la madre della famosa Lucia Mondella di cui tutti parlano; bravissima ragazza mia figlia, ma ora non siamo qui per parlare di lei, io sono una donna molto furba e molti dicono che io non sia così colta ma a parer mio non è  vero, infatti a Lucia e al suo futuro marito do sempre ottimi consigli.

Quando Renzo informò anche me della notizia non ci potevo credere! Lucia e Renzo non si potevano sposare per colpa di un ignorante Signorotto che si era invaghito di mia figlia. Non poteva accadere una cosa simile, dovevo pensare a qualcosa e anche in fretta prima che succedesse qualcosa di molto peggio… data la violenza di Renzo in quel momento.

Lucia era in lacrime ed io da madre mi sentivo distrutta a vedere la mia bambina, ormai diventata donna, stare così per un prepotente. Mi raccontò che qualche giorno prima mentre tornava dalla filanda incontrò Don Rodrigo, in compagnia di un altro uomo, che che cercò di trattenerla in chiacchiere non troppo belle e quando lei si allontanò sentì il signorotto esclamare “scommettiamo!” e altri sghignazzi.

Così mi venne in mente un’idea geniale, mandai Renzo dall’Azzecca-garbugli chi meglio di lui poteva risolvere questa nostra questione?

Prese quattro capponi e si avviò verso lo studio dell’uomo.

9 Novembre 1628 (Federica)

La mia soluzione non ha funzionato, eppure pensavamo tutti che fosse un’idea geniale, che un uomo sveglio e furbo come lui ci sarebbe riuscito a risolvere i nostri dilemmi.                                                                                          Renzo arrivò con un’espressione indispettita e mortificata allo stesso tempo.                                                        Cercai così di dimostrargli che la mia idea sarebbe stata buona se solo Renzo fosse stato capace di svolgere il suo semplice compito, Ma Lucia ci interruppe annunciandoci un’idea migliore, chiedere al buon Fra Cristoforo e decidemmo di incontrarlo il giorno seguente.

Giovedì 9 Novembre 1628. (federica)

Quando incontrammo Fra Cristoforo il giorno seguente mi scusai per averlo disturbato e Lucia scoppiò a piangere e il buon uomo cercò di calmarla ma non sapeva più come fare ed iniziò a diventare dei mille colori.

Gli raccontammo di come si fosse comportato Don Abbondio e Don Rodrigo e lui faceva quasi fatica a trattenersi dal nervoso, ne ha dette di tutti i tipi di quei due vigliacchi.

Così iniziò a pensare a un modo per risolvere la questione.

                                            *** 9 Novembre 1628  (Nari Laura)

Dopo un po’ qualcun altro bussava alla porta, questa volta era Renzo.                                                                      Dopo aver salutato il frate, Renzo iniziava  ad insultare quella canaglia di Don Rodrigo ed a lamentarsi che tutti i suoi amici nel paese lo avevano abbandonato nel momento del bisogno, ma subito veniva  interrotto e rimproverato da Padre Cristoforo.                                                                                                                                                        Egli ci diceva che sarebbe andato lui stesso da Don Rodrigo, che Dio vegli su di lui.                                                      Dopo averci consigliato di starcene nella nostra casa  si avviava verso il suo convento.                                          Stavamo nella nostra casa in silenzio,  dopo  un po’ mi veniva una fantastica idea, perché non fare un matrimonio a sorpresa? Era di sicuro un piano migliore di quello di Fra Cristoforo, sarebbe servito solo coraggio e destrezza.            Renzo era fomentato e la mia figliola titubante così spiegavo che, una volta sposati, tutto si sarebbe risolto. Avevo sentito dire giù in paese che per un matrimonio ci doveva essere, si un curato, ma non per forza  il suo consenso. Ci devono essere due testimoni molto furbi, si sarebbe dovuti andare dal curato, prendendolo alla sprovvista. L’uomo dovrà dire:”Signor curato, questa è mia moglie.”; la donna dovrà dire :”Signor curato questo è mio marito.” e il matrimonio sarà valido.

Anche una mia amica aveva usato questo stratagemma per sposare il suo amato senza il consenso dei suoi parenti, ma la poveretta se ne pentì dopo tre giorni.                                                                                                                      Renzo subito non ci credeva ma sono riuscita a convincerlo, invece Lucia non voleva averne a che fare. Diceva che era solo un imbroglio, che si doveva dire tutto al Padre Cristoforo.                                                                         Renzo però non le dava ascolto, ci salutava e si dirigeva subito a cercare i due testimoni.

 *** 9 Novembre 1628, tardo pomeriggio (Nari Laura)

Finalmente è  tornato il mio caro genero, ci ha  spiegato  che  ha  convinto il suo amico Tonio e il cugino ad aiutarci nel nostro inganno.                                                                                                                                                    Lucia è  ancora titubante ma la cosa non importa molto a me a Renzo, questo matrimonio s’ ha da fare!                    Io e Renzo eravamo decisamente motivati, fino a quando mi ricordavo della presenza di Perpetua nella casa del curato. Non avrebbe di sicuro fatto entrare i due promessi sposi a quell’ora della sera.                                          Subito dopo trovavo una soluzione : avrei distratto Perpetua, nota come una grande chiacchierona, con dei grandi pettegolezzi .                                                                                                                                                                  La mia cara Lucia però non si lasciava smuovere, non voleva sposarsi con inganni e sotterfugi, men che meno nascondere una cosa simile a Fra Cristoforo, voleva sentire la sua idea.                                                                 Subito dopo  sentivamo dei passi, era proprio Padre Cristoforo.                                                                                  Lui ci aveva detto che all’indomani avremmo dovuto recarci nel suo convento, dove   ci avrebbe spiegato il suo piano.  Ci spiegava anche cos’era successo con Don  Rodrigo.                                                                                          Dopo aver finito il racconto Fra Cristoforo usciva di fretta dalla nostra casa per arrivare prima della notte nel convento , per evitare  di incorrere nelle penitenze. Mentre usciva, ci ricordava di avere fede nel Signore e nella provvidenza.                                                                                                                                                                      Uscito il frate , io non ero così convinta delle sue parole . Renzo era fuori di sé dalla rabbia, tornava a proferire minacce contro Don Rodrigo. Io e Lucia provavamo a farlo ragionare, ma il giovane non voleva  sentire ragioni ed era determinato ad uccidere Don Rodrigo. Provavo inutilmente a calmarlo, Lucia piangeva e lo supplicava  di rinsavire, si inginocchiava di fronte a lui  e prometteva  che sarebbe andata dal curato per tentare il “matrimonio a sorpresa”, quindi finalmente Renzo si calmava.

*** 10 Novembre 1628, mattina (Nari Laura)

Questa mattina è arrivato Renzo per definire i dettagli del nostro grande piano. Dopo gli ho chiesto se poteva andare al convento per parlare con Padre Cristoforo, ma lui si è rifiutato per paura che il frate scoprisse degli inganni che avevamo in mente.                                                                                                                                                            Allora ho deciso di andare da un ragazzino di dodici di nome Menico, per chiedergli di andare dal cappucciono, sentire cos’aveva da dire e tornare dalle due donne a riferirgli le sue parole in cambio di un paio di monete d’argento, fortunatamente Menico ha accettato.                                                                                                          Dopo essere tornata a casa sono successe cose molto strane, per prima cosa è arrivato un mendicante a chiedere il pane, quando però ha ricevuta la sua pagnotta si è trattenuto nella nostra casa con delle scuse mentre curiosava in giro.                                                                                                                                                                                Dopo il mendicante, altre persone sono passate davanti alla nostra casa in modo sospetto fino a mezzogiorno. Io e la mia adorata  Lucia eravamo intimorite per cioò che era successo, l’idea del matrimonio a sorpresa non sembrava più così geniale.

*** 10 Novembre 1628, notte (Nari Laura)

Era arrivato il gran momento! Ci siamo incamminati verso la casa del curato per l’ inganno, arrivati alla porta Tonio e Gervaso chiamarono Perpetua mentre io, Renzo e Lucia ci nascondevamo.                                                          Perpetua, dopo essere andata ad avvertire Don Abbondio della presenza dei due, li raggiunge. Poi, come per caso, sono arrivata io per distrarla, la domestica così invita i due uomini a entrare, mentre gli  dico che per alcuni pettegolezzi Perpetua non avrebbe sposato due pretendenti perché non l’avevano voluta, subito ha negato la cosa e mi ha chiesto chi aveva messo in giro delle simile menzogne. Ho finto di voler sapere altri particolari, inizio a parlare con Perpetua e la faccio allontanare dalla casa.  Quando io e Perpetua ci siamo allontanate abbastanza, ho  tossito forte per lanciare un  segnale che ha fatto capire a Renzo e Lucia che era il momento di entrare nella casa.      È passato un po’ di tempo e stavo ancora parlando con Perpetua cercando di non farla avvicinare alla casa del curato. Non avevo avuto nessun segno della buona riuscita del piano quando ad un certo punto sentiamo le grida di Don Abbondio. Io continuo a parlare con indifferenza ma Perpetua sentendole grida di aiuto si precipita verso la casa. Io la seguo ma subito dopo sento le urla di Menico e in contemporanea il suono delle campane. Insomma nel Paese si è creato un grande casino!                                                                                                                        Arrivata alla casa  arrivarono subito Renzo e Lucia. Renzo invita me e la mia povera figliola a casa, ma arriva di corsa Menico che ci invita ad andare da Fra Cristoforo. Così ci siamo incamminati verso il convento tagliando per i campi. Quando siamo arrivati in un campo isolato, Renzo mi ha informato dell’esito negativo del piano e Menico ci racconta che nella nostra erano entrati gli scagnozzi di Don Rodrigo, quel farabutto! Do a Menico 4 monete d’argento e Renzo gli da una berlinga, speriamo che non dica niente di quel che il Frate gli ha detto.                                                                                                                                                                                Siamo arrivati al convento, all’ingresso ci sono Padre Cristoforo e Fra Fazio, diffindente dal fatto che due donne entrino un convento.                                                                                                                                                      Fra Cristoforo ci consiglia di lasciare il nostro paese, ormai non è più un posto sicuro per noi. Io e mia figlia saremmo dovute andare a Monza in un convento, Renzo invece sarebbe dovuto andare a Milano da Padre Bonaventura da Lodi.                                                                                                                                                                                    frate ci invita a raggiungere la riva del lago  dove troveremo un barcaiolo che ci trasporterà alla riva opposta, dove una carrozza ci porterà fino a Monza.                                                                                                                       Siamo usciti dal convento e ci siamo recati alla riva del Lago dove subito abbiamo trovato il barcaiolo, e dopo aver detto la frase in codice ci fa salire sulla barca e inizia a remare verso la riva opposta. La mia bellissima figlia ha un aria triste, so che gli mancherà questo piccolo paesino.

Monza 11 Novembre 1628, mattina (Nari Laura)

Il barcaiolo ci fa scendere sulla sponda opposta dell’Adda. Il calesse è lì ad attenderci con il suo conduttore, perciò saliamo e l’uomo parte subito per Monza.                                                                                                                     Arriviamo a Monza poco dopo l’alba e  il conduttore del calesse ci porta in una locanda per riposarci, Renzo vuole restare con noi, ma doveva subito partire per Milano per obbedire a Padre Cristoforo. Renzo quindi si incammina verso Milano mentre la mia povera figlia piange per la separazione.                                                                                Il conduttore del calesse ci conduce al convento dei padri cappuccini e una volta arrivati l’uomo fa subito chiamare il padre guardiano. Lui si presenta sull’uscio e legge la lettera scritta da padre Cristoforo. Così capisce che solo la “ Signora” potrà esserci d’aiuto, e ci invita a seguirlo al convento delle monache. Intanto il frate ci raccomanda di seguirlo a una certa distanza in strada, per evitare che la situazione si possa fraintendere. Il conduttore del calesse ci rassicura che questa “Signora” è una brava persona, molto rispettata e che con lei saremo state al sicuro. Quando arriviamo al convento il conduttore ci lascia con il frate e ci augura il meglio. Il frate ci fa entrare nel cortile del convento e ci  fa attendere nelle stanze della fattoressa, mentre lui va a chiedere udienza alla “Signora”, torna poco dopo e le accompagna al parlatorio per parlare con la” Signora”.                                                                                      La mia figlia non è mai stata in un convento e rimane  sorpresa di non vedere la monaca, vede poi il padre guardiano avvicinarsi a una finestra con una grata che si apre sulla parete, dietro di essa c’è la “Signora”.                    Il Padre ci presenta la “Signora” e noi subito ci inchiniamo. La monaca subito inizia a chiedere a Lucia la sua storia, ma la mia povera figlia è troppo sconvolta per rispondere quindi inizio a parlare io ma subito il Frate mi zittisce e continua lui la storia. Però la monaca chiede altri particolari, ma li vuole sentire dalla mia Lucia questa volta.            Lucia è imbarazzata e inizia a balbettare senza dir nulla, così inzio a spiegare a Gertrude che Lucia odia quel farabutto  ed è promessa in sposa a Renzo, e che sarebbero già sposati se il curato del paese avesse avuto più coraggio! Gertrude mi interrompe bruscamente e mi rimprovera di parlare senza essere interrogata, che persona maleducata! Il padre guardiano accenna a Lucia che deve essere lei a raccontare la sua storia.                              Lucia quindi prende coraggio e  inizia a raccontare, dopo inizia a supplicare la “Signora” di concederci la sua protezione. Gertrude crede a Lucia e sceglie di aiutarla, così decide di ospitarci. Dopo decide di parlare in privato con Lucia così fa uscire me e il frate dalla stanza.                                                                                                                  È passato un po’ di tempo e finalmente Lucia esce dalla stanza e mi confida l’imbarazzo nel rispondere alle domande della monaca. Così la consolo dicendole che tutti, chi più e chi meno, sono strani e che prima a  poi lo capirà anche lei. Il frate ci fa accomodare nell’alloggio lasciato dalla figlia della fattoressa, sono molto felice di aver trovato protezione, adesso io e la mia adorata figlia possiamo essere serene.

 

Monza 13 Novembre 1628 (Laura Nari)

Sono passati pochi giorni da quando io e Lucia ci siamo trasferite a Monza, ma sta mattina la fattoressa mi ha raccontato delle voci che si sono sparse giù in paese.  A Milano hanno arrestato dei capi della rivolta e presto saranno uccisi, uno di questi è scappato e veniva da Lecco. Che sia il nostro Renzo?!                                                    All’inizio pregavo  Dio che non fosse lui, ma poco dopo la fattoressa ci ha confermato che era proprio lui. La mia povera Lucia era spaventata ma io con calma spiegai che quel giovane è una persona per bene.

 

 

Monza 31 Novembre 1628 (Laura Nari)

Due settimane fa  è arrivato un pescaiolo di Pescarenico mandato da Fra Cristoforo, ci ha detto che le voci che girano su Renzo sono vere, ma il ragazzo, fortunatamente, è sano e salvo nel Bergamasco. Almeno adesso la mia amata figlia potrà dormire sonni tranquilli.                                                                                                                     Lo scorso Giovedì è tornato di nuovo è ci ha confermato che Renzo sta bene, anche se non ci sono notizie precise di che fine abbia fatto il giovane.                                                                                                                                        Ieri mattina il pescaiolo non è tornato, così ho preso una decisione, andrò al paese a parlare direttamente con Fra Cristoforo, chiederò al pescaiolo di accompagnarmi fino a Pescarenico, non potrà rifiutare.                                    Siamo arrivati sta mattina a Pescarenico, e subito mi sono avviata verso il convento dei cappuccini.                              Ho suonato il campanello e subito mi ha aperto fra Galdino. Il Padre Cristoforo non è nel convento ma io non posso parlare con altri padri del convento. Così ho deciso di tornare nel paese, chissà cosa ci aspetterà nel futuro.

Novembre 1628 (Nari Laura)

Il buon cardinal Borromeo mi ha avvertito del rapimento di Lucia, così sono subito partita verso il Paese vicino al Palazzo dell’Innominato, chissà cos’ha fatto quel mostro a mia figlia!                                                                          Nel viaggio verso il paese ho incontrato Don Abbondio, così ho potuto raccontargli tutte le disgrazie di mia figlia. Ma non avevo molto tempo, non vedevo l’ora di riabbracciare.                                                                                              Più tardi sono finalmente arrivata a casa del sarto e finalmente ho visto la mia adorata figlia. La padrona di casa ci ha lasciate sole per parlare, Lucia mi racconta di tutte le disavventure. Ovviamente tutto quello che era successo era stato architettato da Don Rodrigo, quel maledetto!                                                                                            Abbiamo parlato anche di Renzo, ma Lucia non sembrava interessata all’argomento. Chissà perché.                            Il nostro discorso viene poi interrotto dall’arrivo del cardinal Borromeo che si fa raccontare tutto quello che era successo, a partire da Don Rodrigo.

 

Novembre-Dicembre 1628 (Nari Laura)

Io e Lucia siamo ancora ospiti nella casa del sarto, a mia figliola passa tutto il tempo a cucinare e io spero ogni secondo di ritrovare Renzo e di continuare la nostra vita. Io e la moglie del sarto siamo diventate grandi amiche, parliamo sempre dei pettegolezzi in paese.                                                                                                                  Un pomeriggio arriva una carrozza che viene a prendere me e Lucia per portarci da donna Prassede, una donna molto buona da come dicono nel paese. Così accettiamo e quando arriviamo, la donna ci accoglie calorosamente.       Mi ha subito fatto una buona impressione, sembra una donna gentile e di buone maniere. Voleva offrire a me e Lucia ospitalità nella sua casa a Milano.                                                                                                                          Io e Lucia non ci abbiamo pensato due volte e abbiamo accettato l’offerta, la loro villa è vicino al nostro paese. Così il marito di donna Prassede ha scritto una lettera al cardinal Borromeo per informarlo.                                          Pochi giorni dopo siamo arrivate al paese, in seguito faccio vedere al cardinale la lettera di don Ferrante e dopo averla letta decide che l’invito di donna Prassede è la cosa migliore per noi

16-18 Dicembre 1628 (Federica Pannia)

Mia figlia Lucia è andata da donna Prassede, ma per fortuna la potrò ancora vedere prima che parta per Milano stavo infatti pensando ad un modo per poter passare un po’ più tempo con lei, probabilmente starò qualche giorno nella villa vicino al villaggio… si farò così!

Comunque sia, oggi il cardinal Borromeo mi ha fatto chiamare con molta urgenza, al che sono subito andata da lui per vedere cosa fosse successo: l’innominato l’ha incaricato i consegnarmi cento scudi d’oro ed una lettera in cui diceva al cardinale di consegnarmi questa somma come risarcimento per il male fatto a Lucia e per farmi sapere che qualunque cosa avessimo avuto bisogno lui ci sarebbe stato. Chi l’avrebbe mai detto che uno dei criminali più temuti sarebbe diventato così gentile?

Arrivata a casa non ci credevo ancora.

Il giorno dopo sono andata a trovare Lucia per raccontarle tutto ma lei non sembrava entusiasta.. anzi, sembrava completamente apatica alla notizia, cercai di capire cosa avesse fin quando non mi diede la notizia: si era votata alla Vergine, di non voler più pensare a Renzo e mi chiese se potevo farglielo sapere. Non sapevo proprio come reagire, mi limitai a dirle che l’avrei fatto, ma il problema era che nessuno sapeva che fine avesse fatto Renzo!

*** Dicembre 1628, tarda sera. (Federica Pannia)

Oggi mi è arrivata una lettera da Renzo finalmente, sono andata infatti a Maggianico a farmela leggere da mio cugino Alessio e per inviare una risposta.

Ho dovuto informare Renzo del voto della sua futura sposa, poverino… chissà come la prenderà.

*** 1629 (Federica Pannia)

Oggi ho aiutato Don Abbondio e Perpetua a scappare dai lanzichenecchi: gli ho proposto di andare a vivere nel castello dell’innominato per qualche tempo ed hanno subito accettato, così ci siamo subito messi in viaggio tagliando dai campi.

Siamo andati a casa del sarto e non ce l’ho più fatta, sono scoppiata a piangere come una bambina tra le braccia della moglie del sarto, ci hanno offerto poi il pranzo e ci siamo rimessi in viaggio.

Arrivati lì siamo stati accolti benevolmente e ci è dispiaciuto dovercene andare.

Quando siamo tornati in paese abbiamo fatto un’orribile scoperta: i lanzichenecchi erano arrivati anche li, era tutto completamente distrutto.

Agosto-Settembre 1929. (Federica Pannia)

Era arrivata la peste e io non potevo starmene li e rischiare di essere contagiata così sono partita per Pasturo. Ad un certo punto sento bussare e vidi Renzo: mi disse che per fortuna mia figlia stava bene, lo invitai ad entrare ma rifiutò per la paura di contagiarmi nonostante non fosse infetto, ormai era l’unica cosa di cui si parlava; così andammo in un orto dietro casa e mi spiegò tutto: lo scioglimento del voto di Lucia, il loro trasferimento dopo le nozze, proprio tutto senza tralasciare niente

 

 

Blog di don Abbondio

 

7 novembre 1628 (Rebecca Crisalfi)

Buongiorno,

 

Il mio nome è Don Abbondio e sono qui a scrivere la prima pagina del mio diario personale, perché ormai era impossibile far tacere le mie paure, cosi ho deciso di manifestarle.

Tutto ebbe inizio ieri sera: stavo tornando a casa, come sempre, avevo con me il mio ufizio. Tra un salmo e l’altro mettevo l’indice per tenere il segno della mia lettura e mettevo il breviario dietro la schiena e continuavo tranquillamente la mia passeggiata dando calci qua e là ai ciottoli che incontravo lungo la strada .

E qui arriva il bello!! Ai lati del tabernacolo c’era una delle mie più grandi paure: I bravi!
Erano uno di fronte all’altro con indosso i loro vestiti che non lasciavano nulla all’immaginazione: tra piume, pistole e coltellacci, non potevo non capire che si trattasse di due criminali.
Così su due piedi presi la decisione di passarci accanto e far finta di non essermi accorto della loro presenza,  Ma il mio piano non andò a buon fine: nel momento in cui sono passavo davanti a loro, sentì uscir dalle loro bocche il mio nome.
In quel momento mi si gelò il sangue: i due bravi ebbero il coraggio di impormi di non sposare Renzo e Lucia e mi minacciarono quasi di morte, ma mi chiarirono di esser “galantuomini” e  mi dissero che li mandava un signorotto e fecero il suo nome: Don Rodrigo .Dal momento che non sono un uomo coraggioso gliel’ho data vinta e sono corso a casa spaventato.

(Rebecca Crisalfi)

Stamattina, al mio risveglio, parlai con Agnese e lei  mi consigliò di andare al paese perché sarebbe arrivato il Cardinal Federico Borromeo , allora decisi di seguire il suo consiglio e salii in sella al mio asinello e con un andamento  tranquillo mi diressi verso il paese. Quando arrivai vidi tantissima gente raggruppata attorno al cardinale, allora scesi dal mio asinello e mi incamminai verso colui che veniva venerato come se fosse un santo.

Quando arrivai sentii pronunciare il nome di Lucia Mondella e capii subito che il cardinal Borromeo stava cercando una persona che la conoscesse. Allora decisi di smettere di essere il solito vaso di terra cotta in mezzo a tanti vasi di ferro, presi coraggio e dissi al cardinal Borromeo che io conoscevo Lucia Mondella.

Subito il cardinale mi impose di salire in sella al mio asinello e di dirigermi con  lui verso il palazzo dove era rinchiusa la povera Lucia.

Durante il tragitto pensai tra me e me a quanto fosse spaventoso e imponente Don Rodrigo e quanto potessi sembrare un uomo poco coraggioso al suo fianco,  subito mi balenò nella mente cosa fosse successo alla povera Lucia . Arrivati al castello appena mi vide si rilasso penso per la famigliarità del mio viso. durante la giornata pensammo a dove mandare Lucia non potendo tornare a casa sua perché li ci sarebbe stato don Rodrigo ad aspettarla . ma decidemmo di portarla in casa di donna Prassede e suo marito che si sarebbero presi cura di lei . Agnese si diresse verso casa e Lucia andò nel paesetto senza alcun rischio.

 

UNA NOTTE  INGANNEVOLE

Casa mia, Notte del 10 novembre 1628  h. 21.00     (Annalisa Catania)

Oggi, 10 Novembre 1628, sono seduto sulla mia poltrona e ho deciso di raccontarvi la notte che mi è toccato passare, in cui Renzo e Lucia hanno provato ad ingannarmi intrufolandosi a casa mia grazie all’aiuto di Tonio e Gervaso. Spero così di mettere un po’ a tacere la mia paura scrivendo.

Questa notte, ancora provato dallo spavento ed un po’ febbricitante, ero seduto sulla mia poltrona e leggevo beatamente un panegirico in onore di San Carlo.
Tutto d’un tratto, era arrivata Perpetua, la quale mi aveva annunciato la visita di Tonio: Com’era possibile che mi disturbasse proprio a quell’ora della notte? Mi ero assicurato che fosse proprio lui, non volevo altre sorprese! Avevo sentito bussare, ero andato ad aprire lentamente la porta e davanti a me avevo visto Tonio con suo fratello Gervaso: questa visita mi aveva infastidito, d’altra parte ero malato, così avevo deciso di farglielo presente. Avevo un misto di curiosità, irrequietezza e paura, dopo tutto quello che avevo passato, e poi perché ha dovuto portarsi dietro il fratello proprio non l’ho capito! Tonio mi aveva riferito di essere stato lì per riscattare la collana, mi aveva assalito un dubbio: come mai riscattare la collana proprio a quell’ora della notte? Ma l’avevo scacciato via, tanto più che mi aveva chiesto anche la ricevuta; comunque avevo aperto un cassetto del tavolino, avevo preso carta, penna e calamaio e avevo iniziato a scrivere quanto chiesto. Avevo notato che Tonio e Gervasio si erano messi davanti a me tutti e due ritti, impedendomi la vista della porta d’ingresso, e facevano strani rumori con i piedi sul pavimento… non capivo…ma lasciavo correre. Avevo finito di scrivere, avevo piegato la carta richiesta e l’avevo consegnata a Tonio, ma nel frattempo, i due fratelli improvvisamente si erano divisi e in mezzo a loro erano apparsi Renzo e Lucia… povero me! La vista mi si era offuscata, poi misi a fuoco l’immagine mentre una rabbia mi assaliva e cercavo di trovare una ragione ed una soluzione per ciò che stava accadendo! Renzo pronunciava queste parole: “Signor curato, in presenza di questi testimoni questa è mia moglie” allora io, che avevo capito cosa volevano fare, avevo afferrato con la mano sinistra la lanterna e con la destra la tovaglia sul tavolo e avevo fatto cadere libro, carta e tutto ciò che c’era su di esso; Lucia era riuscita solamente a dire: ”E questo…” ma fortunatamente ero riuscito a farla tacere buttandole in testa il copritavolo. Avevo urlato il nome di Perpetua chiedendole di venirmi in aiuto. Lucia era  terrorizzata ed immobile, la lanterna si era  spenta in quella gran confusione, così ho cercato di mandare via tutti e di farli uscire dalla casa, ma non vedendo, non capivo dove mi stessi dirigendo, ho aperto la finestra e ho cominciato a chiamare aiuto a squarciagola, ma ahimè, non c’era nessuno. Per fortuna il mio sacrestano si era svegliato e si era chiesto cosa stesse succedendo; io l’avevo chiamato e avevo cercato di farlo accorrere al più presto e lui andò a suonare le campane a martello, contemporaneamente coloro che erano entrati con l’inganno se ne andarono. Avevo richiuso la finestra e avevo litigato con Perpetua che aveva permesso l’accaduto, non essendo stata abbastanza accorta.

La gente, che al suon delle campane era accorsa, aveva fatto molto rumore e si era domandata cosa fosse successo. Io ero spaventatissimo e fuori di me. Non ho più dormito… e mi sono messo qui a scrivere.

 

IL RIMPROVERO DEL CARDINALE FEDERIGO

Durante la visita del cardinale Federigo al paesello, 16 Dicembre 1628, h.16.00    (Annalisa Catania)

                

Oggi, 16 Dicembre 1628, durante la sua visita al paesello, il cardinale Federigo mi chiede di poter comunicare con me e ricevo subito un suo rimprovero poiché non ho unito in matrimonio Renzo e Lucia. Adesso vi racconto la vicenda nei particolari.

Finita la messa, mi reco subito dall’ospite, il cardinale Federigo, non conscio di ciò che mi aspetta, ma con qualche idea che mi ronza nella testa: sicuramente Renzo e Lucia hanno parlato, ed il cardinale Federigo, infatti, non mi ha smentito. Il cardinale va diretto al punto e mi chiede il motivo per il quale non ho riunito in matrimonio Renzo e Lucia; io esito nel rispondere e inizio ad arrampicarmi sugli specchi dicendo che ci sono stati troppi impicci; ovviamente lui mi riprende dicendo che non dovevo rifiutarmi, allora io gioco la carta dell’intimidazione e affermo che sono stato costretto ed obbligato a non farlo. Ma il cardinale non si accontenta di questa risposta, così cerco di tergiversare, moderando anche i miei toni e facendomi piccolo piccolo. Sottolineo che la mia stessa vita è stata messa in pericolo ma il cardinale mi risponde dicendo che non è una ragione sufficiente e mi dice addirittura che è un mio dovere unirli in matrimonio, un dovere legato all’abito che indosso, il quale non cessa dove inizia il pericolo. Il cardinale porta l’esempio di Cristo, che ha sacrificato la sua stessa vita per gli uomini: tutto ciò che mi dice, mi fa abbassare il capo, mi sento “come un pulcino tra gli artigli di un falco”, immerso in un’aria che non mi è familiare; ammetto i miei torti ma sottolineo nuovamente che colui con il quale mi scontro non ammette sconfitte. Il cardinale continua  a dire che proprio la sofferenza è legata alla nostra missione di servitori di Dio. Dentro di me ho una sorta di rabbia perché, in fondo, il cardinale ha “più a cuore l’amore di due giovani che la vita di un sacerdote”: ammetto allora di non essere un uomo coraggioso, ma lui rincara  la dose dicendo che dovevo pensarci prima di prendere i voti. L’ultima sua domanda è: “Che cosa hai fatto per loro?”, io abbasso la testa e resto in silenzio, sapendo che il rimorso mi avrebbe tormentato per il resto dei miei giorni…

 

L’ ARRIVO DEI LANZICHENECCHI 

Durante la fuga dal paese, 16 Marzo 1628, h. 10.00     (Annalisa Catania)

Oggi, 16 Marzo 1628, io e Perpetua siamo in ansia per l’arrivo dei lanzichenecchi, per questo abbiamo deciso di andare al castello dell’innominato, facendo una breve sosta alla casa del sarto.

Le voci che da un po’ di giorni girano non mi fanno stare tranquillo, anzi devo dire che sono quasi terrorizzato dall’arrivo dei lanzichenecchi: saranno sicuramente moltissimi! Tutti stanno cercando di recuperare i loro oggetti e di andare in posti più tranquilli sulle montagne, io invece sto cercando di organizzarmi con Perpetua, d’altra parte non ho nessuno che pensi a me. Guardo dalla finestra e mi accorgo che se ne stanno andando via tutti, forse sono in ritardo! Urlo: “Perpetua Perpetua…aiutami!” ma lei gira per la casa cercando di arraffare qualcosa di utile per una fuga precipitosa, così mi assale l’ansia e inizio a pensare ai miei soldi e ai soldi di Perpetua…dove li possiamo nascondere? Forse sotto il fico. Non so cosa succede in questi momenti, non mi è mai capitato e non so nemmeno cosa devo portare. Continuo a urlare il nome di Perpetua e finalmente lei mi da retta ma trattandomi malissimo, ha già pensato a tutto lei, come sempre. Decidiamo di partire, anche se non sappiamo ancora dove andare…in montagna non sarebbe una buona idea perché so che i lanzichenecchi sono già arrivati lì. Mi iniziano a tormentare i miei soliti dubbi…abbiamo preso tutto o abbiamo dimenticato qualcosa? Ma subito smetto di pensarci perché noto che le persone che incontro per strada non mi rivolgono neanche la parola, mi dicono solamente che sono fortunato perché non ho una famiglia a cui pensare, di non lamentarmi tanto e di fare ciò che è giusto. Mentre camminiamo i miei pensieri aumentano e decidiamo di andare nella casa del sarto, il quale già ci aveva offerto la sua ospitalità una volta. Strada facendo, la vista di quei luoghi ci fa tornare a pensieri lontani, e speriamo solo di riposarci un po’ per poi continuare il percorso verso il castello di ***. Arrivati alla casa del sarto ci accolgono a braccia aperte e provano anche a tranquillizzarci dicendo che qui dovrebbe essere un posto sicuro. Pranziamo insieme con quel poco che rimane: quattro pesche, un po’ di fichi e il cibo che aveva portato Perpetua. Io sono stupito poiché mi mettono un tovagliolo ed un piatto di ceramica in un posto d’onore…mi sento proprio riverito! Parliamo un po’ e mi accorgo che sono tutti impauriti, anche se mi garantiscono che al castello dell’innominato troveremo sicuramente un rifugio sicuro. Comincio ad essere un po’ in ansia quindi decido di mangiare in fretta e di interrompere le conversazioni…voglio partire! Saluto il sarto che mi offre alcuni libri in volgare e riparto con l’animo un po’ più leggero. Prima di partire mi hanno detto che i lanzichenecchi non dovrebbero arrivare fino a lì, però dei pensieri continuano ad angosciarmi: come saranno questi lanzichenecchi? somiglieranno a dei diavoli? I racconti della gente mi fanno paura, e la mia paura aumenta se penso che ho solo Perpetua vicino a me, anche se lei prova a rassicurarmi dicendo: “s’ingegnano gli altri; ci ingegneremo anche noi; crede…che vengon per far la guerra a lei i soldati?” Ho notizie che altre persone hanno trovato rifugio al castello, speriamo non siamo troppi, dicono anche che tutto il suo personale è stato messo a disposizione di chi cerca rifugio, così come tutte le stanze del castello sono state allibite a ricovero. Sicuramente la conversione del castello mi verrà utile, d’altra parte questa è la mia unica speranza! 

 

Lecco, 13 Ottobre 1631 (Paschetta Alessia)

Caro diario, scusa se non ti aggiorno da un po’, ma questi giorni hanno fatto parte di una grande svolta nella mia umile vita terrena da curato di un paesino. Infatti qualche giorno fa il giovane Tramaglino, dopo mille peripezie e con fare un po’ burlesco e rispettoso, è venuto da me per la faccenda del suo sposalizio chiedendomi i concerti, ma io ricordandomi di quel piccolo screzio avuto con Don Rodrigo e i suoi due bravi, ho incominciato a tentennare, a trovare scuse e ho avvisato il giovane del fatto che a quel punto tutto il paesino avrebbe saputo del “rapimento”. Allora lui, dopo avermi ricordato con tono scocciato del mio mal di testa perenne, ha iniziato a parlottare qualcosa sul Suo avere misericordia verso Don Rodrigo e sul fatto che così avrebbe potuto maritarsi senza alcun problema; ma io comunque, non essendo sicuro dell’ ascesa al Signore di Don Rodrigo e avendo quindi ancora paura, ho cercato di rimandare il tutto e ci sono riuscito, infatti il ragazzo era uscito dalla mia chiesa stanco e scocciato.

Qualche giorno dopo però ho incontrato Agnese, la madre delle “sposa“ di Tramaglino, e anche lei cercava di convincermi a celebrare il parentado ma io non ho ceduto… fino a quando non è arrivato lo “sposo” che, con voce affannata ma speranzosa, ci ha detto dell’ arrivo del marchese, l’ erede di Don Rod

incontro fra il Marchese e Don Abbondio

rigo, Pace all’anima sua. Allora io, ancora scettico, chiesi a Tramaglino se questo nuovo marchese fosse della stessa pasta di Don Rodrigo e lui mi rispose che è una persona estremamente buona e che ne aveva già sentito parlare bene in giro. Dunque io, con aria sollevata, gli ho detto che se la provvidenza ci aveva raggiunti è stata una grande cosa, un po’ come la peste che come una scopa ha spazzato via certi soggetti che, altrimenti, non ce ne liberavamo più.

Nei giorni successivi ho ricevuto la visita del marchese che si è mostrato affabile e generoso, e, avendo saputo dal cardinale Federigo della persecuzione di Don Rodrigo ai danni di Renzo e di Lucia, mi chiede il modo per riparare ai torti subiti dai due giovani e io, con aria soddisfatta, gli ho suggerito di acquistare i loro beni ad un prezzo equo, cosa che ha fatto il giorno dello sposalizo. Circa un mese fa,finalmente, ho finalmente sposato i Tramaglino e, giuro sul mio abito talare, che per una volta nella mia umile vita mi sono reso conto di avere fatto la scelta giusta e mi sono sentito finalmente sollevato. 

matrimonio tra Renzo e Lucia

Blog di Renzo Tramaglino

Mercoledì, 8 Novembre 1628. di mattina (Gamna Valentina)

Caro diario,
ne ho di cose da raccontarti quest’oggi…

Renzo Tramaglino

Stamattina, giorno che sarebbe dovuto essere il più bello della mia vita, si è rivelato l’inizio di un’odissea interminabile. Mi recai da don Abbondio per chiedergli a che ora avremmo dovuto ritrovarci in chiesa per celebrare il matrimonio: ebbene sì, oggi mi dovevo sposare con la mia amata Lucia, ma solo Dio sa cosa è capitato!
Arrivai a casa del furfante e subito gli chiesi a che ora sarebbe iniziata la cerimonia, anche se notavo che era nervoso, come se fosse impaurito, spaventato da qualcosa, o qualcuno, dopo tutto si sa com’è don Abbondio, non è mai stato un cuor di leone. Quando glielo chiesi, subito si innervosì e incominciò col dire che stava poco bene e che non avrebbe potuto celebrare il matrimonio.

don Abbondio: – Di che giorno volete parlare?-                                                                                                                                                        Renzo: – Come, di che giorno? non ricorda che s’è fissato per oggi?-                                                                                 don Abbondio: – Oggi? – replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta.                                                                                                                                                                                                                              don Abbondio: – Oggi, oggi… abbiate pazienza ma oggi non posso. –                                                                           Renzo: -Oggi non può! cos’è nato? –                                                                                                                                  don Abbondio: – Prima di tutto, non mi sento bene, vedete. –

 

Andai su tutte le furie e lui cominciò a farfugliare idiozie parlando di alcuni impedimenti ed imbrogli riguardanti il matrimonio.
Iniziò a pronunciare frasi in latino, ed io che conosco a malapena la mia lingua non capii nulla e non potei controbattere a quello che lui stava dicendo. Parlava di ricerche da svolgere prima del matrimonio per verificare che non vi fossero impedimenti, ma questa storia non mi piacque affatto, c’era qualcosa che non tornava…
Così ci accordammo ed entro una settimana non ci sarebbe stato più alcun impedimento, altrimenti se la sarebbe vista brutta, quel codardo!

 

don Abbondio

 

Ero uscito e mentre camminavo con malavoglia per recarmi a casa di Lucia e comunicarle la triste notizia, alzai lo sguardo e subito notai Perpetua, una specie di badante per don Abbondio.  Perpetua è una gran chiacchierona: mai raccontarle dei segreti o fatti personali! In pochi istanti tutto il paese sarebbe venuto al corrente di tutte le vostre faccende.

Allora capii subito che se don Abbondio aveva qualcosa da nascondere forse Perpetua ne sapeva qualcosa e sarebbe stato molto facile farglielo rivelare.

Mi diressi verso di lei e la salutai, poi le chiesi di spiegarmi meglio i motivi per cui la cerimonia non si poteva più celebrare, così lei accennò a dei segreti ed io capii subito che quel vigliacco mi aveva mentito,  disse poi che don Abbondio, il suo padrone, era innocente e che si trattava di prepotenti e birboni; mi convinsi sempre più che c’era qualcosa, o meglio, qualcuno sotto.

Provai a chiedere a Perpetua chi fosse quel prepotente, ma lei disse di non sapere niente e si rifugiò nell’orto chiudendo l’uscio.

Perpetua: -Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perchè… non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt’e due-.

Così, su tutte le furie, tornai indietro e mi diressi da quel bugiardo di don Abbondio. Aappena entrato, gli domandai subito chi fosse il prepotente e lui subito si innervosì e si diresse verso l’uscio con l’intento di darsela a gambe, ma io fui più lesto di lui: chiusi la porta e misi la chiave in tasca. Non mi sarebbe sfuggito.

Senza accorgermi, forse per la rabbia, presi in mano lo spadino che avevo al fianco e lui si impaurì a morte, continuava a chiedermi di avere pietà e che se avesse parlato l’avrebbero ucciso. Dopo minuti e minuti di discorsi interminabili, mi disse finalmente il nome del birbone.

Era don Rodrigo! un furfante molto temuto nel mio paese.

Così, con furia, mi diressi alla casa di Lucia che si trovava un po’ fuori dal centro del paese.

Appena entrai nel cortile, sentii provenire del vociare dalle stanze superiori: erano probabilmente amiche e comari venute a far corteggio.

Dopo alcuni istanti la piccola Bettina mi corse incontro urlando e subito le intimai di fare silenzio e le diedi un incarico… le dissi di recarsi nelle stanze superiori dove vi era Lucia e di dirle assolutamente di scendere nella stanza terrena, così avrei potuto parlarle senza essere disturbati. Così Lucia scese ed io subito le  dissi, con il cuore a pezzi, che il matrimonio era stato impedito.

Renzo: – Lucia!- rispose Renzo , – per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo essere marito e moglie-.

Lucia

Quando gli dissi però il nome di colui che l’aveva impedito, lei arrossì e tremò e disse che av

Lucia Mondella

eva avuto a che fare con quell’uomo, ma non mi volle raccontare nulla per il momento.

 

Così corse a chiamare Agnese, cioè sua madre, e le disse di venire da me, mentre lei avrebbe licenziato tutte le donne dicendo che il signor curato (don Abbondio) si era sentito male e che il matrimonio sarebbe stato rimandato.

Che dire, povero me… a volte penso che la mia vita potrebbe essere scritta su un romanzo per quanto è contorta.

 

 

Mercoledì 8 novembre, 1628. (Gamna)

Caro diario,

Oggi mi sono recato a Lecco, dall’avvocato Azzeccagarbugli, nonostante non circolino belle voci su quest’uomo, ho comunque tentato di risolvere la questione come suggerito da Agnese…

Non è servito a niente!

Ecco com’è andata…

Renzo Tramaglino e i quattro capponi da dare all’avvocato Azzeccagarbugli.

Stamattina Lucia mi ha raccontato cose orribili: don Rodrigo l’aveva importunata non una ma ben due volte!

Non appena sentii cosa era successo andai su tutte le furie, poi

Agnese mi calmò e mi consigliò di consultare una persona più esperta, una persona che avesse studiato, così mi consigliò di prendere i quattro capponi che avrebbe dovuto cucinare per il banchetto, aggiunse poi che non ci si doveva mai recare da quei signori a mani vuote, e avrei dovuto raccontargli tutto l’accaduto dopo di che lui ci avrebbe aiutati in un batter d’occhio… O almeno così doveva essere!

Lungo la strada non potei fare a meno di ripensare a tutti i fatti che erano successi in così poco tempo, ma cosa ho mai fatto io per meritarmi tutto questo?

Giunto al borgo, domandai dove si trovasse l’abitazione di quest’avvocato e mi fu indicata.

Avvocato Azzeccagarbugli

Quando giunsi domandai alla serva se fosse stato possibile parlare con l’avvocato (Agnese mi raccomandò di non nominarlo “Azzeccagarbugli”.) Subito il dottore mi fece accomodare nello studio mentre la serva prese i capponi.

Lo studio non era certo ciò che mi ero immaginato: Era pieno di polvere, di libri vecchi, e aveva l’aspetto molto rovinato e allo stesso tempo molto losco: sembrava che l’avvocato avesse qualcosa da nascondere.

Chiuse l’uscio e mi chiese quale fosse il mio caso. Indugiando gli chiesi se a minacciare un curato ( un prete) in modo che non celebri il matrimonio, si commetteva penale.

 

Lui, senza neppure farmi finire, disse di aver capito, tirò fuori una grida dell’anno precedente e iniziò a leggere, sembrava proprio il mio caso… Mentre leggeva però, mi chiese come mai mi fossi tagliato il ciuffo, (portare il ciuffo lungo è una caratteristica dei bravi, e il dottore mi scambiò per uno di loro!).

Quando gli dissi che il crimine era rivolto verso di me e non ero un birbone, ritirò subito il suo aiuto, per non parlare di quando dissi il nome di don Rodrigo! Subito mi accusò di non saper raccontare le faccende e mi spinse verso l’uscio. Secondo me le voci che circolano su questo “galantuomo” per una volta erano vere: Deve aver a che fare con criminali e gente losca! ah povero me! Li protegge! Altro che aiutava la brava gente!

 

Mi cacciò subito dallo studio e mentre uscivo chiamò la serva dicendo che da me non voleva proprio niente e le ordinò di restituirmi i quattro capponi. Ora devo tornare e raccontare tutto ad Agnese e alla mia povera Lucia, ma come farò? Ho visto una luce di speranza nei suoi occhi quando sua madre propose l’idea, e al solo pensiero che lei possa cadere nelle grinfie di quel dannato di don Rodrigo mi sento morire!

 

 

Fine Agosto 1630 (Gamna Valentina)

Caro diario,

raccontarti queste vicende non è per nulla facile. Ho passato le pene dell’inferno:  Da quando è arrivata la peste nel milanese, star qui è diventato un incubo! Mi sono ammalato anche io, per fortuna sono guarito da me, anche se non è stata una passeggiata, ma grazie al mio corpo robusto sono riuscito a scamparla. Guarendo, dopo pochi giorni, mi sono tornati alla mente e nell’anima tutti i ricordi, le speranze, ma soprattutto un pensiero, Lucia.  Ero preoccupato, ogni instante pregavo che lei non si ammalasse di peste, e che stesse bene, era l’unica cosa che desideravo, così finalmente presi la mia decisione: Era il momento di tornare da lei, e da Agnese. Così andai a salutare Bortolo mio cugino, che per tutto questo tempo mi aveva ospitato e dato un lavoro per potere sopravvivere, lui non si era ancora ammalato e cosi lo salutai solo dall’uscio della porta, gli feci i miei auguri, e gli dissi che sarei tornato, magari con Lucia.

Cosi facendomi forza partii prendendo tutti i risparmi che avevo ottenuto giorno per giorno, dei panni e il mio coltellaccio.

Mi avviai prima verso Lecco, per non andare subito a Milano dove si trovava Lucia, in modo da trovare magari Agnese e farmi raccontare qualcosa delle loro vicende.

Mentre ero in cammino vidi negli occhi della gente non ancora contaminata il timore di imbattersi nell’incubo della peste, la diffidenza che mostravano con le altre persone. Vidi anche gente sull’orlo della morte, ricoperta di sangue, morente. E infine notai gente come me risoluta, senza timore, poiché ammalarsi di peste due volte era cosa rara e prodigiosa.

Mi fermai in un boschetto a mangiar qualche cosa, un po’ di pane e di companatico che avevo portato con me e qualche frutta che coglievo andando avanti .

Verso sera giunsi al mio paese e mi colpì un sensazione di tristezza e di dolore per tutti i ricordi e per i presentimenti che in quel momento mi frullavano nella mente.

Ero impaurito al pensiero di dover andare a casa di Lucia, o forse meglio dire: “Casa di Agnese”.

Speravo di giungere là e di ritrovar Agnese viva, e in salute.

Decisi di non farmi vedere e di passar in una via al di fuori del paese. Là si trovava la mia vigna e la mia casa così decisi di passare da lì per controllare la situazione, andando avanti avevo il timore di incontrare qualcuno e così fu.

Notai che vi era un uomo con una camicia seduto e appoggiato ad una siepe di gelsomini, subito mi parve Gervaso ma poi osservando meglio capii che era Tonio! Lo salutai ma lui non mi riconobbe più era stato sfigurato dalla peste!

Decisi di proseguire rattristato e vidi una sagoma nera arrivare da un angolo, riconobbi subito chi era, era don Abbondio, che mi riconobbe.

Nonostante la rabbia che nutrivo nei suoi confronti dall’ultimo incontro, gli feci una riverenza, era pur sempre il mio curato.

Non perdetti nemmeno un istante e gli domandai se sapesse qualcosa di Lucia e Agnese, mi disse che Lucia si trovava a Milano ma per la grazie del cielo era ancora viva, mentre Agnese aveva lasciato il paese ed era andata a stare da dei suoi parenti in un paese chiamato Pasturo nella Valsassina dove la peste non si era ancora diffusa.

Gli chiesi poi di padre Cristoforo  e disse che anche lui se n’era andato.

Don Abbondio mi chiese poi che ci facevo da quelle parti e io gli dissi che ero venuto a controllare i fatti miei, mi disse di tornare da dove ero venuto a causa della cattura e della peste.

Poi a malincuore chiesi quanti morti vi erano stati a causa della peste e lui cominciando da perpetua nominò una filastrocca di persone, miei amici, parenti, e questo mi provocò un dolore immenso anche se me lo ero immaginato. Finita la  conversazione dissi a don Abbondio di non proferire a nessuno della mia presenza qua nel paese e lui borbottando se ne andò.

Pensai poi dove avrei potuto passare la notte visto che Agnese non era più in paese, e dalle persone che nominò don Abbondio riguardo la peste, vi era un’ intera famiglia di contadini sterminata, eccetto uno dei figli, un ragazzo della mia età con cui passavo del tempo quando ero bambino, così decisi di recarmi da lui. Mentre ero in cammino passai davanti alla mia vigna e subito potei notare da fuori in che stato era: non vi erano nemmeno più i gangheri del cancello, tutti i viti i gelsi  e i gli alberi da frutta erano stati usati per far legna in quei due inverni della mia assenza, vi erano ancora i vestigi dell’antica coltura, vi erano le erbacce che crescendo a dismisura sovrastavano tutte le coltivazioni, vi erano le ortiche anch’esse cresciute a dismisura come anche le felci.

Attraversai l’orto con le erbacce a metà gamba e mi avviai verso casa mia che poco distava da lì. Misi piede sulla soglia e cosa vidi..  Sul pavimento un sudiciume indicibile, le pareti scrostate e imbrattate cosi me ne andai anche da li con le mani nei capelli, ripercorrendo il sentieri che feci passando dal mio orto in mezzo a tutta quell’erba. Siccome iniziava a farsi buio mi incamminai verso casa del ragazzo di cui ti ho parlato prima, arrivai e lo trovai sull’uscio della dimora con lo sguardo distrutto, inselvatichito dalla solitudine. Quando mi vide mi scambio per un’altra persona cosi gli dissi che in realtà io ero Renzo e non appena capii gli si illuminarono gli occhi dalla felicità che aveva nel vedermi. Mi disse poi, anche se io lo sapevo già, che era rimasto solo, e così mi invitò ad entrare nella sua piccola casetta, cosi lui iniziò a farmi onore preparando la polenta e continuando a ripetere che era rimasto solo. Prese poi dell’altro cibo: un piccolo secchio di latte, carne secca un paio di raveggioli, fichi, pesche e ci mettemmo a tavola scambiandoci ringraziamenti lui della visita e io dell’ospitalità. Dopo cena andai a dormire, il mattino del giorno dopo mi trovavo in cucina io ero pronto per mettermi di nuovo in cammino, speravo di trovare Lucia ancora in vita altrimenti non so che cosa avrei fatto, sarei impazzito! Mi incamminai poi con tranquillità e decisione di arrivare a Milano e cominciar così le ricerche. Mi fermai di nuovo a mangiar in un boschetto del cibo che mi lasciò il mio caro amico. Passando da Monza presi due pani per non rimaner senza cibo, non si sa mai.

Verso sera arrivai in un paese di cui non conoscevo il nome e mi misi alla ricerca di un posto dove passare la notte pensai più ad un cascinotto dato che avevo avuto brutte esperienze con le osterie…

Entrai cosi nel cortile di una cascina, non c’era nessuno cosi vidi che vi era del fieno e mi sdraiai li e mi addormentai, mi svegliai solo all’alba e fortunatamente non vi era ancora nessuno così uscii come ero entrato e mi avviai verso Milano cosi usai come riferimento il duomo e dopo un brevissimo cammino giunsi alle porte di Milano…

Un bel cammino ho affrontato ma non è ancora finita caro diario… Ti terrò aggiornato sui fatti. Intanto continuo a pensare al momento in cui riabbraccerò la mia amata Lucia.

 

 

 

 

 

 

 

Milano, 26 agosto 1630 (Mauro Beatrice)

La mia mente era avvolta da mille pensieri e mille emozioni, il mio cuore era schiacciato dalla paura di perdere la mia amata e di non riuscire a risollevarmi da questa situazione, ma allo stesso tempo la mia guarigione mi rendeva felice.
Questa mattina mi sono svegliato determinato nel trovare Lucia approfittando del subbuglio causato dalla peste, per condurla a Pescarenico, dove avremmo iniziato la nostra nuova vita.

All’imbrunire non c’erano tracce di vita nella stradina in cui mi trovavo e le mie gambe cominciavano a sentire il peso di una lunga giornata quando vidi con la coda dell’occhio le mura della città. Mentre percorrevo le vie di Pescarenico cominciavo a sentire il vento di settembre sostituirsi al caldo torrido di agosto. Giunto nella piazzetta della chiesa una serie di reminescenze tornarono alla mente come se non se ne fossero mai andate. Mi appariva chiara la triste immagine di Don Abbondio che tentava di sottrarsi al celebrare il matrimonio a sorpresa pianificato da Agnese, allarmando tutti i paesani in modo che accorressero in piazza.
A pochi passi dell’abitazione di Lucia appariva evidente che le due donne se n’erano andate.
Svoltato l’angolo vidi un uomo disteso a terra. Aveva l’aspetto di un matto in fin di vita, i bubboni giallognoli sul viso ne rendevano evidente la casa. Mi sono avvicinato per capire chi fosse e mi sono resa conto che era Tonio.

Continuando per la mia strada ho visto avanzare una figura, non era un volto nuovo; indossava un abito nero ed il suo volto pallido mostrava i segni dell’epidemia. Riconoscendo in essa Don Abbondio, mi sono avvicinato e facendo una riverenza gli ho chiesto subito novelle di Lucia e Agnese.

Le parole del Curato aimè non sono state confortanti, mi ha comunicato che la mia promessa sposa si trovava a Milano ed Agnese a Pasturo, un Paese vicino

Per ultiumo Don Abbondio mi disse di tornare nel Paese cui ero venuto per non finire in grane spiacevoli siccome ho ancora un mandato di cattura; poi tra un lamento e l’altro causato dalla peste mi ha elencato tutte le famiglie di contadini morte appestate salvo un contadino della mia età la cui casa si trovava qualche passo fuori dal Paese e pensai di dirigermi lì.

Sono passato davanti alla mia vigna e camminando da fuori ho subito potuto dedurre le condizioni in cui si trovava. Tutto era diverso da come l’avevo lasciato. Vetticciole sradicate, una fronda d’albero caduta che bloccava il passaggio, del cancello non c’erano più i cardini, i segni dell’antica coltivazione erano stati soffocati da erbacce di ogni genere, ovunque i rovi impedivano il passaggio. Tutto era stato strappato alla peggio poichè per due inverni di seguito la gente del Paese era andata a procurarsi la legna per scaldarsi. Era un guazzabuglio di steli che cercavano di superarsi. ” Mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l’uno con l’altro per appoggio”.  In quella marmaglia di piante ce n’erano alcune di più imponenti e vigorose, era l’uva selvatica ed era più alta di tutto il resto, aveva pompose foglie color verdecupo alcune rossicce sui bordi, il frutto stava maturando, rossi in basso, color porpora nel mezzo e in cima verde acerbo. A sinistra delle viti c’era una pianta di Verbasco che, con lo stelo diritto in aria e le sue gran foglie lanose, aveva coperto il cancello scardinato

Ora si è fatto tardi, vado a pregare l’Altissimo di accompagnarmi in questa avventura e domattina proseguiró la trascrizione del mio diario personale.

 

 

Milano, 2 settembre 1628, Ore:21.47   (Sara Monge)

 

È sera, ho appena finito di cenare e sto per mettermi a dormire, ma prima volevo raccontarti la giornata di oggi… sono tornato a Milano per cercare Lucia.

 

Sto camminando per le strade di Milano in mezzo a tanta confusione, ci sono tante persone fuori di sé, ma vedo ancora gente che accompagna i loro familiari al lazzaretto, con parole di contforto. Ad un certo punto fermo un monatto e gli chiedo dove si trova la casa di Don Ferrante, ma non mi ha dato una risposta. Allora poco dopo scruto un commissario e gli chiedo pure a lui quale fosse la dimora di Don Ferrante, quest’uomo mi ha gentilmente indicato la strada e ho trovato la casa senza nessun problema.

Busso alla porta e dopo qualche momento si apre una finestra, vedo affacciarsi una bella signora con una faccia stranita, probabilmente si sta chiedendo chi sono e cosa voglio. Io, senza perdere troppo tempo, le chiedo, con voce un po’ tremolante, se si trova lì una donna di nome Lucia. Lei frettolosamente mi dice che non c’è più, mentre sta per afferrare la finestra e chiuderla io le domando ancora dove si è recata la fanciulla, lei mi dice che è andata al lazzaretto. Stava per chiudere nuovamente la finestra quando le chiedo se aveva la peste e la signora un po’ scocciata e con una smorfia mi ha detto di sì e di andarmene. Io insistente chiedo se era molto malata, ma la signora chiude la finestra senza rispondere. Così preso dall’ira per la scoperta di questa notizia e da come mi è stata data ho iniziato a bussare ripetutamente e con più forza alla porta. Mi giro per vedere se trovo qualcuno da cui recuperare alcune informazioni più precise su Lucia e a più o meno venti passi c’era una donna che esprimeva terrore, pensa che sono un untore. In quel momento si affaccia alla finestra la donna sgarbata di prima e inizia ad urlare che sono un untore così tutti la guardano e io in quel momento di distrazione scappo. Sento delle persone rincorrermi per prendermi e non so quando si fermeranno…   Non ce la faccio più a correre allora sfodero il mio coltello, mi giro facendo sembrare che sono sicuro di me anche se dentro ho una paura tremenda e dico: “chi ha cuore, venga avanti, canaglia! Che l’ungerò io davvero con questo.”

Adesso sono molto stanco, è stata una lunghissima giornata. Vado a riposarmi, proseguirò il mio racconto appena avrò un po’ di tempo libero.

 

 

Milano, 3 settembre 1630 (Panero Carlotta)
Io sono Renzo, anche io sono stato malato della terribile peste nera, ma per fortuna sono riuscito a guarire e adesso sono immune dalla malattia. Oggi ho deciso di raccontare le raccapriccianti scene, causate dalla peste, che ho visto a Milano.

Ero appena entrato in Milano e già avevo visto molte scene e malati disperati per le strade. Grazie ai monatti, che raccoglievano i cadaveri e li portavano al lazzaretto, per le strade di Milano non ce n’erano molti che odoravano e che rischiavano di essere calpestati. Dalle case si sentivano i terribili e tristi lamenti dei malati o dei parenti che si disperavano per loro, solo a sentire quei lamenti mi venivano i brividi e mi si spezzava il cuore, anche perché se il Signore non mi avesse aiutato a guarire, potevo essere anche io in quelle condizioni. Le poche persone ancora non ammalate restavano chiuse in casa per paura di prendere la peste e incontrare gli untori. Anche le persone sane, oltre ai malati, erano diventati dei poveracci e non si preoccupavano più del loro aspetto o comportamento. Anche gli uomini più qualificati andavano in giro con la barba e capelli lunghi, cosa che prima non facevano, ed erano senza cappa ne mantello, parte essenziale nel vestiario civile. Camminare per le vie di Milano era orribile e triste perché in giro si vedevano solo malati che chiedevano aiuto oppure i monatti che con i loro carri passavano a prendere i cadaveri delle povere persone uccise dalla peste.
Mentre camminavo in cerca di Lucia vidi una scena che mi gelò il sangue…c’era una signora il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, e si notava una bellezza offuscata e trascurata dal tanto dolore e dalle tante lacrime versate, non faceva vedere che era triste e affaticata, ma si capiva molto bene vedendo anche la sua andatura. Portava in braccio una bambina di forse nove anni, purtroppo questa piccola bella bimba era morta. La bimba era ben vestita con un vestitino bianco e i capelli pettinati e divisi sulla fronte, sembrava che la mamma l’avesse vestita e curata per una festa importante. Solo da una manina bianchissima che penzolava da una parte e il capo che posava sul braccio della madre con un abbandono più forte del sonno, si riusciva a capire che per sfortuna quella graziosa e ben vestita bambina era morta. La mamma non la teneva a giacere come se fosse morta, ma la teneva retta sul braccio e con il petto appoggiato al suo. Il monatto, che si era fermato con il suo carro ad aspettare la bambina, cercò di prendere bambina per appoggiarla sul carretto, ma la madre fece un passo indietro e gli disse che voleva adagiarla lei e che lui poteva solo prendere la borsa che gli stava dando. La povera donna fece promettere al monatto di prendersi cura di lei e di metterla sotto terra così com’era, il monatto quasi dispiaciuto e commosso per la scena glielo promise; poi la mamma la adagiò sul carro e le stese sopra un panno bianco per coprirla. La salutò per l’ultima volta “Addio, Cecilia!riposa in pace! stasera verremo anche noi, per restare sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri.” Poi il carro andò via e la mamma ritornò in casa e io ricominciai triste e sconfortato a camminare.

 

Blog di Lucia Mondella

MARTEDì  8 NOVEMRE ORE 8.30 (Florencia Mastroianni)

Buongiorno a tutti,

mi chiamo Lucia Mondella e ho deciso di rendervi partecipi del giorno più bello della mia vita creando questo blog.

È tutto perfetto,il ricevimento è stato preparato al meglio,gli invitati hanno dato conferma già da tempo e manca davvero poco! Mia madre e le mie cugine sono qui in casa con me per aiutarmi nei preparativi,e tra poco indosserò quel candido vestito che sognavo fin da bambina. La gonna cade morbida sul mio corpo, il corpetto stringe un pochino ma mi sento talmente bella (soprattutto osservando i decori in pizzo) che questi  dolorini sul busto sono più che sopportabili!
Ora però devo andare,sono in ritardo e devo ancora sistemarmi il velo!
Quando ci risentiremo sarò già la signora Tramaglino. Finalmente sarò unita alla persona che amo, all’unico uomo della mia vita, tramite la benedizione di Dio.

Non vedo l’ora!!

 

MERCOLEDI  8 NOVEMBRE ORE 14.30

Eccomi di nuovo a scrivere, perché la giornata che speravo fosse perfetta, non si è rivelata tale.
L’euforia di ieri è svanita insieme al mio matrimonio: la mia cuginetta Bettina è venuta a chiamarmi dicendo che Renzo aveva bisogno di parlarmi urgentemente.
Quando sono uscita, Renzo a malincuore mi ha comunicato la brutta notizia: il curato non ci avrebbe sposati…
Lui era molto preoccupato poiché non si spiegava il motivo decisione del curato, ma aveva capito che non era stata una scelta volontaria. A quel punto ho dovuto spiegargli che probabilmente la motivazione aveva un nome…Don Rodrigo.

 

 

MERCOLEDì 8 NOVEMBRE ORE 17:30 (scritto da Alessandro Montalbano)

Ho appena spiegato a Renzo e a mia madre perchè ho detto che penso che Don Rodrigo sia il responsabile di ciò che è successo e ho deciso di dirlo anche a voi con un post speciale.

Avvenne mentre stavo uscendo dalla filanda qualche giorno fa e fu proprio allora che lo incontrai. Naturalmente io lo ignorai e credo che sia stato proprio questo il mio sbaglio: il mio rifiuto deve averlo spinto a fare quella scommessa di sedurmi con il suo cugino e deve essere proprio per questo che ora ci ha impedito di sposarci minacciando Don Abbondio. La vergogna fu tale che l’unica a cui sono riuscita a dirlo è stato Fra Cristoforo, inoltre non volevo inquietare mia madre. Appena l’ho detto Renzo è impazzito dall’ira nonostante io, pure in lacrime, cercassi di calmarlo dicendo che la provvidenza divina non poteva lasciare un simile atto impunito. Per fortuna poi intervenne mia madre che disse a Renzo di andare dall’avvocato Azzecca-garbugli affermando che si trattava di una cima d’uomo e che quindi avrebbe sicuramente potuto aiutarci. Partito quindi con tre capponi, datigli da mia madre per non arrivare a mani vuote da dottor Azzeccagarbugli, Renzo si è quindi diretto a Lecco e io attendo con ansia che torni con buone notizie.

GIOVEDì 9 NOVEMBRE ORE 1:00

Buonasera sto scrivendo mentre sono a letto: ci sono stati sviluppi e purtroppo non tutti positivi, ma andiamo con ordine. Un cappuccino, di nome fra Galdino, che girava il paese elemosinando noci, venne a trovarci e fu allora che mi venne un lampo di genio, decisi di chiedergli di dire a padre Cristoforo di venire da noi poverette. Lui ci avrebbe potuto aiutare aiutare ne ero certa. Per cui gli riempii la bisaccia di noci così da esser sicura che andasse subito da padre Cristoforo. Appena se ne fu andato Renzo tornò con uno sguardo furibondo e ci ha detto che l’Azzeccagarbugli non ci avrebbe aiutati e di essere stato cacciato in malomodo. Fortunatamente sono riuscita a calmarlo o avrebbe potuto ammazzare Don Rodrigo e non voglio che lui si rovini così. Davvero incredibile che il giorno potenzialmente più bello della mia vita si sia trasformato in questo. Speriamo in bene per domani. Buonanotte.

11 NOVEMBRE 1628 ore 9:00

Scusate per l’assenza di questi ultimi giorni ma sono successi molti
imprevisti.
Devo assolutamente raccontarvi cos’abbiamo tramato io e Renzo ieri sera per riuscire a celebrare il mio matrimonio.
Mia mamma si è ricordata che per essere maritati occorre solo pronunziare la frase “tu sei mio marito” e viceversa davanti al curato, quindi abbiamo pensato a come incontrare Don Abbondio e riuscire a ingannarlo.
Mi sono sentita in colpa al pensiero di attuare un piano così folle ma non ci è venuto in mente altro..

Trovati i testimoni, Gervaso e Tonio, ci siamo recati alla casa del curato.
Dopo aver distratto Perpetua, siamo entrati nella casa del curato e prima che Don Abbondio potesse  capire Renzo, aveva quasi finito di  pronunciare la frase.
Io però non feci in tempo a dire la mia parte perché il curato mi lanciò una coperta addosso.

Don Abbondio si rinchiuse nella sua camera e mentre Perpetua si recò da lui, io mia madre e Renzo uscimmo dalla casa.
Avevamo intenzione di rifugiarci a casa di mia madre,ma incontrammo Menico che, dopo averci raccontato di aver avvistato i bravi, ci comunicò che Fra Cristoforo ci stava attendendo al Convento.
Ci incamminammo quindi verso la direzione che ci era stata comunicata…

 

Monza, Sabato 11 Novembre 1628 ore 22:30 (scritto da Alessandro Montalbano)

Sono tornata e finalmente posso dirvi quello che è successo e sappiate che non ci crederete per quanto è assurdo ma scrivo da un convento di Monza che mi sta ospitatando, faccio fatica, perfino io che l’ho vissuto, a crederci ma ora vi spiego come ci sono arrivata. Dopo esserci diretti da Fra Cristoforo, lui ci disse di lasciare il paese finchè le acque non si fossero calmate, mandando me e mia madre a Monza con una lettera per il padre guardiano, dato che voleva farci stare al convento della città, e invece Renzo a Milano. Non immaginate quanto sia stato doloroso per me lasciare il mio amato paese, ma non potevo fare altro purtroppo. Il barcaiolo ci lasciò sulla sponda opposta dell’Adda e lì il calesse ci aspettava già per portarci a Monza. Fu allora che dovetti separarmi da Renzo, che doveva andare a Milano. Incredibile, dovremmo essere sposati e guarda invece cosa ci sta succedendo. Non riuscii in alcun modo a trattenere le lacrime mentre lo vedevo lentamente sparire. Arrivati al convento dei cappuccini il conducente del calesse fece subito chiamare il padre guardiano che, una volta letta la lettera di Fra Cristoforo, disse: “Solo la signora potrà essere loro d’aiuto” e ci invitò a seguirlo al convento delle monache dicendo di camminare a una certa distanza per evitare brutte voci. Lungo la strada non potei non chiedergli chi fosse la signora e lui mi disse che si trattava di una monaca di famiglia molto ricca e potente che nel convento era rispettata come se fosse la Badessa e che, se  avesse voluto, lei ci avrebbe senz’altro permesso di restare.
Quando arrivammo, dopo essere entrate, il padre guardiano andò a chiamare la signora. Quando tornò ci portò al parlatorio dove c’era una finestra con una grata dalla quale apparve una monaca che era la cosiddetta “signora” che mi chiese dettagli sulla vicenda. Mi vergognai un bel po’ ma per fortuna a quel punto il cappuccino spiegò per me. Fu tremendo: già per me si trattava di qualcosa di estremamente difficile, figuriamoci con lei che insinuava; fortunatamente mia madre spiegò la situazione dicendole del mio impegno con Renzo e che io non sopportavo Don Rodrigo. La signora zittì mia madre che non era stata interpellata ed io vincendo la mia ritrosia, ho confermato la versione di mia madre. Lei fortunatamente mi ha creduto e ha deciso di aiutarmi. E adesso sono qui dove la signora ha stabilito. Mi chiedo cosa sia successo a Renzo, spero stia bene e che questa situazione si risolva al più presto. Per oggi è tutto. Buonanotte.

 

Monza, Venerdì 1 Dicembre 1628 ore 22:30 (scritto da Montalbano Alessandro)

 

Salve, è passato un po’ dall’ ultima volta e sono successe un bel po’ di cose che ora sto per raccontarvi. Sono ancora a Monza come ospite della Signora ma recentemente ci è arrivata notizia che hanno arrestato alcuni capi della rivolta a Milano e che uno è scappato, io e mia madre pensavamo che potesse trattarsi di Renzo e la fattoressa confermò questo sospetto. Sentire questa cosa mi ha lasciata senza parole soprattutto perchè lei disse che rischiava l’impiccagione. A causa di questa notizia rimanemmo angosciate per un po’ di giorni fino a quando un giovedì giunse un pescaiolo di Pescarenico che spesso si recava a Milano e ci informò che Renzo era in salvo nel Bergamasco, fu davvero un gran sollievo almeno ero sicura che Renzo non rischiasse più la vita. Il giovedì dopo il pescaiolo ci confermò la fuga felice di Renzo anche se non c’erano notizie precise dato che Padre Cristoforo non aveva saputo nulla da Padre Bonaventura. Il giovedì dopo ancora il pescaiolo non tornò e quindi mia madre decise di tornare a casa per parlare personalmente con Padre Cristoforo.

Perciò adesso sono qui da sola a Monza lontana sia da Renzo che da mia madre e ho paura dato che sono successe talmente tante cose che non so assolutamente più cosa aspettarmi. Vedremo intanto vi auguro una buonanotte.

 

Dicembre 1628 (scritto da Alessandro Montalbano)

 

Buongiorno, devo assolutamente raccontarvi cosa mi stà succedendo perchè mi trovo in una situazione davvero orribile, la più orribile che avrei mai potuto immaginare, mi trovo all’interno del castello di un certo Innominato. Sono stata rapita, ma perchè proprio io.

Iniziò tutto in una giornata nella quale la signora mi chiese di svolgere una commissione per i cappuccini. Lungo il tragitto fui fermata da una carrozza di quelli che pensavo fossero viaggiatori che avevano smarrito la strada. Non feci in tempo ad indicare loro la via che un uomo enorme mi prese per la vita e mi buttò sulla carrozza, non importava quanto urlassi o li implorassi non c’era alcun verso di far cambiare loro idea, loro dicevano di non volermi fare del male ma ero talmente spaventata che svenni. Quando mi svegliai cercai di buttarmi dalla finestra della carrozza ma fui fermata da un uomo che mi ribadì che loro non volevano farmi del male, tuttavia lo spavento era tale che continuai ad implorarli dicendo loro di chiedersi come si sarebbero sentite le loro figlie e mogli nella mia situazione ma non c’è comunque stato verso perciò non potei fare altro che iniziare a pregare durante il lungo viaggio. Appena lo sportello della carrozza si aprì mi trovai davanti una vecchia che con voce dolce mi invitava ad uscire,io avrei voluto urlare ma quell’uomo mi disse che mi avrebbe di nuovo soffocato l’urlo col fazzoletto, non potei quindi fare altro che salire sulla portantina. Mentre salivamo sul castello non potei non chiedere alla vecchia chi fosse e dove mi stava conducendo, lei cercò di tranquillizzarmi ma senza successo infatti io continuai ad implorare la mia liberazione invocando anche il santo nome della vergine Mara ma niente. Arrivati al castello la vecchia mi portò su una stanza e la vecchia mi invitò a mettermi sul letto ma io decisi di rimanere rannicchiata sul letto invece. Ad un certo punto entrò un uomo che era il signore del castello disse qualche parola alla vecchia a cui non prestai ascolto per quanto ero spaventata. Ad un tratto l’uomo si avvicinò a me e mi ordinò severamente di alzarmi, io scuotei solamente la testa, allora lui mi disse che non voleva farmi del male; a quel punto io mi misi in ginocchio e lo implorai di uccidermi per non patire quell’inferno, lui disse di nuovo di non volermi fare del male e allora io gli chiesi pietà in nome di Dio, lui mi rimproverò dicendo che volevo incutergli timore invocando il nome di Dio, io continuai ad implorarlo di rimandarmi da mia madre. Ad un certo punto lui chiuse solo dicendo: “Domattina” e ordinò alla vecchia di tenermi allegra, farmi mangiare e farmi dormire nel letto. La vecchia cercò di eseguire gli ordini dell’uomo ma io tornai a stare rannicchiata in un angolo e anche quando arrivò la donna con la cena non mangiai nulla.

La notte ero talmente disperata che chiesi alla vergine Maria di salvarmi pronunciando un voto di castità.

Dopo di esso ripensai al: “Domattina” detto da quell’uomo e sono speranzosa, con questa speranza riuscii ad addormentarmi.

Adesso è mattina del giorno dopo e spero che ci saranno sviluppi positivi. A presto

 

Domenica 10 settembre 1628 (Alessandro Montalbano)

 

Buonasera, devo raccontarvi alcune cose, è incredibile ma sembra che le mie preghiere siano state ascoltate.
Ora sono libera, quello che era il mio sequestratore ha deciso di liberarmi, ma andiamo con ordine.
Qualche giorno fa dopo essermi svegliata sono stata confortata dall’anziana signora, ma il bello è che poco dopo sono arrivati Don Abbondio con un’altra donna che mi hanno detto che ero stata liberata. Dissi di aver perdonato il bandito e andai insieme alla donna alla casa sua dove fui accolta dalla sua famigliola e reincontrai finalmente anche mia madre a cui raccontai tutto quello che mi era succcesso e la indussi anche a non provare odio per Don Rodrigo dato che Dio non vuole che ci odiamo a vicenda.
Per oggi è tutto, spero che la situazione continui ad evolversi positivamente in questo modo e soprattutto spero di sapere qualcosa sul mio amato Renzo.
A presto

 

Mercoledì 20 Dicembre 1628 (Alessandro Montalbano)

 

Buongiorno, le cose stanno andando bene adesso, mi trovo a Milano come ospite di Donna Prassede così da essere al sicuro da Don Rodrigo, Inoltre qualche giorno fa ci sono arrivati cento scudi dall’Innominato, allora io dissi a mia madre del mio voto e anche di dire a Renzo con una lettera di esso oltre ad inviargli una parte del denaro.
Inoltre proprio di recente ho scoperto che lui è in salvo e che ha scoperto del voto perciò avevo deciso di provare a dimenticarlo ma quando Donna Prassede mi ha inziato a parlare male di lui definendolo un delinquente tutti i pensieri di dimenticarlo sono svaniti nel nulla e l’ho difeso dalle accuse. Per cui non posso farci niente, amerò sempre Renzo e so che lui ama me e mi spezza il cuore sapere di non poter essere felice con lui ma non posso infrangere assolutamente il mio voto, sarebbe come tradire la Vergine Maria. Mi accontenterò di sapere che sta bene.
Per ora è tutto, buonanotte.

 

31 Agosto 1630 (Alessandro Montalbano)

 

Buongiorno, sono molti mesi che non scrivo ma è successo di tutto.
Per prima cosa c’è stata l’invasione dei Lanzichenecchi che hanno distrutto e saccheggiato ogni cosa ma il peggio è stato che quando se ne sono andati ci hanno lasciato la peste e da allora tutto ha iniziato ad andare a rotoli anche io sono ancora nel lazzaretto convalescente.
Tuttavia fortunatamente giusto oggi ho finalmente rivisto dopo tantissimo tempo Renzo, io gli ho comunicato la mia volontà di rispettare il voto ma Padre Cristoforo ha detto che viste le circostanze in cui mi trovavo quando ho pronunciato il voto non c’era alcun problema e lo ha sciolto.
Questo mi ha reso estremamente felice, ora devo soltanto guarire e quando questa pestilenza sarà finalmente passata potrò finalmente sposare il mio amato Renzo.

 

Settembre 1630 (Alessandro Montalbano)

 

Salve a tutti, ci sono stati degli sviluppi positivi perchè un temporale ha spazzato via del tutto la peste e io sono guarita, purtroppo la pestilenza si è portata via Donna Prassede e Padre Cristoforo, ma per quanto questo sia triste io devo andare avanti e sono finalmente pronta a tornare al mio amato paese.

 

Autunno 1631 (Alessandro Montalbano)

 

Salve a tutti è passato un anno dall’ultimo post ma è che non sentivo il bisogno di scrivere e questo sarà il mio ultimo post.
Per dirla in breve io e Renzo siamo finalmente sposati e stiamo vivendo in un paese nuovo dove Renzo ha acquistato un filatoio e finalmente posso affermare con certezza una cosa, sono felice e mi piace la mia vita così come è, sono insieme all’uomo che amo, abbiamo la nostra famiglia felice e gli affari stanno andando benissimo, vedo un fututro roseo davanti a me e alla mia famiglia e non sono affatto preoccupata per il futuro anzi tutt’altro.
Come ho detto questo è il mio ultimo post e ringrazio tutti voi lettori per aver seguito questo blog e arrivederci a tutti.

 

12 Dicembre 1631 (Trucco Martina)

È mattina, sento delle voci, mi avvio in quella direzione. Davanti a me c’è Renzo, non riesco ad esternare quello che provo , mi sento trattenuta e non mi sbilancio molto nell’esprimere la mia felicità. Renzo mi risponde anche lui in modo freddo. Non so cosa dire… ma poi mi viene in mente di parlare di Fra Cristoforo  e della sua morte, il tempo sembra non passare mai, senza pronunciare altro Renzo decide di andare da Don Abbondio per decidere del matrimonio mentre io aspetto a casa. Al suo ritorno mi comunica che Don Abbondio ha ancora mille titubanze riguardo alla celebrazione, per prima cosa ha paura che la condanna su Renzo possa in qualche modo metterlo nei guai ma soprattutto che Don Rodrigo non sia veramente morto.

Decidiamo allora di andare noi stessi dal curato, dopo un po’ ci raggiunge nuovamente Renzo  che porta il sagrestano a confermare la morte di Don Rodrigo e la presa di possesso del palazzo da un noto marchese .

Guardo attentamente il viso di don Abbondio, alla conferma della morte di don Rodrigo diventa più disteso e inizia a parlare in maniera più disciolta, fissa addirittura una possibile data del matrimonio, l’unico intoppo ancora era la condanna di Renzo . Alla fine usciamo più sereni e tranquilli.

13 Dicembre 1631

  Oggi abbiamo ricevuto una visita inaspettata. il marchese erede di don Rodrigo si è deciso ad acquistare i nostri beni ad un valore doppio rispetto  a quello stimato, per noi sarebbe una gran fortuna ma è Renzo che deciderà cosa fare chissà come mai il marchese ci ha proposto quest’offerta, probabilmente voleva rimediare a tutto il male che il suo predecessore ci aveva fatto .

14 Dicembre 1631

Renzo ha finalmente accettato la proposta del marchese, noi due ci siamo finalmente sposati e siamo andati a vivere in un paese, in cui non mi sono trovata molto bene con i miei compaesani.

Renzo ha cambiato idea e ora vuole comprare un filatoio con suo cugino, quindi ci trasferiamo in un altro posto.

Ad un anno dal mio matrimonio è nata Maria, la mia prima figlia, sono molto felice e sono sicura che avró altri figli.