Blog di Don Rodrigo

Ciao a tutti, sapete già chi sono vero? Io sono il signore delle terre di ***: Don Rodrigo. Ho aperto questo blog perché voglio raccontarvi per bene le mie avventure, così per rendervi partecipi siccome le vostre vite non sono sicuramente entusiasmanti quanto la mia.

Lecco, Lunedì 6 novembre 1628 ( Denisa Istoc)

Sono in compagnia di mio cugino Attilio, in questo momento ci stiamo godendo la passeggiata, nel mentre stiamo parlando, quando lui all’ improvviso mi fa una domanda: “mi meraviglio che oggi I tuoi bravi non ti stiano a presso, di solito ti stanno sempre dietro in quanto tu non sei capace da solo, vero il mio caro cuginetto?” mi deride lui.

Gli ricordo che io a differenza sua ho persino un palazzo e una serie di uomini pronti a combattere per me servirmi, tu invece cos’hai? La nostra conversazione scherzosa sta mutando in una specie di sfida, rimanendo comunque in tono amichevole, in quanto noi siamo abituati a parlarci in questo modo.
Inizia subito a vantarsi delle sue conquiste, allargando le braccia per mostrarmi che tutto il mondo ritiene che lo premi per le sue doti.

Mi accusa che nonostante abbia un palazzo, terre e uomini, continui a non essere in grado di avere una donna al mio fianco. Gli feci subito notare che nemmeno lui ce l’ha. Eppure, lui mi risponde dicendomi che invece ne ha anche troppe, mentre io è da tempo che non ho una donna al mio fianco. Ci penso un attimo, nonostante sappia che abbia ragione… ma per rispondergli a tono, per non sembrare debole gli rispondo che non ho tempo per queste stupidaggini. Lui continua a sfidarmi chiedendomi se non ho tempo o non ho modo, mi deride.

Attilio sta oltrepassando ogni limite, non può insultarmi, così gli rispondo che io posso fare tutto, persino conquistare il cuore di una ragazza. Lui allora mi mostra una ragazza nei pressi della filanda e mi chiede se persino lei. Io gli dico che l’ho vista un paio di volte, si aggirava nei pressi della casa di Don Abbondio, la definisco un tipo timido con bisogno di protezione perché la sua natura è di tipo pauroso. Sono di certo io quello che potrà darle la protezione di cui lei ha bisogno. Gli faccio comunque notare che quella ragazza e promessa in sposa ad un certo Renzo Tramaglino… Posso fare tutto quindi scherzando e ridendo scommettiamo sul fatto che sarà mia.

 

Lecco, Giovedì 9 novembre 1628, prime ore del pomeriggio (Denisa Istoc)

Per oggi ho organizzato un sontuoso banchetto al quale assistono il Conte Attilio, Podestà e il dottor Azzeccagarbugli.

Mio cugino mi ha richiamato l’attenzione salutando un soggetto della cui presenza mi ha confuso, si tratta di un frate. Non capisco chi possa essere, ma poiché mio cugino lo saluta con tale enfasi, decido di farlo unire al nostro dibattito.

È quel frate che si trova nel paese vicino, Fra Cristoforo. Si inchina come segno di rispetto e alza la mano per salutare gli altri. Subito lo faccio accomodare e gli offro un bicchiere di vino come è giusto fare, e nonostante non accetti, insisto. Mi dice di voler parlare di qualcosa di importante e allora io gli rispondo dicendo che parleremo dopo.

Stiamo parlando quando il frate ci interrompe e insiste con il fatto di voler parlare con me, allora lo porto in una stanza. Inizia il discorso riferendosi al fatto che certi abbiano fatto il mio nome per quanto riguarda l’oppressione di due giovani innocenti. Capisco di chi stia parlando, ma per non finire nei guai, visto che Fra Cristoforo non è come Don Abbondio, lui cerca di ottenere la mia confessione ma invano, svio l’argomento alla nomina di Dio. Io per quanto lui stia cercando di non essere ostile, parlandomi in modo diplomatico, mi infastidisco lo stesso a causa della sua indiretta accusa e allora inizio a prenderlo in giro parlandogli in modo malvagio e sfidandolo.

Lui, visibilmente infastidito mi dice che anche se ora io sono il capo, quando sarò in cielo, sarà solo Dio a decidere la mia sorte in base al mio operato terreno, intendendo quindi che io farò una brutta fine nell’ Aldilà. Adesso ha iniziato anche a parlare del mio onore, dicendo che in questo modo potrebbe risentirne, mi parla di questo, quando tutti e quindi anche lui, sanno che io non sono una brava persona e non voglio esserlo. Lo minaccio dicendogli che io porto rispetto al suo abito, quindi al ruolo che ricopre, ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso a qualcuno che ardisse di venire a fare la spia nella mia casa.

Il frate, arrabbiato, cambia tono, e dopo una lunga e aggressiva discussione pronuncia il nome della ragazza cioè Lucia.

In fine mi dice, alzando il dito in su e guardandomi negli occhi, “verrà un giorno…” ma non finisce la frase, parla di Dio, il quale un giorno mi punirà. Io, arrabbiato per il fatto che abbia osato parlare in questo modo a me e per la paura di Dio gli urlo contro e lo caccio via da casa mia.

 

Lecco, Giovedì 9 novembre 1628 pomeriggio e sera (Serena Rubiano)

Sono davvero infuriato con quel maledettissimo Frate, non doveva assolutamente trattarmi in quel modo e soprattutto non doveva permettersi di dire quella stupida frase. Percorrendo la stanza a grandi passi, cerco di farmi venire qualcosa in mente ma mi fermo a guardare i miei antenati, che hanno tutti compiuto grandi cose, come me ovviamente, e che riescono a trasmettere terrore anche soltanto da una fotografia.

Pensare alle parole di Fra Cristoforo mi mette tanta agitazione da farmi venire la pelle d’oca. Forse mi sto tormentando troppo, ma non riesco proprio a darmi pace per il fatto che un frate abbia osato venirmi addosso con tanta arroganza.
Tutto questo è un disonore, io devo portare alto il nome della mia famiglia. So cosa fare, poterei… anzi no forse sarebbe meglio…

Mi stanno venendo alla mente troppi disegni di vendetta, non so quale scegliere. Così decido di chiamare un servo e di dirgli di comunicare agli altri che mi sono trattenuto per un affare urgente. Nel frattempo penso ancora alle parole di Fra Cristoforo, ma mi interrompo quasi subito per via del servo che è venuto a riferirmi che tutti sono andati via. Decido di andare a fare una passeggiata anch’io e ordino al servo di chiamare sei uomini e di portarmi subito la spada, la cappa e il cappello. Arrivano quasi subito tutti armati e pronti ad uscire; ci dirigiamo verso Lecco. Sono più altezzoso, più superbo e più accigliato del solito perché voglio che tutti gli abitanti di questo paese mi vedano così, mi devono temere.

Camminando, iniziamo a incontrare alcune persone che si ritraggono al muro e fanno inchini che ovviamente io non ricambio. Incontro anche persone di una certa importanza ed anche loro si inchinano dinnanzi a me. Per tirarmi su il morale decido di andare in un luogo di ritrovo in cui ci sono molte persone. Mi accolgono molto bene, sono cordiali e rispettosi. Dato che è già notte, decido di tornare al mio palazzetto dove incontro Attilio, che sta anche lui tornando a casa.

Mentre ceniamo, io e mio cugino parliamo della scommessa. Lui mi chiede, infatti, quando la pagherò, convinto che ormai io abbia perso la scommessa ma gli ho ricordato che ho ancora del tempo a disposizione. Attilio continua a parlare della scommessa, del frate, del fatto che è convinto che perderò e inizia anche a raccontare storie strane. Decido così di proporgli di raddoppiare la scommessa e lui accetta. Io non sono affatto stupido: ho fatto questa proposta perché sono sicuro che vincerò. Ho già pensato a tutto, rapirò Lucia. Intanto Attilio continua a pormi domande sulla mia decisione, è molto curioso, ma io sono bravo ad evitarle tutte. Vado a dormire, è stata una giornata piuttosto stancante.

 

Lecco, Venerdì 10 novembre 1628 (Serena Rubiano)

Oggi mi sono svegliato con il piede giusto, dormire mi ha fatto proprio bene, i sogni mi hanno aiutato a dimenticare le parole di Fra Cristoforo. Sono di nuovo me stesso, ieri sono stato un vero fifone. Appena sveglio, chiamo subito il Griso, il capo dei miei bravi, e gli ordino di rapire Lucia e di portarla qua senza un graffio, non voglio che le venga fatto del male. Il Griso e altri bravi organizzano il rapimento.

Poco dopo si recano a casa di Lucia vestiti da mendicanti. Il Griso bussa alla porta e chiede un pezzo di pane. Mentre è lì, si guarda bene intorno e quando gli viene dato il pane finge di sbagliare porta per guardare un’altra stanza. Il piano per ora prosegue bene. Il Griso mi riferisce tutto quello che ha visto nella casa di Lucia e la zona in cui si trova. Dico al Griso che pensi lui a come rapirla: l’importante per me è che sia qui prima di domani. Alla sera vedo i
miei bravi andarsene e ho fiducia in loro, hanno fatto cose più difficili, questa      (Alcuni dei miei bravi)                       volta dovrebbe essere una passeggiata.

Finalmente arrivano, ma con loro non c’è Lucia. È impossibile! Devono averla presa. Forse l’hanno lasciata al pano di sotto!? Non capisco proprio, come hanno fatto? Appena il Griso entra gli chiedo dov’è Lucia e già dal suo sguardo capisco che non sono riusciti a prenderla. Ho voglia di picchiare tutti i miei bravi, ho chiesto loro una cosa soltanto e non sono riusciti a farla! Io del Griso mi fido molto, non riesco ancora a capire come abbia fatto a farsela sfuggire. Chiedo subito delle spiegazioni al Griso che inizia a raccontarmi tutto fin dall’inizio.

Aveva mandato tre bravi all’osteria del paese per controllare la situazione. Loro gli avevano riferito che ad un certo punto era arrivato Renzo con altri due, un certo Tonio e un altro di cui non erano riusciti a capire il nome. Avevano parlato sottovoce tutto il tempo e Renzo continuava a guardarli insospettito. Quando se n’erano andati i bravi sono rimasti ancora lì per un po’, fin quando il brusio della gente che tornava a casa era svanito perché tutti dormivano. Poco dopo aevano raggiunto il Griso e altri bravi, vicino alla casa di Lucia. Erano entrati piano piano con molta cautela, il Griso aveva fatto nascondere alcuni bravi dietro ad un cespuglio che aveva visto la mattina stessa e aveva bussato alla porta con l’intenzione di fingersi un pellegrino smarrito. Aveva continuato a bussare, ma nessuno apriva così decise di aprire da solo la porta. Al piano terra però non ha trovato nessuno. Sono andati al piano di sopra e anche lì non c’era nessuno. Nel frattempo i bravi nascosti dietro al cespuglio si erano imbattuti nel Menico che aveva gridato alla loro vista ma i bravi lo avevano preso e gli avevano messo una mano sulla bocca. Poco dopo avevano sentito le campane suonare, tutta la gente si era svegliata ed era scesa per le strade. I bravi, impauriti, avevano lasciato andare Menico; stavano per scappare tutti disordinatamente ma il Griso aveva mantenuto l’ordine ed erano scappati via tutti insieme percorrendo una stradina fuori paese.

Sentendo tutto ciò penso che in fin dei conti non è stata colpa dei miei bravi, ma sono lo stesso un pochino arrabbiato con loro. Ci dev’essere una spia, come facevano a sapere della rapina? Perché hanno suonato le campane di notte? Troppe domande continuano a ronzarmi in testa e questo mi infastidisce troppo, così ordino al Griso di andare in paese l’indomani e di cercare di capire cosa fosse successo questa notte. Per questa volta Lucia è stata fortunata ma non mi arrenderò mai, proverò di nuovo a rapirla e la prossima volta mi assicurerò io stesso che sia tutto perfetto.

 

Lecco, Sabato 11 novembre 1628 (Serena Rubiano)

Mi sono appena svegliato, che sonno! Vedo subito Attilio che alla mia vista si rallegra e mi urla in faccia che è San Martino (il giorno della scadenza della scommessa). Non so cosa dire, pagherò la scommessa, ma non è questa la cosa che mi scoccia di più, bensì il fatto che pensavo di stupirlo stamattina, invece è stata una vera delusione.

Decido di raccontare tutto per bene a mio cugino perché sinceramente non mi va di fare la figura dello scemo. Attilio mi dice che ci deve essere di mezzo quel frate, mi chiede anche come abbia fatto a sopportare tutte quelle sofferenze che mi aveva causato il frate e ammette che lui al posto mio l’avrebbe ucciso. Anch’io avrei voluto farlo, ma non avevo voglia di mettermi contro tutti i frati d’Italia.

Il conte Attilio ad un certo punto mi fa una proposta, mi dice che ci penserà lui a tutta questa faccenda e che parlerà con il Conte Zio (un capo clan mafioso) a cui affiderà il compito di far allontanare Fra Cristoforo. Io non so ancora se acconsentire ma mi sembra una proposta accettabile. Iniziamo a fare colazione e non smettiamo di parlare d’affari.

Io, che non resisto più, inizio a lamentarmi di tutto ciò, della situazione in cui ci troviamo. Mio cugino insinua che ho paura, ma anche se è in parte vero non voglio che qualcuno lo sappia, infatti lo contraddico immediatamente. Alla fine mi faccio convincere e lascio che sia lui a occuparsi di tutto.

Ad un certo punto vedo arrivare il Griso e spero che mi dia delle belle notizie. Mi dice che Renzo e Lucia sono scappati al convento di Pescarenico. Che rabbia! Dev’essere tutta opera di quel maledettissimo frate, lo so, ma io gliela farò pagare. Come ho potuto farmeli scappare tutti e due? Mando subito il Griso al convento perché voglio assolutamente saperne di più su questa faccenda. Il Griso, tornato, mi riferisce che Renzo è a Milano e che Lucia è a Monza. Mando di nuovo il Griso a Monza mentre io con il mio avvocato, il dottor Azzecca-garbugli pensiamo a un modo per mettere nei guai Renzo.

Venerdì 13 Novembre 1628 Lecco (Serena Rubiano)

Sono a casa mia con Attilio e discutiamo sugli ultimi pettegolezzi che girano in paese: Renzo è riuscito a scappare dalla Polizia a Milano che veniva ricercato per aver commesso qualcosa di grave. Io sono molto compiaciuto degli ultimi avvenimenti, Renzo si merita tutto questo. Attilio, appena si calmò un po’ il tumulto, si reca a Milano per metter mano all’impegno di liberare il cugino del frate.
Subito dopo la sua partenza arrivò il Griso da Monza a dirmi che Lucia è in un convento lì a Monza con la madre. Mi disse anche che non usciva mai e che si comportava come una vera monaca quindi era davvero difficile rapirla. L’ira iniziò subito a prevalere su tutte le altre emozioni e per un attimo ho immaginato le cose peggiori su quella maledetta coppia. Non so proprio cosa fare. Mi è venuta un’idea ma non sono sicuro se possa andar bene o no. È un po’ azzardata secondo me perché si tratta di chiamare in mio aiuto un uomo o un diavolo che spesso fa cose pericolose. Potrebbe funzionare ma ci sono molti rischi che potrebbero impedire la buona riuscita del piano. Decido che per prendere decisioni così importanti è meglio rifletterci per più tempo.

 

Venerdì 1 Dicembre 1628 Lecco (Serena Rubiano)

L’inaspettato arrivo di una lettera da parte di Attilio e l’arrivo in paese di Agnese mi fecero finalmente convincere che era ora di chiamare quell’uomo. Poteva ancora essere rischioso ma ho deciso di provare e vedere come fa a finire tutta questa storia.
Così decido di andare al palazzotto dell’innominato a chiedergli se accetta la proposta di rapire Lucia per me. L’innominato accettò e promise di occuparsene lui con l’aiuto di Egidio, uno dei suoi più stretti collaboratori. Io sono abbastanza fiducioso perché l’innominato è uno di cui puoi fidarti, lui le promesse le mantiene. È il più grande criminale di sempre, riuscito in ogni sa impresa spero che non fallisca proprio in questa.

 

Giovedì 11 Dicembre 1628 Lecco e Milano (Denisa Istoc)

Sono felice perché Attilio è riuscito a mantenere la sua promessa cioè quella di convincere il conte zio a mandare in esilio Fra Cristoforo a Rimini. Non sono però riuscito a gustarmi per intero questa buona notizia che ne ho subito ricevuta un’altra spiacevole. L’innominato, il più grande criminale di tutti i tempi, proprio adesso si è convertito e di conseguenza ha liberato Lucia. Il mio piano escogitato da tempo non è riuscito solo per colpa sua che doveva convertirsi proprio adesso.
La sfortuna mi perseguita!
Ma non è finita qui, non solo l’innominato si è convertito, tutti in paese parlano di me e del mio insuccesso. E adesso non posso fare altro che scappare a Milano per la vergogna.

 

Fine Agosto 1630 Lecco (Denisa Istoc)

Sto tornando a casa dopo un festino celebrato per la morte di Attilio, il mio caro cugino… Che riposi in pace. Mi corico sul letto sentendo un grave senso di malessere e cerco di capire a cosa sia dovuto. Forse al caldo, al vino o agli stravizi ma il pensiero della pesta si insinua prepotente. Malgrado il dolore, riesco ad addormentarmi. Mi sveglio urlando pensando all’incubo appena fatto. Avevo sognato di trovarmi in una chiesa tra una folla raccapricciante e di rivedere l’incontro con Fra Cristoforo che avevo cercato di dimenticare. Nel frattempo guardo verso dove sento il dolore e scopro di avere un bubbone livido. Terrorizzato, chiamo il Griso pregandolo di andare a chiamare il chirurgo Chiodo che lo avrebbe curato. Ma il Griso, approfittandosi del mio malessere, mi disubbidisce e si rivolge ai monatti e con essi mi deruba. Ormai ho perso tutto, non posso più fidarmi di nessuno. Sono debole e arrabbiato ma non posso fare niente per sfogare la mia ira.  Oltre a tutto il male successo fin ora, la malattia si aggrava e perdo conoscenza.

 

Milano, agosto 1630  (Chiara Rossetti)

Caro diario, non ne posso più, veramente.                                                                                                                                                 Sto male già da troppo tempo, è da quattro giorni che sono in questo posto e sto soffrendo come un cane. Sono qui, in questa capanna, disteso su un materasso, se si può chiamare così, avvolto in un lenzuolo e rivestito da una specie di coperta.  Sono diventato irriconoscibile, direi addirittura spaventoso. Chiunque mi vede in queste condizioni si terrorizza. Sembro un cadavere, ho le labbra gonfie e nere, ho gli occhi sempre fissi su un punto e non ho neanche la forza per reagire, o quando cercano di parlarmi non riesco a rispondere. Tengo gli occhi aperti solo per miracolo, ma credo che questa sia la mia ultima pagina di diario prima di morire. Se non fosse per alcune contrazioni che delle volte mi attraversano, sembrerei davvero un morto. Spero di morire il prima possibile, e lo so che è brutto da dire, ma non ce la faccio più, preferisco andarmene piuttosto che soffrire in questo modo e farmi vedere in questo stato dalla gente. Non riesco quasi più a respirare, a parte alcuni affanni. Le mie dita stanno diventando di un colore nero, non so quale forza mi stia tenendo in vita. Mi devo rassegnare, la mia vita sta fnendo così, nel peggiore dei modi. Che poi io cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?

 

Blog del Cardinal Borromeo

Milano, mercoledì 16 dicembre 1628 (Mauro Beatrice)

Ho deciso di intraprendere la trascrizione delle mie memorie, ma prima ci tengo a esporre un po’ della mia storia. Il mio nome è Federigo e porto il cognome di una nobile familglia: i Borromeo. Tutti mi considerano un uomo di rara virtù e intelligenza che impiego nella ricerca del bene.

Fin dall’infanzia presi sul serio gli insegnamenti cristiani e decisi di seguirli, infatti, all’età di 16 anni, entrai nel collegio di Borromeo di Pavia, che fondò mio cugino Carlo. Lì, oltre a seguire la regola ecclesiastica, insegnai la dottrina  cristiana al popolo di Pavia. Non mi è mai piaciuto approfittarmene della situazione economica favorevole, anzi, sto rifiutando ancora oggi  tutti i vantaggi che la mia famiglia mi offre. Mi opposi persino ad un insegnamento che mi avrebbe permesso di distinguermi nella società.  Sono un uomo umile e amante della cultura, infatti un paio di anni fa fondai a Milano la biblioteca Ambrosiana fornendola di 30 mila libri di cultura orientale, e la riempii di esperti insegnanti.

Sostengo  l’uguaglianza e la pace tra tutti gli uomini, infatti considero l’elemosina un dovere, mi sento realizzato nell’aiutare gli altri e poi… Dio sicuramente riconoscerà quello che faccio nei confronti dei più bisognosi e, se avrò bisogno, mi saprà aiutare nello stesso modo. Nel 1594 morì mio cugino Carlo che mi sostenne in tutte le mie avventure e decisioni all’interno della Chiesa; alla sua morte tutti volevano e credevano che sarei stato io a prendere il suo posto ma io rifiutai poichè non mi ritenevo degno di un incarico così ambito e pericoloso al tempo stesso. Successivamente, nel 1595, Papa Clemente VIII mi propose l’incarico di Arcivescovo di Milano: io dapprima rifiutai per poi ubbidire  all’espresso ordine del Papa. Sto scrivendo molte opere morali, storiche, religiose e letterarie in lingua latina e italiana. Chissà, magari quando la mia anima sarà nelle mani dell’Alti ssimo queste verranno inserite nella biblioteca da me fondata.

Milano, Giovedì 17 dicembre 1628 (Mauro Beatrice)

Oggi la mia solita routine della domenica mattina è stata interrotta da un incontro con una persona molto particolare; una folla enorme per strada mi voleva incontrare. Mentre mi stavo dedicando agli ufizi divini e la strada era piena di gente che mi voleva vedere si è presentato a me il cappellano che presentava un viso turbato dicendomi che un “signore” chiedeva di essere ricevuto. Ho capito subito il motivo  di quell’espressione, smentendo ogni mia aspettativa, l’ospite che voleva incontrarmi era l’Innominato!!! Varcata la porta siamo rimasti uno di fronte all’altro per un po’ di tempo senza dire nulla. Costui era considerato un criminale dalla faccia cattiva ma questa mattina aveva il volto diverso dal solito: sembrava straziato e tormentato. Nonostante sapessi della sua reputazione nella societá non mi sono fatto intimorire e ho fatto tre passi avanti verso di lui per accoglierlo nel migliore dei modi. Se avesse avuto brutte intenzioni avrei fatto giustizia alla grazia divina e alla speranza della vita eterna. Con molta cautela ho fatto io la prima mossa domandandogli  la ragione di questa visita. Mi diceva che aveva il cuore oppresso e, a seguito di una profonda maturazione della sua coscienza e una notte tormentata da mille pensieri, avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare di tutto il male che aveva inflitto a tutti i poveri innocenti. Ero stupito, e non poco, sentendo proferire queste parole di pentimento dall’uomo considerato “Il Criminale”. A quel punto gli ho detto: “Dio solo può perdonarvi  e salvarvi! Se io sono preoccupato per la vostra salvezza pensate qual è l’amore di Dio per voi. Dio può fare di voi un esempio della sua gloria per tutti gli uomini”.  

La sua espressione era cambiata, era stato colpito dalla provvidenza  divina, il suo sguardo aveva gli occhi in lacrime dalla contentezza. Mentre piangeva sulla mia spalla mi diceva che non aveva mai provato sensazione più bella di quella che provava adesso: rimpiangeva tutte le azioni per cui poteva solo pentirsi ma almeno adesso avrebbe potuto interrompere quelle messe in programma. Mi ha raccontato della prepotenza che stava per fare a una giovine che ora si trovava al castello dell’Innominato e, che voleva liberare all’istante. Ho incaricato subito il cappellano di chiamare nella stanza in cui ero il parroco del paese e il parroco del paesello nel quale risiedeva la povera perseguitata. Il primo venne subito avanti mentre il secondo veniva controvoglia. Mentre incaricavo il parroco del paese di far chiamare qualche buona donna, che lo avrebbe accompagnato a prendere Lucia al castello, ordinavo di far preparare subito una lettiga e due mule per Don Abbondio. Ho rassicurato quest’ultimo dicendogli: “Consoleremo questa povera giovane e faremo il suo benessere”.

Ora si è fatto tardi, vado a pregare l’Altissimo di accompagnarmi in questa avventura e domattina proseguiró la trascrizione del mio diario personale.

Blog dell’Innominato

Oggi, 28 Aprile 2018, ho deciso di raccontarvi il mio primo incontro con Lucia Mondella.           (Gaido Camilla)

 

“Mi raccomando vecchia, accogli bene Lucia, devi trattala bene e farla sentire a proprio agio.” Dissi alla mia vecchia …

Uscii dalla stanza e andai sulla soglia del castello per vedere se arrivava qualcuno e nel mentre vidi il Nibbio che mi veniva incontro di corsa. Con l’affanno mi disse che era andato tutto liscio: erano riusciti a rapire Lucia, senza essere stati ostacolati da nessuno.

Iniziò a raccontarmi le dinamiche del fatto e mi accorsi che il Nibbio provò compassione, era la prima volta,  non ci potevo davvero credere, ero sbalordito! Non finiva più di descrivermi lo strazio di della ragazza e nella mia testa ha iniziato a frullarmi un pensiero: perché ho promesso di aiutare Don Rodrigo, non potevo farmi i fatti miei?!

Ad un certo punto, stavo per ordinare di tonare da Don Rodrigo a dirgli che non l’avrei più aiutato, ma all’improvviso dentro di me sentii un “NO” talmente forte che cacciai tutti questi brutti pensieri e mandai il Nibbio a riposare.

“Di sicuro questa donna ha un demonio o qualche angelo che la protegge perché non è possibile fare compassione al Nibbio!” Pensai …

A quel punto volevo conoscerla.

A luce spenta, senza vedere nulla, raggiunsi la stanza della vecchia dove si trovai anche Lucia e tirai un calcio alla porta per bussare. Quando entrai vidi la giovane rannicchiata in un angolo vicino ad una candela e mi venne d’istinto arrabbiarmi con la vecchia perché le avevo ordinato di trattarla bene e di farla sentire a suo agio e la ragazza sembrava invece molto intimorita.

Dissi a Lucia di alzarsi, che non le volevo fare del male, ma lei continuava a pensare che la volessi uccidere; cercai in tutti i modi di rassicurarla ma non ci riuscii. Mi chiese più volte di lasciarla andare e io le dissi che l’avrei liberata il mattino seguente.

Doveva assolutamente mangiare qualcosa così le proposi di farle mandare del cibo da una donna, ma la fanciulla aveva paura.

Ordinai alla vecchia di lasciarle il posto per dormire, di tentare di farla mangiare e di tenerla allegra.

Mi girai per tornare nella mia stanza, ma Lucia mi corse incontro, ed io ignorandola chiusi la porta, mentre lei ancora strillava implorandomi di lasciarla andare.

Io a malincuore mi misi a letto con mille pensieri nella testa …

 

 

 

 

Lecco, 7 Maggio 1628, ore 14:00                                      (Gaido Camilla)

Oggi mi sento al settimo cielo, non capisco perché non l’ho capito prima che fare buone azioni mi avrebbe fatto sentire meglio. Scrivo solo ora perché ieri sera avevo un sonno tremendo e, anche se non ci crederete ho dormito fino ad ora.

Sono nella valle e decido di radunare tutti i bravi nel mio castello perché voglio far loro una grande proposta. Mi incammino e tutti mi seguono, capisco che c’è tensione, curiosità e preoccupazione dal loro bisbigliare cercando di non farsi sentire. Arrivato sulla soglia del castello, raduno tutti e li faccio andare nella sala più grande, mentre io vado nella stalla a portare al sicuro il mio cavallo e poi mi presento anch’io nella sala dove tutti i miei uomini mi aspettano con ansia e timore. Appena entro, il brusio cessa e tutti si mettono da una parte. Alzo la mano e dico a tutti di ascoltarmi e stare in silenzio se non interrogati. Quando inizio a parlare i bravi mi guardano con gli occhi spalancati e la bocca involontariamente aperta. Semplicemente dico che ho deciso di cambiare vita: la strada che abbiamo intrapreso porta soltanto al fondo dell’inferno e chi vorrà cambiare con me lo tratterò come se fosse mio figlio, mentre chi non vorrà prenderà un salario e poi non dovrà mai più mettere piede in casa mia se non per cambiar vita insieme a me. Ordino a tutti di andare a dormire e penso che la mattina seguente, cioè oggi, li interpellerò uno ad uno per sapere la loro decisione. Alzo la mano e con un cenno li faccio uscire tutti quanti, poi faccio un giro nelle stanze e vedendo che tutto è quieto mi butto nel letto e inizio a dormire come un ghiro.

 

 

 

 

 

Confine tra Milano e Bergamasco  10 maggio 1600 , ore 19:00 (Carmine Groccia)

 

Tutti mi chiamano  l’ Innominato e oggi vorrei parlare di me per raccontarvi la mia storia. Sono considerato il personaggio  fondamentale dei promessi sposi, un uomo molto misterioso, potente, alto, calvo e con pochi capelli bianchi. Abito in un espugnabile castello  situato lungo il confine dei due stati (Milano e Veneto), circondato da bravi(sopratutto il mio fedele,  il Nibbio) che mi aiutano ormai da mesi con  i miei delitti(mentre prima svolgevo solo io i miei affari) perchè  la mia vecchiaia si sentiva  e stavo incominciando ad avere paura della morte. Il mio castello è posto in alto in modo che io riesco a controllare tutti i movimenti del paese:  sopra di me c’ era solo Dio. Ai piedi del castello scorre un torrente che fa da confine naturale tra i due territori. Fin dalla mia adolescenza sono sempre stato un criminale,tutte le persone che hanno un problema si rivolgono a me per risolverlo come ha fatto il malvagio Don Rodrigo, di cui  parlerò dopo. Insomma, tutte le persone che abitano nel mio paese devono scendere a patti con me é chiunque mi tradisca finisce con l’ essere uccisi ,non ho mai fatto distinzione tra deboli e forti, ho sempre aiutato entrambi con il risultato che a vincerla ero sempre io(riuscivo sempre con la mia potenza e aggressività ad ottenere quello che volevo).Dopo avervi raccontato  di me, vorrei parlare dell’ incontro che ho avuto con Don Rodrigo. Quest’ ultimo che aveva saputo attraverso i bravi che Lucia era rifugiata nel convento di Monza,aveva deciso di rivolgersi a me chiedendomi di rapire Lucia. Quando entrò nel mio castello, notai subito il viso e le mani(era un abitudine che avevo perché riconoscevo la persona ) e subito mi parlò di questo problema; ascoltai con molto interesse visto che nella vicenda era coinvolto anche Fra Cristoforo(il mio peggior nemico). Ad un certo punto ho zittito Don Rodrigo accettando l’ incarico e ricordandogli che avevo l’ aiuto di Egidio( amante di gertrude). Quando Don Rodrigo se ne andò,incominciai a provare dei forti dubbi sul mio passato e su tutti i delitti che avevo commesso che mi portavano ad un enorme peso sulla coscienza. Aspettai con tanta ansia  alla finestra  il ritorno del Nibbio e appena vidi una carrozza, un “NO” mi piombò in testa dicendomi di lasciare stare questo incarico di cui mi ero preso ormai la mia responsabilità ma per distogliermi da questo pensiero ordinai alla vecchia serva(che abitava da tempo nel mio castello) di accogliere Lucia e portarla nella stanza dove poi l’ avrei raggiunta.

Ho deciso di mostrarvi il mio colloquio con il Cardinale Borromeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Confine tra Milano e Bergamasco 11 maggio (1564-1631), 19:30 (Carmine Groccia)

Sono sempre l’ Innominato e oggi vorrei raccontarvi il mio incontro con il Cardinal Borromeo. Quando un bravo mi diede notizia che al paese si trovava il Cardinale, mi misi alla finestra per osservare  la gente che  stava andando a trovarlo e decisi di andare anche io ad incontrarlo perché era da tanto tempo che non lo vedevo. Mi vestì in   fretta e furia per andare ad incontrarlo, arrivai in una pubblica strada in mezzo alla folla, trovai un passante che mi indicò dove si trovava il Cardinale, mi recai in un cortile dove erano radunati molti preti e arrivò li anche  il Cappellano Crocifero che andò a riferire al Cardinale della mia presenza. Quando entrai lui mi accolse a braccia aperte: appena il Cappellano se ne fu andato, restammo in  silenzio a guardarci per capire ciò che avevamo nella testa in quel preciso momento. Incominciò a parlare il Borromeo, dicendomi che per lui ero come suo  figlio e che da molto tempo mi voleva abbracciare. Io rimasi perplesso di fronte alle sue parole dicendogli che l’ inferno mi aspettava ormai da tanto tempo per tutte avevo  e che stavo continuando a fare; gli raccontai anche che  incominciavo a sentire dei pesi sulla testa che non mi facevano dormire. Ad un certo punto il Cardinale mi disse una frase che mi fece piangere a dirotto nelle sue braccia: “ che dio mi ha toccato l’ animo e che mi voleva convertire perché ha capito che ormai io con la criminalità avevo chiuso”. In quel momento  mi staccai dalle braccia del Cardinale dicendogli che avevo ancora un incarico di cui mi ero preso la mia responsabilità, ma il Borromeo disse che questo era un segno divino perché potevo  subito di fare una buona azione con l’ aiuto di Don Abbondio  che sarebbe venuto  insieme a  me al castello per liberare Lucia. Così lasciammo il paese e durante il viaggio mi piombò un pensiero in mente   ero in tempo per troncare tutto e consegnare Lucia a Don Rodrigo, ma arrivammo al castello  dove io giunsi nella stanza di Lucia e le dissi che presto sarebbe stata liberata e consegnata in buone mani.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bergamasco, 12 Maggio 1600, 19:00 (Carmine Groccia) cap. 24 e 26

Quando Lucia venne accolta da Don Abbondio e la moglie del sarto, mi è sembrato opportuno chiedergli scusa per tutto il male che gli avevo fatto facendola piangere e averla fatta rinchiudere in una stanza. All’ inizio lei non mi guardò neanche negli occhi, probabilmente aveva paura ma poi mi guardò dicendomi grazie e auguradomi la benevolenza divina. A quel punto mi recai insieme a Don abbondio  verso la parrocchia e poi ritornai al castello dove fui accolto dai miei bravi dicendogli che avrebbero dovuto recarsi tutti insieme nel salotto dove io gli avrei raggiunti dopo perché dovevo parlargli. Ad un certo punto mi recai da loro spiegandogli che la via che avevano percorso fino ad adesso conduce all’ inferno e che io avevo deciso di cambiare vita e con questo finì il mio discorso lasciando i Bravi sconvolti e pieni di dubbi perché non potevano credere a ciò che avevano sentito. Decisi di condurmi a letto ma prima mi inginnocchiai pregando e chiedendo scusa a ciò che avevo fatto e che non faro più.

Quando il Cardinale finì il discorso con Don Abbondio riceve una visita dal curato della parrocchia che gli consegna un involto contenente cento scudi d’ oro e una lettera che io stesso avevo inviato dove spiegava di consegnare tutto  ad Agnese per scusarmi ancora di ciò che avevo fatto a Lucia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lecco, 1 settembre 1628, ore: 00.52                                 (Gaido Camilla)

 

Stanno tutti dormendo e pure io tra poco vado, sono stati dei giorni davvero stressanti e sono tanto stanco, ma prima volevo raccontarti un po’ dato che è da molto tempo che non scrivo nulla.

 

Sento qualcuno bussare alla porta, mi precipito giù per le scale per andare incontro al nuovo ospite e vedo che è Don Abbondio con due donne: la governante del curato e la madre di Lucia, la brava ragazza che mi ha spronato a convertirmi. Sono felicissimo di questa visita, Agnese mi saluta subito con due baci sulla guancia, mi volto e faccio segno di entrare al castello ai tre ospiti.

Domando al curato se fossero già venuti a cercarlo alla sua parrocchia, ma mi ha detto di no. Io lo rassicuro dicendogli che tanto qua non lo cercheranno e se ci provassimo siamo prontissimi a riceverli. Sono davvero felice di essere utile per Don Abbondio e queste due fanciulle. Conduco Agnese e Perpetua in una stanza del quartiere assegnato alle donne poi accompagno Don Abbondio nell’area destinata agli uomini in una stanza per gli ecclesiastici. I fuggitivi restano ventitré o ventiquattro giorni nel castello in una gran compagnia, ma non accade nulla di straordinario.

Ogni giorno mando uomini ad esplorare la valle perché ci sono continui allarmi ma più delle volte sono solo soldati che compivano razzie di foraggio per i cavalli e saccheggiatori.

Stamattina è arrivato un allarme che in un paesetto vicino sono arrivati i lanzichenecchi da varie parti e l’hanno invaso e saccheggiato, allora ho deciso di andare con i miei uomini a scacciarli. Li inseguo per un tratto poi mi fermo e decido di tornare al castello dato che stanno scappando. Appena arrivato a casa metto in sorveglianza molti luoghi e mi ritiro nella mia camera perché sono tanto stanco.

 

A momenti mi si chiudono gli occhi per la stanchezza, continuerò il racconto appena avrò un momento libero, buona notte.