Blog dell’avvocato Azzeccagarbugli

Lecco,Mercoledì 8 Novembre 1628, ore 21.00 (Alessia Paschetta)

Caro diario questa mattina stavo controllando l’ennesima grida nel mio studio con dosso la mia solita toga consulta,quando sento degli strani versi e la mia serva che,con un tono scocciato e duro,dice:”date qui e andate inanzi”. Allora uscito dal mio studio, un po’ disordinato e impolverato, vidi quello che ai miei occhi era palesemente un bravo,che si era tagliato il ciuffo per rendersi meno riconoscibile (che astuzia!) e che si inchinava dinanzi a me, con a fianco la mia serva con quattro capponi in mano.

L’avvocato Azzecca-Garbugli

Lo feci entrare e subito ho notato che il giovane si guardava in torno con aria disorientata, ma speranzosa; allora gli ho chiesto il motivo della sua vista ed egli subito inizia a scusarsi per il suo linguaggio da “poveraccio “(cosa che ormai sta diventando una consuetudine e per cui ogni volta devo fingere compassione per questa fascia di società analfabeta o quasi) e mi chiese, dopo un po’ di insistenza da parte mia per farmi raccontare il fatto e lasciare perdere le scuse, se minacciare un curato,perché non vuole celebrare un matrimonio, fosse un reato penale.

Io subito non ho capito, infatti ho preso tempo giocando con le mie labbra, poi mi sono ricordato di quella grida fresca fresca che avevo messo qualche giorno fa in quel mucchio di gride polverose sul mobile dietro la scrivania, quindi mi sono alzato e l’ho presa. Il poveretto mi faceva quasi compassione, infatti mi è venuto quasi naturale chiamarlo figliuolo e gli ho chiesto se sapesse leggere, cosi’ potevamo analizzare insieme il suo caso. Lui mi ha risposto che se la cavava, ma non era bravissimo; allora ho iniziato a leggere la grida che sembrava essere fatta apposta per il “poverello”, dopo di che ho iniziato a complimentarmi con lui “per il travestimento”,però anche un po’ infastidito, gli ho chiesto di spiegarmi dettagliatamente il motivo della sua visita e per rassicurarlo gli ho detto che comunque io ho cavato altri imbrogli peggiori di una minaccia a un curato o una persona importante. Lui subito mi rispose che non è lui che ha minacciato, ma bensì era lui stesso la vittima.

L’avvocato Azzecca-Garbugli e Renzo

Allora lì ho capito tutto il malinteso che c è stato fra me e quel ragazzo!

Quindi con voce scocciata e arrabbiata gli ho chiesto di chiarire le cose. Dunque inizia raccontare e io inizio a capire che non erano faccende da Azzecca-Garbugli, avrei rischiato troppo… .

Così ho deciso di lavarmene le mani e cacciarlo dal mio studio,sminuendo il suo caso.

Il bello è che il giovane ha continuato a insiste,quindi mi sono innervosito ancora di più, ho chiamato la serva per dargli indietro le bestie e l’ho cacciato!

Non mi era mai capitato di scambiare un giovane di buona fede per un bravo,ma che giornata!

Lecco,Giovedì 9 novembre 1628, ore 23.50(Paschetta Alessia)

Caro diario oggi, dopo aver passato una comune giornata in studio, sono stato invitato a cena da don rodrigo nel suo palazzotto. Allora chiuso lo studio per le 18 ho iniziato a prepararmi, così che per le 19.00 sono partito.

Arrivato sulla collina del palazzotto, da dove potevo vedere tutta Olata, mi sono diretto verso l’entrata e sul portone d’ingresso ho notato subito due avvolto inchiodati ad esso. Che inquietudine! Oltre a quel “benvenuto” ho visto subito la polvere e lo sporco del suo castello, ma dal tronde dovevo immaginarlo già dall’esterno dove c’erano pale e rastrelli buttati a caso e due bravi con aria stanca e scocciata fuori a fare come da guardia. Oltre a me, poco dopo, è arrivato il Podestà, il cugino del padrone, Attilio e altri due convivianti, di cui neanche mi ricordo il nome.

Cena nel palazzotto di Don Rodrigo

Ci siamo seduti subito a tavola e verso le 20 la cena è stata servita. Penso di non aver mai mangiato cosí male in tutta la mia vita, infatti la carne era scotta, la Verdura era stopposa e il pane duro.

In piú, perché tutto ciò non bastava a rovinare la serata, dovevamo parlare di una faccenda noiosissima di cavalleria, ma a un certo punto è arrivato un servo con un frate che don rodrigo, un po’ spaventato, fa sedere al tavolo con noi. Dopo abbiamo cambiato discorso e abbiamo iniziato a parlare di politica e della guerra di successione del ducato di Mantova allora, dato che l argomento mi sembrava troppo pesante e noioso ho proposto un brindisi per il duca d’Olivares e a cui ha partecipato anche il frate.

Dopo il mio brindisi l argomento della cena è cambiato di nuovo, infatti abbiamo iniziato a parlare della carestia, però non so bene cosa sia successo, so solo che a un certo punto Don Rodrigo si allonta con il frate ed è tornato  10 minuti dopo solo e  con aria scocciata e spaventata.

Dopo questo piccolo inconveniente la noiosa serata e andata avanti fra chiacchiere inutili e bicchieri di vino.

Adesso sono nel letto con la luce della candela che sto pensando a che pessima serata è stata questa.

Promemoria: non andare a mangiare mai più nel palazzotto di Don Rodrigo.

Blog di Fra Cristoforo

Lecco, 8 Novembre 1628 (Scalzo Rossella)

Mi chiamo Lodovico e sono qui a scrivere la prima pagina del mio diario per poter manifestare le mie emozioni.

Sono figlio di un ricco mercante di *** che dopo aver accumulato molte ricchezze, decise di lasciare da parte il commercio per dedicarsi ad una vita agiata.

Mio padre voleva far dimenticare il suo passato di un uomo povero e studiava tutti i modi di far dimenticare ch’era stato mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui.

Io sono stato educato nel lusso, secondo l’arte della cavalleria, e sono abituato ad esser trattato con molto rispetto, circondato da adulatori.

Tuttavia, i potenti del luogo mi tengono in disparte e il mio carattere acceso mi ha portato a voler diventare una sorta di protettore degli oppressi. Prendo volentieri le parte dei deboli e cerco di tenere a freno i soverchiatori, ma per fare questo mi sono dovuto circondare di bravi, andando contro la mia coscienza.

Tutto filava liscio quando stamattina, mentre sto passeggiando per una strada della mia città, accompagnato da due bravi e dal mio fedele servitore Cristoforo, vedo spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non ho mai parlato ma che mi è cordiale nemico. Quando ci incrociamo mi dice:”Fate luogo”. Io rispondo che la precedenza è la mia e lui  risponde all’istante in modo arrogante. 

 Iniziamo a litigare fino ad arrivare alle armi e, mentre io cerco di scansare i colpi, lui cerca di uccidermi.

Cristoforo, il mio fedele servitore vedendomi ferito, viene in mio soccorso e si scaglia contro il nemico che, con una spada in mano, lo trafigge.

Io, vedendo Cristoforo a terra, con tutta la mia ira colpisco l’avversario al ventre e quello cade. I suoi bravi scappano e lo lasciano solo: rimaniamo io e i due defunti in mezzo ad una folla che si è fermata per assistere al duello.

Ora mentre scrivo, sono ricoverato nel vicino convento dei Cappuccini dove mi sono rifugiato e sto ripensando all’accaduto. Mi sento molto in colpa per la morte del mio servo, così ho deciso di chiamare un frate per cercare la vedova di Cristoforo e per dirle che provvederò io al mantenimento della famiglia.

L’antico pensiero di farmi frate è ritornato alla mia mente e, con questo segno divino, ho deciso di entrare nell’ordine dei Cappuccini, con il nuovo nome di Cristoforo.

La famiglia dell’assassino, nel frattempo, desidera far giustizia dell’ucciso, ma io vorrei chiedere il perdono e scusarmi per il gesto violento, così che mi recherò da loro e chiederò perdono.

Mi reco a casa della famiglia dell’ucciso.

Attraverso il cortile con una folla che mi squadra con una curiosità poco cerimoniosa e, seguito da un centinaio di sguardi, giungo alla presenza del padrone di casa.

Questo, circondato dai suoi parenti ha lo sguardo a terra e con la mano sinistra impugna il pomo della spada.

Io mi inginocchio e con un gesto umile invoco il perdono della famiglia che, mossa dalla commozione, mi perdona e mi offre il rinfresco. Io per non rifiutare i suoi doni chiedo un pane come pegno, lo saluto e mi reco verso l’uscita. Mentre la famiglia continua a festeggiare, abbandono la città pronto ad iniziare una nuova vita, più umile e meno ribelle.

 La nostra storia nota espressamente che, da quel giorno in poi, quel signore fu un po’ men precipitoso e un po’ più alla mano.  (Alessandro Manzoni)

 

Lecco, 9 Novembre 1628, al mattino. (Scalzo Rossella)

Appena arrivato a casa di Lucia mi accorgo che i miei presentimenti non erano falsi: guardando le due donne capisco che è successo qualcosa di grave.

Lucia scoppia a piangere e io cerco di tranquillizzarla, mentre chiedo ad Agnese di raccontarmi cos’è successo. Lei inizia la sua dolorosa relazione e io cerco di trattenermi.

Appoggio il gomito sinistro sul ginocchio, chino la fronte nella palma e con la destra stringo la barba e il mento come per tenere ferme e unite tutte le potenze dell’anima.

Penso a diverse ipotesi: mettere un po’ di vergogna a Don Abbondio e fargli sentire quanto manchi al suo dovere, informar di tutto il cardinal Arcivescolo, e invocar la sua autorità, oppure tirare dalla mia parte i miei confratelli di Milano.

Alla fine decido di affrontare io stesso Don Rodrigo per tentar di smuoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere, coi terrori dell’altra vita, anche di questa, se sia possibile.

Nel frattempo arriva Renzo che si ferma sulla soglia in silenzio.

Quando alzo lo sguardo per comunicare alle donne il mio progetto mi accorgo di lui e lo saluto. Renzo, prima commosso e poi infuriato, racconta del suo progetto di affrontare Don Rodrigo ma io lo afferro fortemente al braccio e gli faccio promettere che non provocherà nessuno e che si lascerà guidare da me.

Io cerco di tranquillizzarlo comunicando che andrò io stesso da lì a poco a parlare di persona a Don Rodrigo.

Detto questo, tronco i ringraziamenti e le benedizioni e mi avvio verso il convento per cantare le preghiere del mezzogiorno, poi mi metto in cammino per andare verso il covile della fiera che volevo provare ad ammansare…

 

Lecco, 9 Novembre 1628 (Nicotra Gaia)

Mentre mi avvicino al castelletto di Don Rodrigo, attraverso le strade del paese, mi rendo conto che tutti gli abitanti hanno connotati somatici inquietanti, dalle donne ai bambini: i volti sono arroganti e le espressioni maleducate.

Intravedo l’uscio presidiato da due energumeni di guardie e su di esso vedo  scolpite due teste di avvoltoi. L’edificio sembra abbandonato, le finestre sono serrate da inferriate possenti, l’atmosfera è tutt’altro che lieve, si odono cani abbaiare ferocemente. Una delle due guardie, riconoscendo il mio abito, mi degna di attenzione e mi permette di entrare. Vengo accompagnato in una sala dalla quale si sentono commensali in festa; mi annunciano, entro, un’atmosfera di disagio mi assale: è in corso una discussione su tematiche letterarie, mi vogliono coinvolgere ma cerco di evitare ogni domanda. Infastidito da ciò, Don Rodrigo quasi con tono di minaccia, mi ricorda che in fondo sa benissimo che non sono sempre stato un religioso ma un uomo di mondo e a questo punto vorrei rispondere, ma preferisco tacere ricordandomi il motivo per cui mi sono recato in questo luogo.

La discussione poi riprende, questa volta il soggetto è la successione al Ducato di Mantova, che io ascolto in silenzio, non voglio partecipare, mi sembra don Rodrigo che si stia perdendo tempo per non avere un colloquio privato con me. Me ne sto zitto in un angolo, paziente, non posso andarmene senza essere stato ascoltato, prima o poi qualcuno smetterà di parlare … Ecco! Don Rodrigo incrocia il mio sguardo, forse mi concede udienza, si alza, si avvicina e mi fa cenno di seguirlo in un’altra sala. conduce in un’ altra sala.

Don Rodrigo si mette zitto in mezzo alla stanza e mi chiede con tono deciso e quasi irriverente:  “In che cosa posso ubbidirla?”

Giro e rigiro la corona del rosario tra le mie mani cercando frasi da pronunciare o meglio cercando di non far uscire quelle che avrei voluto pronunciare, ma che non erano adatte al fine che mi ero proposto; cosi decido di venire al dunque e di chiedere un atto di carità, vale a dire di lasciare in pace Renzo e Lucia. Don Rodrigo mi risponde stizzito, dicendo di non amare chi fa leva sui sentimenti di coscienza e onore e che ha molto rispetto del mio abito ma che potrebbe dimenticarsene. Cerco di rimediare solleticando  l’ego di questo uomo  dice:  “Una parola di lei può far tutto”.  Don Rodrigo mi risponde: “Ebbene” e per un attimo spero  abbia deciso di lasciare libera Lucia, invece rigira il discorso dicendomi di portargliela in modo che possa proteggerla.

A questo punto non ce la faccio più ed esplodo dicendo: ” La vostra protezione! E’ meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatto a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.”

Inizio a dire che la sua casa sarà maledetta e termino dicendo: “Verrà un giorno…”

Don Rodrigo davanti a me rimane stupefatto, mi sembra impaurito, poi grida forte di levarmi dai piedi, mi indica la porta e io me ne vado.

Uscendo il vecchio guardiano, mi si avvicina e portandosi un dito alla bocca mi sussurra: “Padre ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle” spero di avere qualche risposta subito, invece quello mi propone un incontro in un luogo più sicuro nei giorni seguenti.

Milano,  24 Agosto 1630 (Nicotra Gaia)

Mi trovo nel lazzeretto, un recinto quadrilatero fuori dalla città di Milano destinato agli appestati, mi guardo intorno e vedo solamente uomini malati, con gli occhi che urlano sofferenza e dolore, uno di essi mi si avvicina e mi chiede aiuto, un aiuto fatto solo di parole e comprensione… nulla può guarirlo.

Mentre mi aggiro tra le baracche piene di paglia putrida e fetente con la scodella in mano, mi fermo all’uscio di una di esse, mi siedo e sento una voce, una voce familiare; poso in terra la scodella e mi alzo con difficoltà, rimango meravigliato da quell’uomo che riconosco essere Renzo, “come sta padre? Come sta?” mi domanda. Rispondo, ancora sorpreso: “Meglio di tanti poverini che tu vedi qui” . Gli chiedo di Lucia e mi dice che non è ancora sua moglie e la sta cercando, spera di trovarla proprio lì.

Mi ritiro con lui in un posto appartato,  gli procuro un pasto caldo e gli chiedo di raccontarmi cosa è successo; tra una cucchiaiata e l’altra, Renzo mi racconta di Lucia del suo rapimento e della sua clausura nel Monastero di Monza; mi racconta di essere stato anche a Milano ma di non averla trovata.

Gli dico che le donne nel lazzeretto sono divise dagli uomini ed è proibito incontrarsi.

Mi dice che sono venti mesi che la cerca e gli indico di rivolgersi a Padre Felice, il frate cappuccino del lazzeretto, perché proprio oggi avverrà l’incontro di tutti i superstiti. Quindi gli consiglio di intrufolarsi quando ci sarà il rintocco delle campane e cercare di scorgere il volto di Lucia. Spero prima di morire di sapere che lei sia viva … L’afferro per un braccio e lo sposto dicendogli che non ho tempo di dargli retta e ascoltare i suoi desideri di vendetta. Ma decido di prenderlo per mano e lo conduco in una stanza, all’interno della quale riposa un uomo in fin di vita: Don Rodrigo. Glielo indico e voglio che lo guardi, lo induco a perdonare ” forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipendono ora da te, da un sentimento di perdono, di compassione…d’amore!”

Renzo giunge le mani e china il viso su di esse, usciamo dalla stanza, io  mi avvio lentamente e dolorante con il pensiero di poterlo incontrare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Blog di Agnese

Mercoledì 8 Novembre 1628. ( federica )

Io sono Agnese, la madre della famosa Lucia Mondella di cui tutti parlano; bravissima ragazza mia figlia, ma ora non siamo qui per parlare di lei, io sono una donna molto furba e molti dicono che io non sia così colta ma a parer mio non è  vero, infatti a Lucia e al suo futuro marito do sempre ottimi consigli.

Quando Renzo informò anche me della notizia non ci potevo credere! Lucia e Renzo non si potevano sposare per colpa di un ignorante Signorotto che si era invaghito di mia figlia. Non poteva accadere una cosa simile, dovevo pensare a qualcosa e anche in fretta prima che succedesse qualcosa di molto peggio… data la violenza di Renzo in quel momento.

Lucia era in lacrime ed io da madre mi sentivo distrutta a vedere la mia bambina, ormai diventata donna, stare così per un prepotente. Mi raccontò che qualche giorno prima mentre tornava dalla filanda incontrò Don Rodrigo, in compagnia di un altro uomo, che che cercò di trattenerla in chiacchiere non troppo belle e quando lei si allontanò sentì il signorotto esclamare “scommettiamo!” e altri sghignazzi.

Così mi venne in mente un’idea geniale, mandai Renzo dall’Azzecca-garbugli chi meglio di lui poteva risolvere questa nostra questione?

Prese quattro capponi e si avviò verso lo studio dell’uomo.

9 Novembre 1628 (Federica)

La mia soluzione non ha funzionato, eppure pensavamo tutti che fosse un’idea geniale, che un uomo sveglio e furbo come lui ci sarebbe riuscito a risolvere i nostri dilemmi.                                                                                          Renzo arrivò con un’espressione indispettita e mortificata allo stesso tempo.                                                        Cercai così di dimostrargli che la mia idea sarebbe stata buona se solo Renzo fosse stato capace di svolgere il suo semplice compito, Ma Lucia ci interruppe annunciandoci un’idea migliore, chiedere al buon Fra Cristoforo e decidemmo di incontrarlo il giorno seguente.

Giovedì 9 Novembre 1628. (federica)

Quando incontrammo Fra Cristoforo il giorno seguente mi scusai per averlo disturbato e Lucia scoppiò a piangere e il buon uomo cercò di calmarla ma non sapeva più come fare ed iniziò a diventare dei mille colori.

Gli raccontammo di come si fosse comportato Don Abbondio e Don Rodrigo e lui faceva quasi fatica a trattenersi dal nervoso, ne ha dette di tutti i tipi di quei due vigliacchi.

Così iniziò a pensare a un modo per risolvere la questione.

                                            *** 9 Novembre 1628  (Nari Laura)

Dopo un po’ qualcun altro bussava alla porta, questa volta era Renzo.                                                                      Dopo aver salutato il frate, Renzo iniziava  ad insultare quella canaglia di Don Rodrigo ed a lamentarsi che tutti i suoi amici nel paese lo avevano abbandonato nel momento del bisogno, ma subito veniva  interrotto e rimproverato da Padre Cristoforo.                                                                                                                                                        Egli ci diceva che sarebbe andato lui stesso da Don Rodrigo, che Dio vegli su di lui.                                                      Dopo averci consigliato di starcene nella nostra casa  si avviava verso il suo convento.                                          Stavamo nella nostra casa in silenzio,  dopo  un po’ mi veniva una fantastica idea, perché non fare un matrimonio a sorpresa? Era di sicuro un piano migliore di quello di Fra Cristoforo, sarebbe servito solo coraggio e destrezza.            Renzo era fomentato e la mia figliola titubante così spiegavo che, una volta sposati, tutto si sarebbe risolto. Avevo sentito dire giù in paese che per un matrimonio ci doveva essere, si un curato, ma non per forza  il suo consenso. Ci devono essere due testimoni molto furbi, si sarebbe dovuti andare dal curato, prendendolo alla sprovvista. L’uomo dovrà dire:”Signor curato, questa è mia moglie.”; la donna dovrà dire :”Signor curato questo è mio marito.” e il matrimonio sarà valido.

Anche una mia amica aveva usato questo stratagemma per sposare il suo amato senza il consenso dei suoi parenti, ma la poveretta se ne pentì dopo tre giorni.                                                                                                                      Renzo subito non ci credeva ma sono riuscita a convincerlo, invece Lucia non voleva averne a che fare. Diceva che era solo un imbroglio, che si doveva dire tutto al Padre Cristoforo.                                                                         Renzo però non le dava ascolto, ci salutava e si dirigeva subito a cercare i due testimoni.

 *** 9 Novembre 1628, tardo pomeriggio (Nari Laura)

Finalmente è  tornato il mio caro genero, ci ha  spiegato  che  ha  convinto il suo amico Tonio e il cugino ad aiutarci nel nostro inganno.                                                                                                                                                    Lucia è  ancora titubante ma la cosa non importa molto a me a Renzo, questo matrimonio s’ ha da fare!                    Io e Renzo eravamo decisamente motivati, fino a quando mi ricordavo della presenza di Perpetua nella casa del curato. Non avrebbe di sicuro fatto entrare i due promessi sposi a quell’ora della sera.                                          Subito dopo trovavo una soluzione : avrei distratto Perpetua, nota come una grande chiacchierona, con dei grandi pettegolezzi .                                                                                                                                                                  La mia cara Lucia però non si lasciava smuovere, non voleva sposarsi con inganni e sotterfugi, men che meno nascondere una cosa simile a Fra Cristoforo, voleva sentire la sua idea.                                                                 Subito dopo  sentivamo dei passi, era proprio Padre Cristoforo.                                                                                  Lui ci aveva detto che all’indomani avremmo dovuto recarci nel suo convento, dove   ci avrebbe spiegato il suo piano.  Ci spiegava anche cos’era successo con Don  Rodrigo.                                                                                          Dopo aver finito il racconto Fra Cristoforo usciva di fretta dalla nostra casa per arrivare prima della notte nel convento , per evitare  di incorrere nelle penitenze. Mentre usciva, ci ricordava di avere fede nel Signore e nella provvidenza.                                                                                                                                                                      Uscito il frate , io non ero così convinta delle sue parole . Renzo era fuori di sé dalla rabbia, tornava a proferire minacce contro Don Rodrigo. Io e Lucia provavamo a farlo ragionare, ma il giovane non voleva  sentire ragioni ed era determinato ad uccidere Don Rodrigo. Provavo inutilmente a calmarlo, Lucia piangeva e lo supplicava  di rinsavire, si inginocchiava di fronte a lui  e prometteva  che sarebbe andata dal curato per tentare il “matrimonio a sorpresa”, quindi finalmente Renzo si calmava.

*** 10 Novembre 1628, mattina (Nari Laura)

Questa mattina è arrivato Renzo per definire i dettagli del nostro grande piano. Dopo gli ho chiesto se poteva andare al convento per parlare con Padre Cristoforo, ma lui si è rifiutato per paura che il frate scoprisse degli inganni che avevamo in mente.                                                                                                                                                            Allora ho deciso di andare da un ragazzino di dodici di nome Menico, per chiedergli di andare dal cappucciono, sentire cos’aveva da dire e tornare dalle due donne a riferirgli le sue parole in cambio di un paio di monete d’argento, fortunatamente Menico ha accettato.                                                                                                          Dopo essere tornata a casa sono successe cose molto strane, per prima cosa è arrivato un mendicante a chiedere il pane, quando però ha ricevuta la sua pagnotta si è trattenuto nella nostra casa con delle scuse mentre curiosava in giro.                                                                                                                                                                                Dopo il mendicante, altre persone sono passate davanti alla nostra casa in modo sospetto fino a mezzogiorno. Io e la mia adorata  Lucia eravamo intimorite per cioò che era successo, l’idea del matrimonio a sorpresa non sembrava più così geniale.

*** 10 Novembre 1628, notte (Nari Laura)

Era arrivato il gran momento! Ci siamo incamminati verso la casa del curato per l’ inganno, arrivati alla porta Tonio e Gervaso chiamarono Perpetua mentre io, Renzo e Lucia ci nascondevamo.                                                          Perpetua, dopo essere andata ad avvertire Don Abbondio della presenza dei due, li raggiunge. Poi, come per caso, sono arrivata io per distrarla, la domestica così invita i due uomini a entrare, mentre gli  dico che per alcuni pettegolezzi Perpetua non avrebbe sposato due pretendenti perché non l’avevano voluta, subito ha negato la cosa e mi ha chiesto chi aveva messo in giro delle simile menzogne. Ho finto di voler sapere altri particolari, inizio a parlare con Perpetua e la faccio allontanare dalla casa.  Quando io e Perpetua ci siamo allontanate abbastanza, ho  tossito forte per lanciare un  segnale che ha fatto capire a Renzo e Lucia che era il momento di entrare nella casa.      È passato un po’ di tempo e stavo ancora parlando con Perpetua cercando di non farla avvicinare alla casa del curato. Non avevo avuto nessun segno della buona riuscita del piano quando ad un certo punto sentiamo le grida di Don Abbondio. Io continuo a parlare con indifferenza ma Perpetua sentendole grida di aiuto si precipita verso la casa. Io la seguo ma subito dopo sento le urla di Menico e in contemporanea il suono delle campane. Insomma nel Paese si è creato un grande casino!                                                                                                                        Arrivata alla casa  arrivarono subito Renzo e Lucia. Renzo invita me e la mia povera figliola a casa, ma arriva di corsa Menico che ci invita ad andare da Fra Cristoforo. Così ci siamo incamminati verso il convento tagliando per i campi. Quando siamo arrivati in un campo isolato, Renzo mi ha informato dell’esito negativo del piano e Menico ci racconta che nella nostra erano entrati gli scagnozzi di Don Rodrigo, quel farabutto! Do a Menico 4 monete d’argento e Renzo gli da una berlinga, speriamo che non dica niente di quel che il Frate gli ha detto.                                                                                                                                                                                Siamo arrivati al convento, all’ingresso ci sono Padre Cristoforo e Fra Fazio, diffindente dal fatto che due donne entrino un convento.                                                                                                                                                      Fra Cristoforo ci consiglia di lasciare il nostro paese, ormai non è più un posto sicuro per noi. Io e mia figlia saremmo dovute andare a Monza in un convento, Renzo invece sarebbe dovuto andare a Milano da Padre Bonaventura da Lodi.                                                                                                                                                                                    frate ci invita a raggiungere la riva del lago  dove troveremo un barcaiolo che ci trasporterà alla riva opposta, dove una carrozza ci porterà fino a Monza.                                                                                                                       Siamo usciti dal convento e ci siamo recati alla riva del Lago dove subito abbiamo trovato il barcaiolo, e dopo aver detto la frase in codice ci fa salire sulla barca e inizia a remare verso la riva opposta. La mia bellissima figlia ha un aria triste, so che gli mancherà questo piccolo paesino.

Monza 11 Novembre 1628, mattina (Nari Laura)

Il barcaiolo ci fa scendere sulla sponda opposta dell’Adda. Il calesse è lì ad attenderci con il suo conduttore, perciò saliamo e l’uomo parte subito per Monza.                                                                                                                     Arriviamo a Monza poco dopo l’alba e  il conduttore del calesse ci porta in una locanda per riposarci, Renzo vuole restare con noi, ma doveva subito partire per Milano per obbedire a Padre Cristoforo. Renzo quindi si incammina verso Milano mentre la mia povera figlia piange per la separazione.                                                                                Il conduttore del calesse ci conduce al convento dei padri cappuccini e una volta arrivati l’uomo fa subito chiamare il padre guardiano. Lui si presenta sull’uscio e legge la lettera scritta da padre Cristoforo. Così capisce che solo la “ Signora” potrà esserci d’aiuto, e ci invita a seguirlo al convento delle monache. Intanto il frate ci raccomanda di seguirlo a una certa distanza in strada, per evitare che la situazione si possa fraintendere. Il conduttore del calesse ci rassicura che questa “Signora” è una brava persona, molto rispettata e che con lei saremo state al sicuro. Quando arriviamo al convento il conduttore ci lascia con il frate e ci augura il meglio. Il frate ci fa entrare nel cortile del convento e ci  fa attendere nelle stanze della fattoressa, mentre lui va a chiedere udienza alla “Signora”, torna poco dopo e le accompagna al parlatorio per parlare con la” Signora”.                                                                                      La mia figlia non è mai stata in un convento e rimane  sorpresa di non vedere la monaca, vede poi il padre guardiano avvicinarsi a una finestra con una grata che si apre sulla parete, dietro di essa c’è la “Signora”.                    Il Padre ci presenta la “Signora” e noi subito ci inchiniamo. La monaca subito inizia a chiedere a Lucia la sua storia, ma la mia povera figlia è troppo sconvolta per rispondere quindi inizio a parlare io ma subito il Frate mi zittisce e continua lui la storia. Però la monaca chiede altri particolari, ma li vuole sentire dalla mia Lucia questa volta.            Lucia è imbarazzata e inizia a balbettare senza dir nulla, così inzio a spiegare a Gertrude che Lucia odia quel farabutto  ed è promessa in sposa a Renzo, e che sarebbero già sposati se il curato del paese avesse avuto più coraggio! Gertrude mi interrompe bruscamente e mi rimprovera di parlare senza essere interrogata, che persona maleducata! Il padre guardiano accenna a Lucia che deve essere lei a raccontare la sua storia.                              Lucia quindi prende coraggio e  inizia a raccontare, dopo inizia a supplicare la “Signora” di concederci la sua protezione. Gertrude crede a Lucia e sceglie di aiutarla, così decide di ospitarci. Dopo decide di parlare in privato con Lucia così fa uscire me e il frate dalla stanza.                                                                                                                  È passato un po’ di tempo e finalmente Lucia esce dalla stanza e mi confida l’imbarazzo nel rispondere alle domande della monaca. Così la consolo dicendole che tutti, chi più e chi meno, sono strani e che prima a  poi lo capirà anche lei. Il frate ci fa accomodare nell’alloggio lasciato dalla figlia della fattoressa, sono molto felice di aver trovato protezione, adesso io e la mia adorata figlia possiamo essere serene.

 

Monza 13 Novembre 1628 (Laura Nari)

Sono passati pochi giorni da quando io e Lucia ci siamo trasferite a Monza, ma sta mattina la fattoressa mi ha raccontato delle voci che si sono sparse giù in paese.  A Milano hanno arrestato dei capi della rivolta e presto saranno uccisi, uno di questi è scappato e veniva da Lecco. Che sia il nostro Renzo?!                                                    All’inizio pregavo  Dio che non fosse lui, ma poco dopo la fattoressa ci ha confermato che era proprio lui. La mia povera Lucia era spaventata ma io con calma spiegai che quel giovane è una persona per bene.

 

 

Monza 31 Novembre 1628 (Laura Nari)

Due settimane fa  è arrivato un pescaiolo di Pescarenico mandato da Fra Cristoforo, ci ha detto che le voci che girano su Renzo sono vere, ma il ragazzo, fortunatamente, è sano e salvo nel Bergamasco. Almeno adesso la mia amata figlia potrà dormire sonni tranquilli.                                                                                                                     Lo scorso Giovedì è tornato di nuovo è ci ha confermato che Renzo sta bene, anche se non ci sono notizie precise di che fine abbia fatto il giovane.                                                                                                                                        Ieri mattina il pescaiolo non è tornato, così ho preso una decisione, andrò al paese a parlare direttamente con Fra Cristoforo, chiederò al pescaiolo di accompagnarmi fino a Pescarenico, non potrà rifiutare.                                    Siamo arrivati sta mattina a Pescarenico, e subito mi sono avviata verso il convento dei cappuccini.                              Ho suonato il campanello e subito mi ha aperto fra Galdino. Il Padre Cristoforo non è nel convento ma io non posso parlare con altri padri del convento. Così ho deciso di tornare nel paese, chissà cosa ci aspetterà nel futuro.

Novembre 1628 (Nari Laura)

Il buon cardinal Borromeo mi ha avvertito del rapimento di Lucia, così sono subito partita verso il Paese vicino al Palazzo dell’Innominato, chissà cos’ha fatto quel mostro a mia figlia!                                                                          Nel viaggio verso il paese ho incontrato Don Abbondio, così ho potuto raccontargli tutte le disgrazie di mia figlia. Ma non avevo molto tempo, non vedevo l’ora di riabbracciare.                                                                                              Più tardi sono finalmente arrivata a casa del sarto e finalmente ho visto la mia adorata figlia. La padrona di casa ci ha lasciate sole per parlare, Lucia mi racconta di tutte le disavventure. Ovviamente tutto quello che era successo era stato architettato da Don Rodrigo, quel maledetto!                                                                                            Abbiamo parlato anche di Renzo, ma Lucia non sembrava interessata all’argomento. Chissà perché.                            Il nostro discorso viene poi interrotto dall’arrivo del cardinal Borromeo che si fa raccontare tutto quello che era successo, a partire da Don Rodrigo.

 

Novembre-Dicembre 1628 (Nari Laura)

Io e Lucia siamo ancora ospiti nella casa del sarto, a mia figliola passa tutto il tempo a cucinare e io spero ogni secondo di ritrovare Renzo e di continuare la nostra vita. Io e la moglie del sarto siamo diventate grandi amiche, parliamo sempre dei pettegolezzi in paese.                                                                                                                  Un pomeriggio arriva una carrozza che viene a prendere me e Lucia per portarci da donna Prassede, una donna molto buona da come dicono nel paese. Così accettiamo e quando arriviamo, la donna ci accoglie calorosamente.       Mi ha subito fatto una buona impressione, sembra una donna gentile e di buone maniere. Voleva offrire a me e Lucia ospitalità nella sua casa a Milano.                                                                                                                          Io e Lucia non ci abbiamo pensato due volte e abbiamo accettato l’offerta, la loro villa è vicino al nostro paese. Così il marito di donna Prassede ha scritto una lettera al cardinal Borromeo per informarlo.                                          Pochi giorni dopo siamo arrivate al paese, in seguito faccio vedere al cardinale la lettera di don Ferrante e dopo averla letta decide che l’invito di donna Prassede è la cosa migliore per noi

16-18 Dicembre 1628 (Federica Pannia)

Mia figlia Lucia è andata da donna Prassede, ma per fortuna la potrò ancora vedere prima che parta per Milano stavo infatti pensando ad un modo per poter passare un po’ più tempo con lei, probabilmente starò qualche giorno nella villa vicino al villaggio… si farò così!

Comunque sia, oggi il cardinal Borromeo mi ha fatto chiamare con molta urgenza, al che sono subito andata da lui per vedere cosa fosse successo: l’innominato l’ha incaricato i consegnarmi cento scudi d’oro ed una lettera in cui diceva al cardinale di consegnarmi questa somma come risarcimento per il male fatto a Lucia e per farmi sapere che qualunque cosa avessimo avuto bisogno lui ci sarebbe stato. Chi l’avrebbe mai detto che uno dei criminali più temuti sarebbe diventato così gentile?

Arrivata a casa non ci credevo ancora.

Il giorno dopo sono andata a trovare Lucia per raccontarle tutto ma lei non sembrava entusiasta.. anzi, sembrava completamente apatica alla notizia, cercai di capire cosa avesse fin quando non mi diede la notizia: si era votata alla Vergine, di non voler più pensare a Renzo e mi chiese se potevo farglielo sapere. Non sapevo proprio come reagire, mi limitai a dirle che l’avrei fatto, ma il problema era che nessuno sapeva che fine avesse fatto Renzo!

*** Dicembre 1628, tarda sera. (Federica Pannia)

Oggi mi è arrivata una lettera da Renzo finalmente, sono andata infatti a Maggianico a farmela leggere da mio cugino Alessio e per inviare una risposta.

Ho dovuto informare Renzo del voto della sua futura sposa, poverino… chissà come la prenderà.

*** 1629 (Federica Pannia)

Oggi ho aiutato Don Abbondio e Perpetua a scappare dai lanzichenecchi: gli ho proposto di andare a vivere nel castello dell’innominato per qualche tempo ed hanno subito accettato, così ci siamo subito messi in viaggio tagliando dai campi.

Siamo andati a casa del sarto e non ce l’ho più fatta, sono scoppiata a piangere come una bambina tra le braccia della moglie del sarto, ci hanno offerto poi il pranzo e ci siamo rimessi in viaggio.

Arrivati lì siamo stati accolti benevolmente e ci è dispiaciuto dovercene andare.

Quando siamo tornati in paese abbiamo fatto un’orribile scoperta: i lanzichenecchi erano arrivati anche li, era tutto completamente distrutto.

Agosto-Settembre 1929. (Federica Pannia)

Era arrivata la peste e io non potevo starmene li e rischiare di essere contagiata così sono partita per Pasturo. Ad un certo punto sento bussare e vidi Renzo: mi disse che per fortuna mia figlia stava bene, lo invitai ad entrare ma rifiutò per la paura di contagiarmi nonostante non fosse infetto, ormai era l’unica cosa di cui si parlava; così andammo in un orto dietro casa e mi spiegò tutto: lo scioglimento del voto di Lucia, il loro trasferimento dopo le nozze, proprio tutto senza tralasciare niente

 

 

Blog di don Abbondio

 

7 novembre 1628 (Rebecca Crisalfi)

Buongiorno,

 

Il mio nome è Don Abbondio e sono qui a scrivere la prima pagina del mio diario personale, perché ormai era impossibile far tacere le mie paure, cosi ho deciso di manifestarle.

Tutto ebbe inizio ieri sera: stavo tornando a casa, come sempre, avevo con me il mio ufizio. Tra un salmo e l’altro mettevo l’indice per tenere il segno della mia lettura e mettevo il breviario dietro la schiena e continuavo tranquillamente la mia passeggiata dando calci qua e là ai ciottoli che incontravo lungo la strada .

E qui arriva il bello!! Ai lati del tabernacolo c’era una delle mie più grandi paure: I bravi!
Erano uno di fronte all’altro con indosso i loro vestiti che non lasciavano nulla all’immaginazione: tra piume, pistole e coltellacci, non potevo non capire che si trattasse di due criminali.
Così su due piedi presi la decisione di passarci accanto e far finta di non essermi accorto della loro presenza,  Ma il mio piano non andò a buon fine: nel momento in cui sono passavo davanti a loro, sentì uscir dalle loro bocche il mio nome.
In quel momento mi si gelò il sangue: i due bravi ebbero il coraggio di impormi di non sposare Renzo e Lucia e mi minacciarono quasi di morte, ma mi chiarirono di esser “galantuomini” e  mi dissero che li mandava un signorotto e fecero il suo nome: Don Rodrigo .Dal momento che non sono un uomo coraggioso gliel’ho data vinta e sono corso a casa spaventato.

(Rebecca Crisalfi)

Stamattina, al mio risveglio, parlai con Agnese e lei  mi consigliò di andare al paese perché sarebbe arrivato il Cardinal Federico Borromeo , allora decisi di seguire il suo consiglio e salii in sella al mio asinello e con un andamento  tranquillo mi diressi verso il paese. Quando arrivai vidi tantissima gente raggruppata attorno al cardinale, allora scesi dal mio asinello e mi incamminai verso colui che veniva venerato come se fosse un santo.

Quando arrivai sentii pronunciare il nome di Lucia Mondella e capii subito che il cardinal Borromeo stava cercando una persona che la conoscesse. Allora decisi di smettere di essere il solito vaso di terra cotta in mezzo a tanti vasi di ferro, presi coraggio e dissi al cardinal Borromeo che io conoscevo Lucia Mondella.

Subito il cardinale mi impose di salire in sella al mio asinello e di dirigermi con  lui verso il palazzo dove era rinchiusa la povera Lucia.

Durante il tragitto pensai tra me e me a quanto fosse spaventoso e imponente Don Rodrigo e quanto potessi sembrare un uomo poco coraggioso al suo fianco,  subito mi balenò nella mente cosa fosse successo alla povera Lucia . Arrivati al castello appena mi vide si rilasso penso per la famigliarità del mio viso. durante la giornata pensammo a dove mandare Lucia non potendo tornare a casa sua perché li ci sarebbe stato don Rodrigo ad aspettarla . ma decidemmo di portarla in casa di donna Prassede e suo marito che si sarebbero presi cura di lei . Agnese si diresse verso casa e Lucia andò nel paesetto senza alcun rischio.

 

UNA NOTTE  INGANNEVOLE

Casa mia, Notte del 10 novembre 1628  h. 21.00     (Annalisa Catania)

Oggi, 10 Novembre 1628, sono seduto sulla mia poltrona e ho deciso di raccontarvi la notte che mi è toccato passare, in cui Renzo e Lucia hanno provato ad ingannarmi intrufolandosi a casa mia grazie all’aiuto di Tonio e Gervaso. Spero così di mettere un po’ a tacere la mia paura scrivendo.

Questa notte, ancora provato dallo spavento ed un po’ febbricitante, ero seduto sulla mia poltrona e leggevo beatamente un panegirico in onore di San Carlo.
Tutto d’un tratto, era arrivata Perpetua, la quale mi aveva annunciato la visita di Tonio: Com’era possibile che mi disturbasse proprio a quell’ora della notte? Mi ero assicurato che fosse proprio lui, non volevo altre sorprese! Avevo sentito bussare, ero andato ad aprire lentamente la porta e davanti a me avevo visto Tonio con suo fratello Gervaso: questa visita mi aveva infastidito, d’altra parte ero malato, così avevo deciso di farglielo presente. Avevo un misto di curiosità, irrequietezza e paura, dopo tutto quello che avevo passato, e poi perché ha dovuto portarsi dietro il fratello proprio non l’ho capito! Tonio mi aveva riferito di essere stato lì per riscattare la collana, mi aveva assalito un dubbio: come mai riscattare la collana proprio a quell’ora della notte? Ma l’avevo scacciato via, tanto più che mi aveva chiesto anche la ricevuta; comunque avevo aperto un cassetto del tavolino, avevo preso carta, penna e calamaio e avevo iniziato a scrivere quanto chiesto. Avevo notato che Tonio e Gervasio si erano messi davanti a me tutti e due ritti, impedendomi la vista della porta d’ingresso, e facevano strani rumori con i piedi sul pavimento… non capivo…ma lasciavo correre. Avevo finito di scrivere, avevo piegato la carta richiesta e l’avevo consegnata a Tonio, ma nel frattempo, i due fratelli improvvisamente si erano divisi e in mezzo a loro erano apparsi Renzo e Lucia… povero me! La vista mi si era offuscata, poi misi a fuoco l’immagine mentre una rabbia mi assaliva e cercavo di trovare una ragione ed una soluzione per ciò che stava accadendo! Renzo pronunciava queste parole: “Signor curato, in presenza di questi testimoni questa è mia moglie” allora io, che avevo capito cosa volevano fare, avevo afferrato con la mano sinistra la lanterna e con la destra la tovaglia sul tavolo e avevo fatto cadere libro, carta e tutto ciò che c’era su di esso; Lucia era riuscita solamente a dire: ”E questo…” ma fortunatamente ero riuscito a farla tacere buttandole in testa il copritavolo. Avevo urlato il nome di Perpetua chiedendole di venirmi in aiuto. Lucia era  terrorizzata ed immobile, la lanterna si era  spenta in quella gran confusione, così ho cercato di mandare via tutti e di farli uscire dalla casa, ma non vedendo, non capivo dove mi stessi dirigendo, ho aperto la finestra e ho cominciato a chiamare aiuto a squarciagola, ma ahimè, non c’era nessuno. Per fortuna il mio sacrestano si era svegliato e si era chiesto cosa stesse succedendo; io l’avevo chiamato e avevo cercato di farlo accorrere al più presto e lui andò a suonare le campane a martello, contemporaneamente coloro che erano entrati con l’inganno se ne andarono. Avevo richiuso la finestra e avevo litigato con Perpetua che aveva permesso l’accaduto, non essendo stata abbastanza accorta.

La gente, che al suon delle campane era accorsa, aveva fatto molto rumore e si era domandata cosa fosse successo. Io ero spaventatissimo e fuori di me. Non ho più dormito… e mi sono messo qui a scrivere.

 

IL RIMPROVERO DEL CARDINALE FEDERIGO

Durante la visita del cardinale Federigo al paesello, 16 Dicembre 1628, h.16.00    (Annalisa Catania)

                

Oggi, 16 Dicembre 1628, durante la sua visita al paesello, il cardinale Federigo mi chiede di poter comunicare con me e ricevo subito un suo rimprovero poiché non ho unito in matrimonio Renzo e Lucia. Adesso vi racconto la vicenda nei particolari.

Finita la messa, mi reco subito dall’ospite, il cardinale Federigo, non conscio di ciò che mi aspetta, ma con qualche idea che mi ronza nella testa: sicuramente Renzo e Lucia hanno parlato, ed il cardinale Federigo, infatti, non mi ha smentito. Il cardinale va diretto al punto e mi chiede il motivo per il quale non ho riunito in matrimonio Renzo e Lucia; io esito nel rispondere e inizio ad arrampicarmi sugli specchi dicendo che ci sono stati troppi impicci; ovviamente lui mi riprende dicendo che non dovevo rifiutarmi, allora io gioco la carta dell’intimidazione e affermo che sono stato costretto ed obbligato a non farlo. Ma il cardinale non si accontenta di questa risposta, così cerco di tergiversare, moderando anche i miei toni e facendomi piccolo piccolo. Sottolineo che la mia stessa vita è stata messa in pericolo ma il cardinale mi risponde dicendo che non è una ragione sufficiente e mi dice addirittura che è un mio dovere unirli in matrimonio, un dovere legato all’abito che indosso, il quale non cessa dove inizia il pericolo. Il cardinale porta l’esempio di Cristo, che ha sacrificato la sua stessa vita per gli uomini: tutto ciò che mi dice, mi fa abbassare il capo, mi sento “come un pulcino tra gli artigli di un falco”, immerso in un’aria che non mi è familiare; ammetto i miei torti ma sottolineo nuovamente che colui con il quale mi scontro non ammette sconfitte. Il cardinale continua  a dire che proprio la sofferenza è legata alla nostra missione di servitori di Dio. Dentro di me ho una sorta di rabbia perché, in fondo, il cardinale ha “più a cuore l’amore di due giovani che la vita di un sacerdote”: ammetto allora di non essere un uomo coraggioso, ma lui rincara  la dose dicendo che dovevo pensarci prima di prendere i voti. L’ultima sua domanda è: “Che cosa hai fatto per loro?”, io abbasso la testa e resto in silenzio, sapendo che il rimorso mi avrebbe tormentato per il resto dei miei giorni…

 

L’ ARRIVO DEI LANZICHENECCHI 

Durante la fuga dal paese, 16 Marzo 1628, h. 10.00     (Annalisa Catania)

Oggi, 16 Marzo 1628, io e Perpetua siamo in ansia per l’arrivo dei lanzichenecchi, per questo abbiamo deciso di andare al castello dell’innominato, facendo una breve sosta alla casa del sarto.

Le voci che da un po’ di giorni girano non mi fanno stare tranquillo, anzi devo dire che sono quasi terrorizzato dall’arrivo dei lanzichenecchi: saranno sicuramente moltissimi! Tutti stanno cercando di recuperare i loro oggetti e di andare in posti più tranquilli sulle montagne, io invece sto cercando di organizzarmi con Perpetua, d’altra parte non ho nessuno che pensi a me. Guardo dalla finestra e mi accorgo che se ne stanno andando via tutti, forse sono in ritardo! Urlo: “Perpetua Perpetua…aiutami!” ma lei gira per la casa cercando di arraffare qualcosa di utile per una fuga precipitosa, così mi assale l’ansia e inizio a pensare ai miei soldi e ai soldi di Perpetua…dove li possiamo nascondere? Forse sotto il fico. Non so cosa succede in questi momenti, non mi è mai capitato e non so nemmeno cosa devo portare. Continuo a urlare il nome di Perpetua e finalmente lei mi da retta ma trattandomi malissimo, ha già pensato a tutto lei, come sempre. Decidiamo di partire, anche se non sappiamo ancora dove andare…in montagna non sarebbe una buona idea perché so che i lanzichenecchi sono già arrivati lì. Mi iniziano a tormentare i miei soliti dubbi…abbiamo preso tutto o abbiamo dimenticato qualcosa? Ma subito smetto di pensarci perché noto che le persone che incontro per strada non mi rivolgono neanche la parola, mi dicono solamente che sono fortunato perché non ho una famiglia a cui pensare, di non lamentarmi tanto e di fare ciò che è giusto. Mentre camminiamo i miei pensieri aumentano e decidiamo di andare nella casa del sarto, il quale già ci aveva offerto la sua ospitalità una volta. Strada facendo, la vista di quei luoghi ci fa tornare a pensieri lontani, e speriamo solo di riposarci un po’ per poi continuare il percorso verso il castello di ***. Arrivati alla casa del sarto ci accolgono a braccia aperte e provano anche a tranquillizzarci dicendo che qui dovrebbe essere un posto sicuro. Pranziamo insieme con quel poco che rimane: quattro pesche, un po’ di fichi e il cibo che aveva portato Perpetua. Io sono stupito poiché mi mettono un tovagliolo ed un piatto di ceramica in un posto d’onore…mi sento proprio riverito! Parliamo un po’ e mi accorgo che sono tutti impauriti, anche se mi garantiscono che al castello dell’innominato troveremo sicuramente un rifugio sicuro. Comincio ad essere un po’ in ansia quindi decido di mangiare in fretta e di interrompere le conversazioni…voglio partire! Saluto il sarto che mi offre alcuni libri in volgare e riparto con l’animo un po’ più leggero. Prima di partire mi hanno detto che i lanzichenecchi non dovrebbero arrivare fino a lì, però dei pensieri continuano ad angosciarmi: come saranno questi lanzichenecchi? somiglieranno a dei diavoli? I racconti della gente mi fanno paura, e la mia paura aumenta se penso che ho solo Perpetua vicino a me, anche se lei prova a rassicurarmi dicendo: “s’ingegnano gli altri; ci ingegneremo anche noi; crede…che vengon per far la guerra a lei i soldati?” Ho notizie che altre persone hanno trovato rifugio al castello, speriamo non siamo troppi, dicono anche che tutto il suo personale è stato messo a disposizione di chi cerca rifugio, così come tutte le stanze del castello sono state allibite a ricovero. Sicuramente la conversione del castello mi verrà utile, d’altra parte questa è la mia unica speranza! 

 

Lecco, 13 Ottobre 1631 (Paschetta Alessia)

Caro diario, scusa se non ti aggiorno da un po’, ma questi giorni hanno fatto parte di una grande svolta nella mia umile vita terrena da curato di un paesino. Infatti qualche giorno fa il giovane Tramaglino, dopo mille peripezie e con fare un po’ burlesco e rispettoso, è venuto da me per la faccenda del suo sposalizio chiedendomi i concerti, ma io ricordandomi di quel piccolo screzio avuto con Don Rodrigo e i suoi due bravi, ho incominciato a tentennare, a trovare scuse e ho avvisato il giovane del fatto che a quel punto tutto il paesino avrebbe saputo del “rapimento”. Allora lui, dopo avermi ricordato con tono scocciato del mio mal di testa perenne, ha iniziato a parlottare qualcosa sul Suo avere misericordia verso Don Rodrigo e sul fatto che così avrebbe potuto maritarsi senza alcun problema; ma io comunque, non essendo sicuro dell’ ascesa al Signore di Don Rodrigo e avendo quindi ancora paura, ho cercato di rimandare il tutto e ci sono riuscito, infatti il ragazzo era uscito dalla mia chiesa stanco e scocciato.

Qualche giorno dopo però ho incontrato Agnese, la madre delle “sposa“ di Tramaglino, e anche lei cercava di convincermi a celebrare il parentado ma io non ho ceduto… fino a quando non è arrivato lo “sposo” che, con voce affannata ma speranzosa, ci ha detto dell’ arrivo del marchese, l’ erede di Don Rod

incontro fra il Marchese e Don Abbondio

rigo, Pace all’anima sua. Allora io, ancora scettico, chiesi a Tramaglino se questo nuovo marchese fosse della stessa pasta di Don Rodrigo e lui mi rispose che è una persona estremamente buona e che ne aveva già sentito parlare bene in giro. Dunque io, con aria sollevata, gli ho detto che se la provvidenza ci aveva raggiunti è stata una grande cosa, un po’ come la peste che come una scopa ha spazzato via certi soggetti che, altrimenti, non ce ne liberavamo più.

Nei giorni successivi ho ricevuto la visita del marchese che si è mostrato affabile e generoso, e, avendo saputo dal cardinale Federigo della persecuzione di Don Rodrigo ai danni di Renzo e di Lucia, mi chiede il modo per riparare ai torti subiti dai due giovani e io, con aria soddisfatta, gli ho suggerito di acquistare i loro beni ad un prezzo equo, cosa che ha fatto il giorno dello sposalizo. Circa un mese fa,finalmente, ho finalmente sposato i Tramaglino e, giuro sul mio abito talare, che per una volta nella mia umile vita mi sono reso conto di avere fatto la scelta giusta e mi sono sentito finalmente sollevato. 

matrimonio tra Renzo e Lucia

Blog di Renzo Tramaglino

Mercoledì, 8 Novembre 1628. di mattina (Gamna Valentina)

Caro diario,
ne ho di cose da raccontarti quest’oggi…

Renzo Tramaglino

Stamattina, giorno che sarebbe dovuto essere il più bello della mia vita, si è rivelato l’inizio di un’odissea interminabile. Mi recai da don Abbondio per chiedergli a che ora avremmo dovuto ritrovarci in chiesa per celebrare il matrimonio: ebbene sì, oggi mi dovevo sposare con la mia amata Lucia, ma solo Dio sa cosa è capitato!
Arrivai a casa del furfante e subito gli chiesi a che ora sarebbe iniziata la cerimonia, anche se notavo che era nervoso, come se fosse impaurito, spaventato da qualcosa, o qualcuno, dopo tutto si sa com’è don Abbondio, non è mai stato un cuor di leone. Quando glielo chiesi, subito si innervosì e incominciò col dire che stava poco bene e che non avrebbe potuto celebrare il matrimonio.

don Abbondio: – Di che giorno volete parlare?-                                                                                                                                                        Renzo: – Come, di che giorno? non ricorda che s’è fissato per oggi?-                                                                                 don Abbondio: – Oggi? – replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta.                                                                                                                                                                                                                              don Abbondio: – Oggi, oggi… abbiate pazienza ma oggi non posso. –                                                                           Renzo: -Oggi non può! cos’è nato? –                                                                                                                                  don Abbondio: – Prima di tutto, non mi sento bene, vedete. –

 

Andai su tutte le furie e lui cominciò a farfugliare idiozie parlando di alcuni impedimenti ed imbrogli riguardanti il matrimonio.
Iniziò a pronunciare frasi in latino, ed io che conosco a malapena la mia lingua non capii nulla e non potei controbattere a quello che lui stava dicendo. Parlava di ricerche da svolgere prima del matrimonio per verificare che non vi fossero impedimenti, ma questa storia non mi piacque affatto, c’era qualcosa che non tornava…
Così ci accordammo ed entro una settimana non ci sarebbe stato più alcun impedimento, altrimenti se la sarebbe vista brutta, quel codardo!

 

don Abbondio

 

Ero uscito e mentre camminavo con malavoglia per recarmi a casa di Lucia e comunicarle la triste notizia, alzai lo sguardo e subito notai Perpetua, una specie di badante per don Abbondio.  Perpetua è una gran chiacchierona: mai raccontarle dei segreti o fatti personali! In pochi istanti tutto il paese sarebbe venuto al corrente di tutte le vostre faccende.

Allora capii subito che se don Abbondio aveva qualcosa da nascondere forse Perpetua ne sapeva qualcosa e sarebbe stato molto facile farglielo rivelare.

Mi diressi verso di lei e la salutai, poi le chiesi di spiegarmi meglio i motivi per cui la cerimonia non si poteva più celebrare, così lei accennò a dei segreti ed io capii subito che quel vigliacco mi aveva mentito,  disse poi che don Abbondio, il suo padrone, era innocente e che si trattava di prepotenti e birboni; mi convinsi sempre più che c’era qualcosa, o meglio, qualcuno sotto.

Provai a chiedere a Perpetua chi fosse quel prepotente, ma lei disse di non sapere niente e si rifugiò nell’orto chiudendo l’uscio.

Perpetua: -Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perchè… non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt’e due-.

Così, su tutte le furie, tornai indietro e mi diressi da quel bugiardo di don Abbondio. Aappena entrato, gli domandai subito chi fosse il prepotente e lui subito si innervosì e si diresse verso l’uscio con l’intento di darsela a gambe, ma io fui più lesto di lui: chiusi la porta e misi la chiave in tasca. Non mi sarebbe sfuggito.

Senza accorgermi, forse per la rabbia, presi in mano lo spadino che avevo al fianco e lui si impaurì a morte, continuava a chiedermi di avere pietà e che se avesse parlato l’avrebbero ucciso. Dopo minuti e minuti di discorsi interminabili, mi disse finalmente il nome del birbone.

Era don Rodrigo! un furfante molto temuto nel mio paese.

Così, con furia, mi diressi alla casa di Lucia che si trovava un po’ fuori dal centro del paese.

Appena entrai nel cortile, sentii provenire del vociare dalle stanze superiori: erano probabilmente amiche e comari venute a far corteggio.

Dopo alcuni istanti la piccola Bettina mi corse incontro urlando e subito le intimai di fare silenzio e le diedi un incarico… le dissi di recarsi nelle stanze superiori dove vi era Lucia e di dirle assolutamente di scendere nella stanza terrena, così avrei potuto parlarle senza essere disturbati. Così Lucia scese ed io subito le  dissi, con il cuore a pezzi, che il matrimonio era stato impedito.

Renzo: – Lucia!- rispose Renzo , – per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo essere marito e moglie-.

Lucia

Quando gli dissi però il nome di colui che l’aveva impedito, lei arrossì e tremò e disse che av

Lucia Mondella

eva avuto a che fare con quell’uomo, ma non mi volle raccontare nulla per il momento.

 

Così corse a chiamare Agnese, cioè sua madre, e le disse di venire da me, mentre lei avrebbe licenziato tutte le donne dicendo che il signor curato (don Abbondio) si era sentito male e che il matrimonio sarebbe stato rimandato.

Che dire, povero me… a volte penso che la mia vita potrebbe essere scritta su un romanzo per quanto è contorta.

 

 

Mercoledì 8 novembre, 1628. (Gamna)

Caro diario,

Oggi mi sono recato a Lecco, dall’avvocato Azzeccagarbugli, nonostante non circolino belle voci su quest’uomo, ho comunque tentato di risolvere la questione come suggerito da Agnese…

Non è servito a niente!

Ecco com’è andata…

Renzo Tramaglino e i quattro capponi da dare all’avvocato Azzeccagarbugli.

Stamattina Lucia mi ha raccontato cose orribili: don Rodrigo l’aveva importunata non una ma ben due volte!

Non appena sentii cosa era successo andai su tutte le furie, poi

Agnese mi calmò e mi consigliò di consultare una persona più esperta, una persona che avesse studiato, così mi consigliò di prendere i quattro capponi che avrebbe dovuto cucinare per il banchetto, aggiunse poi che non ci si doveva mai recare da quei signori a mani vuote, e avrei dovuto raccontargli tutto l’accaduto dopo di che lui ci avrebbe aiutati in un batter d’occhio… O almeno così doveva essere!

Lungo la strada non potei fare a meno di ripensare a tutti i fatti che erano successi in così poco tempo, ma cosa ho mai fatto io per meritarmi tutto questo?

Giunto al borgo, domandai dove si trovasse l’abitazione di quest’avvocato e mi fu indicata.

Avvocato Azzeccagarbugli

Quando giunsi domandai alla serva se fosse stato possibile parlare con l’avvocato (Agnese mi raccomandò di non nominarlo “Azzeccagarbugli”.) Subito il dottore mi fece accomodare nello studio mentre la serva prese i capponi.

Lo studio non era certo ciò che mi ero immaginato: Era pieno di polvere, di libri vecchi, e aveva l’aspetto molto rovinato e allo stesso tempo molto losco: sembrava che l’avvocato avesse qualcosa da nascondere.

Chiuse l’uscio e mi chiese quale fosse il mio caso. Indugiando gli chiesi se a minacciare un curato ( un prete) in modo che non celebri il matrimonio, si commetteva penale.

 

Lui, senza neppure farmi finire, disse di aver capito, tirò fuori una grida dell’anno precedente e iniziò a leggere, sembrava proprio il mio caso… Mentre leggeva però, mi chiese come mai mi fossi tagliato il ciuffo, (portare il ciuffo lungo è una caratteristica dei bravi, e il dottore mi scambiò per uno di loro!).

Quando gli dissi che il crimine era rivolto verso di me e non ero un birbone, ritirò subito il suo aiuto, per non parlare di quando dissi il nome di don Rodrigo! Subito mi accusò di non saper raccontare le faccende e mi spinse verso l’uscio. Secondo me le voci che circolano su questo “galantuomo” per una volta erano vere: Deve aver a che fare con criminali e gente losca! ah povero me! Li protegge! Altro che aiutava la brava gente!

 

Mi cacciò subito dallo studio e mentre uscivo chiamò la serva dicendo che da me non voleva proprio niente e le ordinò di restituirmi i quattro capponi. Ora devo tornare e raccontare tutto ad Agnese e alla mia povera Lucia, ma come farò? Ho visto una luce di speranza nei suoi occhi quando sua madre propose l’idea, e al solo pensiero che lei possa cadere nelle grinfie di quel dannato di don Rodrigo mi sento morire!

 

 

Fine Agosto 1630 (Gamna Valentina)

Caro diario,

raccontarti queste vicende non è per nulla facile. Ho passato le pene dell’inferno:  Da quando è arrivata la peste nel milanese, star qui è diventato un incubo! Mi sono ammalato anche io, per fortuna sono guarito da me, anche se non è stata una passeggiata, ma grazie al mio corpo robusto sono riuscito a scamparla. Guarendo, dopo pochi giorni, mi sono tornati alla mente e nell’anima tutti i ricordi, le speranze, ma soprattutto un pensiero, Lucia.  Ero preoccupato, ogni instante pregavo che lei non si ammalasse di peste, e che stesse bene, era l’unica cosa che desideravo, così finalmente presi la mia decisione: Era il momento di tornare da lei, e da Agnese. Così andai a salutare Bortolo mio cugino, che per tutto questo tempo mi aveva ospitato e dato un lavoro per potere sopravvivere, lui non si era ancora ammalato e cosi lo salutai solo dall’uscio della porta, gli feci i miei auguri, e gli dissi che sarei tornato, magari con Lucia.

Cosi facendomi forza partii prendendo tutti i risparmi che avevo ottenuto giorno per giorno, dei panni e il mio coltellaccio.

Mi avviai prima verso Lecco, per non andare subito a Milano dove si trovava Lucia, in modo da trovare magari Agnese e farmi raccontare qualcosa delle loro vicende.

Mentre ero in cammino vidi negli occhi della gente non ancora contaminata il timore di imbattersi nell’incubo della peste, la diffidenza che mostravano con le altre persone. Vidi anche gente sull’orlo della morte, ricoperta di sangue, morente. E infine notai gente come me risoluta, senza timore, poiché ammalarsi di peste due volte era cosa rara e prodigiosa.

Mi fermai in un boschetto a mangiar qualche cosa, un po’ di pane e di companatico che avevo portato con me e qualche frutta che coglievo andando avanti .

Verso sera giunsi al mio paese e mi colpì un sensazione di tristezza e di dolore per tutti i ricordi e per i presentimenti che in quel momento mi frullavano nella mente.

Ero impaurito al pensiero di dover andare a casa di Lucia, o forse meglio dire: “Casa di Agnese”.

Speravo di giungere là e di ritrovar Agnese viva, e in salute.

Decisi di non farmi vedere e di passar in una via al di fuori del paese. Là si trovava la mia vigna e la mia casa così decisi di passare da lì per controllare la situazione, andando avanti avevo il timore di incontrare qualcuno e così fu.

Notai che vi era un uomo con una camicia seduto e appoggiato ad una siepe di gelsomini, subito mi parve Gervaso ma poi osservando meglio capii che era Tonio! Lo salutai ma lui non mi riconobbe più era stato sfigurato dalla peste!

Decisi di proseguire rattristato e vidi una sagoma nera arrivare da un angolo, riconobbi subito chi era, era don Abbondio, che mi riconobbe.

Nonostante la rabbia che nutrivo nei suoi confronti dall’ultimo incontro, gli feci una riverenza, era pur sempre il mio curato.

Non perdetti nemmeno un istante e gli domandai se sapesse qualcosa di Lucia e Agnese, mi disse che Lucia si trovava a Milano ma per la grazie del cielo era ancora viva, mentre Agnese aveva lasciato il paese ed era andata a stare da dei suoi parenti in un paese chiamato Pasturo nella Valsassina dove la peste non si era ancora diffusa.

Gli chiesi poi di padre Cristoforo  e disse che anche lui se n’era andato.

Don Abbondio mi chiese poi che ci facevo da quelle parti e io gli dissi che ero venuto a controllare i fatti miei, mi disse di tornare da dove ero venuto a causa della cattura e della peste.

Poi a malincuore chiesi quanti morti vi erano stati a causa della peste e lui cominciando da perpetua nominò una filastrocca di persone, miei amici, parenti, e questo mi provocò un dolore immenso anche se me lo ero immaginato. Finita la  conversazione dissi a don Abbondio di non proferire a nessuno della mia presenza qua nel paese e lui borbottando se ne andò.

Pensai poi dove avrei potuto passare la notte visto che Agnese non era più in paese, e dalle persone che nominò don Abbondio riguardo la peste, vi era un’ intera famiglia di contadini sterminata, eccetto uno dei figli, un ragazzo della mia età con cui passavo del tempo quando ero bambino, così decisi di recarmi da lui. Mentre ero in cammino passai davanti alla mia vigna e subito potei notare da fuori in che stato era: non vi erano nemmeno più i gangheri del cancello, tutti i viti i gelsi  e i gli alberi da frutta erano stati usati per far legna in quei due inverni della mia assenza, vi erano ancora i vestigi dell’antica coltura, vi erano le erbacce che crescendo a dismisura sovrastavano tutte le coltivazioni, vi erano le ortiche anch’esse cresciute a dismisura come anche le felci.

Attraversai l’orto con le erbacce a metà gamba e mi avviai verso casa mia che poco distava da lì. Misi piede sulla soglia e cosa vidi..  Sul pavimento un sudiciume indicibile, le pareti scrostate e imbrattate cosi me ne andai anche da li con le mani nei capelli, ripercorrendo il sentieri che feci passando dal mio orto in mezzo a tutta quell’erba. Siccome iniziava a farsi buio mi incamminai verso casa del ragazzo di cui ti ho parlato prima, arrivai e lo trovai sull’uscio della dimora con lo sguardo distrutto, inselvatichito dalla solitudine. Quando mi vide mi scambio per un’altra persona cosi gli dissi che in realtà io ero Renzo e non appena capii gli si illuminarono gli occhi dalla felicità che aveva nel vedermi. Mi disse poi, anche se io lo sapevo già, che era rimasto solo, e così mi invitò ad entrare nella sua piccola casetta, cosi lui iniziò a farmi onore preparando la polenta e continuando a ripetere che era rimasto solo. Prese poi dell’altro cibo: un piccolo secchio di latte, carne secca un paio di raveggioli, fichi, pesche e ci mettemmo a tavola scambiandoci ringraziamenti lui della visita e io dell’ospitalità. Dopo cena andai a dormire, il mattino del giorno dopo mi trovavo in cucina io ero pronto per mettermi di nuovo in cammino, speravo di trovare Lucia ancora in vita altrimenti non so che cosa avrei fatto, sarei impazzito! Mi incamminai poi con tranquillità e decisione di arrivare a Milano e cominciar così le ricerche. Mi fermai di nuovo a mangiar in un boschetto del cibo che mi lasciò il mio caro amico. Passando da Monza presi due pani per non rimaner senza cibo, non si sa mai.

Verso sera arrivai in un paese di cui non conoscevo il nome e mi misi alla ricerca di un posto dove passare la notte pensai più ad un cascinotto dato che avevo avuto brutte esperienze con le osterie…

Entrai cosi nel cortile di una cascina, non c’era nessuno cosi vidi che vi era del fieno e mi sdraiai li e mi addormentai, mi svegliai solo all’alba e fortunatamente non vi era ancora nessuno così uscii come ero entrato e mi avviai verso Milano cosi usai come riferimento il duomo e dopo un brevissimo cammino giunsi alle porte di Milano…

Un bel cammino ho affrontato ma non è ancora finita caro diario… Ti terrò aggiornato sui fatti. Intanto continuo a pensare al momento in cui riabbraccerò la mia amata Lucia.

 

 

 

 

 

 

 

Milano, 26 agosto 1630 (Mauro Beatrice)

La mia mente era avvolta da mille pensieri e mille emozioni, il mio cuore era schiacciato dalla paura di perdere la mia amata e di non riuscire a risollevarmi da questa situazione, ma allo stesso tempo la mia guarigione mi rendeva felice.
Questa mattina mi sono svegliato determinato nel trovare Lucia approfittando del subbuglio causato dalla peste, per condurla a Pescarenico, dove avremmo iniziato la nostra nuova vita.

All’imbrunire non c’erano tracce di vita nella stradina in cui mi trovavo e le mie gambe cominciavano a sentire il peso di una lunga giornata quando vidi con la coda dell’occhio le mura della città. Mentre percorrevo le vie di Pescarenico cominciavo a sentire il vento di settembre sostituirsi al caldo torrido di agosto. Giunto nella piazzetta della chiesa una serie di reminescenze tornarono alla mente come se non se ne fossero mai andate. Mi appariva chiara la triste immagine di Don Abbondio che tentava di sottrarsi al celebrare il matrimonio a sorpresa pianificato da Agnese, allarmando tutti i paesani in modo che accorressero in piazza.
A pochi passi dell’abitazione di Lucia appariva evidente che le due donne se n’erano andate.
Svoltato l’angolo vidi un uomo disteso a terra. Aveva l’aspetto di un matto in fin di vita, i bubboni giallognoli sul viso ne rendevano evidente la casa. Mi sono avvicinato per capire chi fosse e mi sono resa conto che era Tonio.

Continuando per la mia strada ho visto avanzare una figura, non era un volto nuovo; indossava un abito nero ed il suo volto pallido mostrava i segni dell’epidemia. Riconoscendo in essa Don Abbondio, mi sono avvicinato e facendo una riverenza gli ho chiesto subito novelle di Lucia e Agnese.

Le parole del Curato aimè non sono state confortanti, mi ha comunicato che la mia promessa sposa si trovava a Milano ed Agnese a Pasturo, un Paese vicino

Per ultiumo Don Abbondio mi disse di tornare nel Paese cui ero venuto per non finire in grane spiacevoli siccome ho ancora un mandato di cattura; poi tra un lamento e l’altro causato dalla peste mi ha elencato tutte le famiglie di contadini morte appestate salvo un contadino della mia età la cui casa si trovava qualche passo fuori dal Paese e pensai di dirigermi lì.

Sono passato davanti alla mia vigna e camminando da fuori ho subito potuto dedurre le condizioni in cui si trovava. Tutto era diverso da come l’avevo lasciato. Vetticciole sradicate, una fronda d’albero caduta che bloccava il passaggio, del cancello non c’erano più i cardini, i segni dell’antica coltivazione erano stati soffocati da erbacce di ogni genere, ovunque i rovi impedivano il passaggio. Tutto era stato strappato alla peggio poichè per due inverni di seguito la gente del Paese era andata a procurarsi la legna per scaldarsi. Era un guazzabuglio di steli che cercavano di superarsi. ” Mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l’uno con l’altro per appoggio”.  In quella marmaglia di piante ce n’erano alcune di più imponenti e vigorose, era l’uva selvatica ed era più alta di tutto il resto, aveva pompose foglie color verdecupo alcune rossicce sui bordi, il frutto stava maturando, rossi in basso, color porpora nel mezzo e in cima verde acerbo. A sinistra delle viti c’era una pianta di Verbasco che, con lo stelo diritto in aria e le sue gran foglie lanose, aveva coperto il cancello scardinato

Ora si è fatto tardi, vado a pregare l’Altissimo di accompagnarmi in questa avventura e domattina proseguiró la trascrizione del mio diario personale.

 

 

Milano, 2 settembre 1628, Ore:21.47   (Sara Monge)

 

È sera, ho appena finito di cenare e sto per mettermi a dormire, ma prima volevo raccontarti la giornata di oggi… sono tornato a Milano per cercare Lucia.

 

Sto camminando per le strade di Milano in mezzo a tanta confusione, ci sono tante persone fuori di sé, ma vedo ancora gente che accompagna i loro familiari al lazzaretto, con parole di contforto. Ad un certo punto fermo un monatto e gli chiedo dove si trova la casa di Don Ferrante, ma non mi ha dato una risposta. Allora poco dopo scruto un commissario e gli chiedo pure a lui quale fosse la dimora di Don Ferrante, quest’uomo mi ha gentilmente indicato la strada e ho trovato la casa senza nessun problema.

Busso alla porta e dopo qualche momento si apre una finestra, vedo affacciarsi una bella signora con una faccia stranita, probabilmente si sta chiedendo chi sono e cosa voglio. Io, senza perdere troppo tempo, le chiedo, con voce un po’ tremolante, se si trova lì una donna di nome Lucia. Lei frettolosamente mi dice che non c’è più, mentre sta per afferrare la finestra e chiuderla io le domando ancora dove si è recata la fanciulla, lei mi dice che è andata al lazzaretto. Stava per chiudere nuovamente la finestra quando le chiedo se aveva la peste e la signora un po’ scocciata e con una smorfia mi ha detto di sì e di andarmene. Io insistente chiedo se era molto malata, ma la signora chiude la finestra senza rispondere. Così preso dall’ira per la scoperta di questa notizia e da come mi è stata data ho iniziato a bussare ripetutamente e con più forza alla porta. Mi giro per vedere se trovo qualcuno da cui recuperare alcune informazioni più precise su Lucia e a più o meno venti passi c’era una donna che esprimeva terrore, pensa che sono un untore. In quel momento si affaccia alla finestra la donna sgarbata di prima e inizia ad urlare che sono un untore così tutti la guardano e io in quel momento di distrazione scappo. Sento delle persone rincorrermi per prendermi e non so quando si fermeranno…   Non ce la faccio più a correre allora sfodero il mio coltello, mi giro facendo sembrare che sono sicuro di me anche se dentro ho una paura tremenda e dico: “chi ha cuore, venga avanti, canaglia! Che l’ungerò io davvero con questo.”

Adesso sono molto stanco, è stata una lunghissima giornata. Vado a riposarmi, proseguirò il mio racconto appena avrò un po’ di tempo libero.

 

 

Milano, 3 settembre 1630 (Panero Carlotta)
Io sono Renzo, anche io sono stato malato della terribile peste nera, ma per fortuna sono riuscito a guarire e adesso sono immune dalla malattia. Oggi ho deciso di raccontare le raccapriccianti scene, causate dalla peste, che ho visto a Milano.

Ero appena entrato in Milano e già avevo visto molte scene e malati disperati per le strade. Grazie ai monatti, che raccoglievano i cadaveri e li portavano al lazzaretto, per le strade di Milano non ce n’erano molti che odoravano e che rischiavano di essere calpestati. Dalle case si sentivano i terribili e tristi lamenti dei malati o dei parenti che si disperavano per loro, solo a sentire quei lamenti mi venivano i brividi e mi si spezzava il cuore, anche perché se il Signore non mi avesse aiutato a guarire, potevo essere anche io in quelle condizioni. Le poche persone ancora non ammalate restavano chiuse in casa per paura di prendere la peste e incontrare gli untori. Anche le persone sane, oltre ai malati, erano diventati dei poveracci e non si preoccupavano più del loro aspetto o comportamento. Anche gli uomini più qualificati andavano in giro con la barba e capelli lunghi, cosa che prima non facevano, ed erano senza cappa ne mantello, parte essenziale nel vestiario civile. Camminare per le vie di Milano era orribile e triste perché in giro si vedevano solo malati che chiedevano aiuto oppure i monatti che con i loro carri passavano a prendere i cadaveri delle povere persone uccise dalla peste.
Mentre camminavo in cerca di Lucia vidi una scena che mi gelò il sangue…c’era una signora il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, e si notava una bellezza offuscata e trascurata dal tanto dolore e dalle tante lacrime versate, non faceva vedere che era triste e affaticata, ma si capiva molto bene vedendo anche la sua andatura. Portava in braccio una bambina di forse nove anni, purtroppo questa piccola bella bimba era morta. La bimba era ben vestita con un vestitino bianco e i capelli pettinati e divisi sulla fronte, sembrava che la mamma l’avesse vestita e curata per una festa importante. Solo da una manina bianchissima che penzolava da una parte e il capo che posava sul braccio della madre con un abbandono più forte del sonno, si riusciva a capire che per sfortuna quella graziosa e ben vestita bambina era morta. La mamma non la teneva a giacere come se fosse morta, ma la teneva retta sul braccio e con il petto appoggiato al suo. Il monatto, che si era fermato con il suo carro ad aspettare la bambina, cercò di prendere bambina per appoggiarla sul carretto, ma la madre fece un passo indietro e gli disse che voleva adagiarla lei e che lui poteva solo prendere la borsa che gli stava dando. La povera donna fece promettere al monatto di prendersi cura di lei e di metterla sotto terra così com’era, il monatto quasi dispiaciuto e commosso per la scena glielo promise; poi la mamma la adagiò sul carro e le stese sopra un panno bianco per coprirla. La salutò per l’ultima volta “Addio, Cecilia!riposa in pace! stasera verremo anche noi, per restare sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri.” Poi il carro andò via e la mamma ritornò in casa e io ricominciai triste e sconfortato a camminare.