BLOG SULLA VITA nella Milano del XVII secolo

Milano, 11 novembre 1628 (Chiara Rossetti)

Caro diario, io sono un pover uomo, un semplice panettiere che lavora in un forno in centro Milano, e sono qui per raccontarti un evento che mi è capitato stamattina.

Tutto questo è successo perché Ferrer, il cancelliere, ha fissato un calmiere sul prezzo del grano, ma noi fornai, ovviamente, abbiamo protestato perché siamo obbligati a produrre pane in continuazione e, oltretutto, il grano scarseggia, perciò abbiamo protestato e alla fine il calmiere è stato revocato. Quindi il popolo si è infuriato e ha iniziato a assalire i forni. Oggi hanno veramente superato ogni limite.

Siamo nel pieno della rivolta del pane, e tutta la gente si precipita sui forni di noi poveri lavoratori. Oggi mi sono svegliato, e sentivo che non sarebbe andato tutto per il verso giusto, infatti così è stato. Stamani, verso le 5, mi sono messo al lavoro nel mio forno ed era ancora tutto tranquillo. Poi, verso le 9.30, ho iniziato a sentire le prime grida dalla piazzetta qui accanto, e già immaginavo cosa poteva essere. Ho iniziato a chiudere le porte e ho continuato a lavorare. Alle 10:00, inavvertitamente, una folla inferocita di gente si è scaraventata sulle porte e ha iniziato a lanciare sassi e bastoni, a imprecare e dare pugni. A quel punto, io, con l’aiuto di altri uomini, ho cercato di allontanare il più possibile la gente, anche distribuendo pane per tenerli buoni e farli calmare, ma, anche in quel caso, i rivoltosi erano così disperati che hanno iniziato a scagliare sassi anche contro le guardie. Allora il capitano di giustizia ha preso il sopravvento, provando a tranquillizzare e rassicurare la folla con parole delicate e diplomatiche, ma la gente aveva troppa fame. Preso dall’agitazione ho preso a gettare contro i rivoltosi delle pietre per cercare di allontanarli, e ho colpito alcune persone, ferendone diverse non era mia intenzione far male alla gente, ma non sapevo più che cosa fare, ero disperato. Questo ha fatto infuriare ancora di più la folla, che non ha più resistito: è entrata, ha distrutto tutto e si è portata via tutti i sacchi di farina che c’erano, tutto il pane che avevo appena sfornato, e hanno rubato tutto il denaro che mi era rimasto. E non è finita lì. Una volta finito di saccheggiare il mio forno, è entrato un altro gruppo di persone, per rubare tutto una seconda volta. A quel punto non ce la facevo più, allora sono uscito dal forno e sono stato ad aspettare che tutto finisse. Mi sentivo veramente distrutto. Ora sono tornato a casa, ho bisogno di dormirci sopra, sono stremato.

Rivolta del pane, Milano 1628

Milano, 12 novembre 1628

Oggi sono proprio un disastro.

Mi sento debole, affaticato e stanco. Stanotte non ho chiuso occhio neanche un’oretta, niente di niente. Sono le 10.30, e sono ancora troppo turbato e scosso dal fatto accaduto ieri, soprattutto dopo aver visto stamattina in che condizioni è ridotto il mio forno, in cui dovrei essere andato alle 5 per lavorare, ma sinceramente stamattina presto non avevo il coraggio di uscire. Quando sono uscito di casa, verso le 9, la prima cosa che ho fatto, è stata andarmi a prendere del vino nell’osteria qui vicino. Non mi reggevo in piedi da quanto ero stravolto. L’oste, mio amico, mi ha chiesto cosa mi fosse successo, e gli ho raccontato tutta quanta la faccenda, ma lui non si è stupito più di tanto, poiché in questo periodo è “normale” che accadano queste cose. Dopodiché, ho raggiunto il mio forno, mi sono messo a piangere, ho pensato che in quel momento non avrei dovuto fare nulla, anche perché se avessi provato a ricostruirlo me l’avrebbero distrutto ancora una volta nel giro di pochissimo tempo, e non ne sarebbe valsa la pena. Sono andato a controllare cos’era rimasto nel mio forno, ma ho visto solamente farina sparsa da tutte le parti, di pane non c’era traccia: avevano preso tutto. A quel punto non avevo più niente da fare lì. Sono tornato a casa sconsolato e senza speranze. Ora sto un pochino meglio, forse un giorno riuscirò ad avere di nuovo il mio lavoro, devo solo aspettare che questa terribile lotta finisca.

 

 

 

 

Blog di don Abbondio

 

7 novembre 1628 (Rebecca Crisalfi)

Buongiorno,

 

Il mio nome è Don Abbondio e sono qui a scrivere la prima pagina del mio diario personale, perché ormai era impossibile far tacere le mie paure, cosi ho deciso di manifestarle.

Tutto ebbe inizio ieri sera: stavo tornando a casa, come sempre, avevo con me il mio ufizio. Tra un salmo e l’altro mettevo l’indice per tenere il segno della mia lettura e mettevo il breviario dietro la schiena e continuavo tranquillamente la mia passeggiata dando calci qua e là ai ciottoli che incontravo lungo la strada .

E qui arriva il bello!! Ai lati del tabernacolo c’era una delle mie più grandi paure: I bravi!
Erano uno di fronte all’altro con indosso i loro vestiti che non lasciavano nulla all’immaginazione: tra piume, pistole e coltellacci, non potevo non capire che si trattasse di due criminali.
Così su due piedi presi la decisione di passarci accanto e far finta di non essermi accorto della loro presenza,  Ma il mio piano non andò a buon fine: nel momento in cui sono passavo davanti a loro, sentì uscir dalle loro bocche il mio nome.
In quel momento mi si gelò il sangue: i due bravi ebbero il coraggio di impormi di non sposare Renzo e Lucia e mi minacciarono quasi di morte, ma mi chiarirono di esser “galantuomini” e  mi dissero che li mandava un signorotto e fecero il suo nome: Don Rodrigo .Dal momento che non sono un uomo coraggioso gliel’ho data vinta e sono corso a casa spaventato.

(Rebecca Crisalfi)

Stamattina, al mio risveglio, parlai con Agnese e lei  mi consigliò di andare al paese perché sarebbe arrivato il Cardinal Federico Borromeo , allora decisi di seguire il suo consiglio e salii in sella al mio asinello e con un andamento  tranquillo mi diressi verso il paese. Quando arrivai vidi tantissima gente raggruppata attorno al cardinale, allora scesi dal mio asinello e mi incamminai verso colui che veniva venerato come se fosse un santo.

Quando arrivai sentii pronunciare il nome di Lucia Mondella e capii subito che il cardinal Borromeo stava cercando una persona che la conoscesse. Allora decisi di smettere di essere il solito vaso di terra cotta in mezzo a tanti vasi di ferro, presi coraggio e dissi al cardinal Borromeo che io conoscevo Lucia Mondella.

Subito il cardinale mi impose di salire in sella al mio asinello e di dirigermi con  lui verso il palazzo dove era rinchiusa la povera Lucia.

Durante il tragitto pensai tra me e me a quanto fosse spaventoso e imponente Don Rodrigo e quanto potessi sembrare un uomo poco coraggioso al suo fianco,  subito mi balenò nella mente cosa fosse successo alla povera Lucia . Arrivati al castello appena mi vide si rilasso penso per la famigliarità del mio viso. durante la giornata pensammo a dove mandare Lucia non potendo tornare a casa sua perché li ci sarebbe stato don Rodrigo ad aspettarla . ma decidemmo di portarla in casa di donna Prassede e suo marito che si sarebbero presi cura di lei . Agnese si diresse verso casa e Lucia andò nel paesetto senza alcun rischio.

 

UNA NOTTE  INGANNEVOLE

Casa mia, Notte del 10 novembre 1628  h. 21.00     (Annalisa Catania)

Oggi, 10 Novembre 1628, sono seduto sulla mia poltrona e ho deciso di raccontarvi la notte che mi è toccato passare, in cui Renzo e Lucia hanno provato ad ingannarmi intrufolandosi a casa mia grazie all’aiuto di Tonio e Gervaso. Spero così di mettere un po’ a tacere la mia paura scrivendo.

Questa notte, ancora provato dallo spavento ed un po’ febbricitante, ero seduto sulla mia poltrona e leggevo beatamente un panegirico in onore di San Carlo.
Tutto d’un tratto, era arrivata Perpetua, la quale mi aveva annunciato la visita di Tonio: Com’era possibile che mi disturbasse proprio a quell’ora della notte? Mi ero assicurato che fosse proprio lui, non volevo altre sorprese! Avevo sentito bussare, ero andato ad aprire lentamente la porta e davanti a me avevo visto Tonio con suo fratello Gervaso: questa visita mi aveva infastidito, d’altra parte ero malato, così avevo deciso di farglielo presente. Avevo un misto di curiosità, irrequietezza e paura, dopo tutto quello che avevo passato, e poi perché ha dovuto portarsi dietro il fratello proprio non l’ho capito! Tonio mi aveva riferito di essere stato lì per riscattare la collana, mi aveva assalito un dubbio: come mai riscattare la collana proprio a quell’ora della notte? Ma l’avevo scacciato via, tanto più che mi aveva chiesto anche la ricevuta; comunque avevo aperto un cassetto del tavolino, avevo preso carta, penna e calamaio e avevo iniziato a scrivere quanto chiesto. Avevo notato che Tonio e Gervasio si erano messi davanti a me tutti e due ritti, impedendomi la vista della porta d’ingresso, e facevano strani rumori con i piedi sul pavimento… non capivo…ma lasciavo correre. Avevo finito di scrivere, avevo piegato la carta richiesta e l’avevo consegnata a Tonio, ma nel frattempo, i due fratelli improvvisamente si erano divisi e in mezzo a loro erano apparsi Renzo e Lucia… povero me! La vista mi si era offuscata, poi misi a fuoco l’immagine mentre una rabbia mi assaliva e cercavo di trovare una ragione ed una soluzione per ciò che stava accadendo! Renzo pronunciava queste parole: “Signor curato, in presenza di questi testimoni questa è mia moglie” allora io, che avevo capito cosa volevano fare, avevo afferrato con la mano sinistra la lanterna e con la destra la tovaglia sul tavolo e avevo fatto cadere libro, carta e tutto ciò che c’era su di esso; Lucia era riuscita solamente a dire: ”E questo…” ma fortunatamente ero riuscito a farla tacere buttandole in testa il copritavolo. Avevo urlato il nome di Perpetua chiedendole di venirmi in aiuto. Lucia era  terrorizzata ed immobile, la lanterna si era  spenta in quella gran confusione, così ho cercato di mandare via tutti e di farli uscire dalla casa, ma non vedendo, non capivo dove mi stessi dirigendo, ho aperto la finestra e ho cominciato a chiamare aiuto a squarciagola, ma ahimè, non c’era nessuno. Per fortuna il mio sacrestano si era svegliato e si era chiesto cosa stesse succedendo; io l’avevo chiamato e avevo cercato di farlo accorrere al più presto e lui andò a suonare le campane a martello, contemporaneamente coloro che erano entrati con l’inganno se ne andarono. Avevo richiuso la finestra e avevo litigato con Perpetua che aveva permesso l’accaduto, non essendo stata abbastanza accorta.

La gente, che al suon delle campane era accorsa, aveva fatto molto rumore e si era domandata cosa fosse successo. Io ero spaventatissimo e fuori di me. Non ho più dormito… e mi sono messo qui a scrivere.

 

IL RIMPROVERO DEL CARDINALE FEDERIGO

Durante la visita del cardinale Federigo al paesello, 16 Dicembre 1628, h.16.00    (Annalisa Catania)

                

Oggi, 16 Dicembre 1628, durante la sua visita al paesello, il cardinale Federigo mi chiede di poter comunicare con me e ricevo subito un suo rimprovero poiché non ho unito in matrimonio Renzo e Lucia. Adesso vi racconto la vicenda nei particolari.

Finita la messa, mi reco subito dall’ospite, il cardinale Federigo, non conscio di ciò che mi aspetta, ma con qualche idea che mi ronza nella testa: sicuramente Renzo e Lucia hanno parlato, ed il cardinale Federigo, infatti, non mi ha smentito. Il cardinale va diretto al punto e mi chiede il motivo per il quale non ho riunito in matrimonio Renzo e Lucia; io esito nel rispondere e inizio ad arrampicarmi sugli specchi dicendo che ci sono stati troppi impicci; ovviamente lui mi riprende dicendo che non dovevo rifiutarmi, allora io gioco la carta dell’intimidazione e affermo che sono stato costretto ed obbligato a non farlo. Ma il cardinale non si accontenta di questa risposta, così cerco di tergiversare, moderando anche i miei toni e facendomi piccolo piccolo. Sottolineo che la mia stessa vita è stata messa in pericolo ma il cardinale mi risponde dicendo che non è una ragione sufficiente e mi dice addirittura che è un mio dovere unirli in matrimonio, un dovere legato all’abito che indosso, il quale non cessa dove inizia il pericolo. Il cardinale porta l’esempio di Cristo, che ha sacrificato la sua stessa vita per gli uomini: tutto ciò che mi dice, mi fa abbassare il capo, mi sento “come un pulcino tra gli artigli di un falco”, immerso in un’aria che non mi è familiare; ammetto i miei torti ma sottolineo nuovamente che colui con il quale mi scontro non ammette sconfitte. Il cardinale continua  a dire che proprio la sofferenza è legata alla nostra missione di servitori di Dio. Dentro di me ho una sorta di rabbia perché, in fondo, il cardinale ha “più a cuore l’amore di due giovani che la vita di un sacerdote”: ammetto allora di non essere un uomo coraggioso, ma lui rincara  la dose dicendo che dovevo pensarci prima di prendere i voti. L’ultima sua domanda è: “Che cosa hai fatto per loro?”, io abbasso la testa e resto in silenzio, sapendo che il rimorso mi avrebbe tormentato per il resto dei miei giorni…

 

L’ ARRIVO DEI LANZICHENECCHI 

Durante la fuga dal paese, 16 Marzo 1628, h. 10.00     (Annalisa Catania)

Oggi, 16 Marzo 1628, io e Perpetua siamo in ansia per l’arrivo dei lanzichenecchi, per questo abbiamo deciso di andare al castello dell’innominato, facendo una breve sosta alla casa del sarto.

Le voci che da un po’ di giorni girano non mi fanno stare tranquillo, anzi devo dire che sono quasi terrorizzato dall’arrivo dei lanzichenecchi: saranno sicuramente moltissimi! Tutti stanno cercando di recuperare i loro oggetti e di andare in posti più tranquilli sulle montagne, io invece sto cercando di organizzarmi con Perpetua, d’altra parte non ho nessuno che pensi a me. Guardo dalla finestra e mi accorgo che se ne stanno andando via tutti, forse sono in ritardo! Urlo: “Perpetua Perpetua…aiutami!” ma lei gira per la casa cercando di arraffare qualcosa di utile per una fuga precipitosa, così mi assale l’ansia e inizio a pensare ai miei soldi e ai soldi di Perpetua…dove li possiamo nascondere? Forse sotto il fico. Non so cosa succede in questi momenti, non mi è mai capitato e non so nemmeno cosa devo portare. Continuo a urlare il nome di Perpetua e finalmente lei mi da retta ma trattandomi malissimo, ha già pensato a tutto lei, come sempre. Decidiamo di partire, anche se non sappiamo ancora dove andare…in montagna non sarebbe una buona idea perché so che i lanzichenecchi sono già arrivati lì. Mi iniziano a tormentare i miei soliti dubbi…abbiamo preso tutto o abbiamo dimenticato qualcosa? Ma subito smetto di pensarci perché noto che le persone che incontro per strada non mi rivolgono neanche la parola, mi dicono solamente che sono fortunato perché non ho una famiglia a cui pensare, di non lamentarmi tanto e di fare ciò che è giusto. Mentre camminiamo i miei pensieri aumentano e decidiamo di andare nella casa del sarto, il quale già ci aveva offerto la sua ospitalità una volta. Strada facendo, la vista di quei luoghi ci fa tornare a pensieri lontani, e speriamo solo di riposarci un po’ per poi continuare il percorso verso il castello di ***. Arrivati alla casa del sarto ci accolgono a braccia aperte e provano anche a tranquillizzarci dicendo che qui dovrebbe essere un posto sicuro. Pranziamo insieme con quel poco che rimane: quattro pesche, un po’ di fichi e il cibo che aveva portato Perpetua. Io sono stupito poiché mi mettono un tovagliolo ed un piatto di ceramica in un posto d’onore…mi sento proprio riverito! Parliamo un po’ e mi accorgo che sono tutti impauriti, anche se mi garantiscono che al castello dell’innominato troveremo sicuramente un rifugio sicuro. Comincio ad essere un po’ in ansia quindi decido di mangiare in fretta e di interrompere le conversazioni…voglio partire! Saluto il sarto che mi offre alcuni libri in volgare e riparto con l’animo un po’ più leggero. Prima di partire mi hanno detto che i lanzichenecchi non dovrebbero arrivare fino a lì, però dei pensieri continuano ad angosciarmi: come saranno questi lanzichenecchi? somiglieranno a dei diavoli? I racconti della gente mi fanno paura, e la mia paura aumenta se penso che ho solo Perpetua vicino a me, anche se lei prova a rassicurarmi dicendo: “s’ingegnano gli altri; ci ingegneremo anche noi; crede…che vengon per far la guerra a lei i soldati?” Ho notizie che altre persone hanno trovato rifugio al castello, speriamo non siamo troppi, dicono anche che tutto il suo personale è stato messo a disposizione di chi cerca rifugio, così come tutte le stanze del castello sono state allibite a ricovero. Sicuramente la conversione del castello mi verrà utile, d’altra parte questa è la mia unica speranza! 

 

Lecco, 13 Ottobre 1631 (Paschetta Alessia)

Caro diario, scusa se non ti aggiorno da un po’, ma questi giorni hanno fatto parte di una grande svolta nella mia umile vita terrena da curato di un paesino. Infatti qualche giorno fa il giovane Tramaglino, dopo mille peripezie e con fare un po’ burlesco e rispettoso, è venuto da me per la faccenda del suo sposalizio chiedendomi i concerti, ma io ricordandomi di quel piccolo screzio avuto con Don Rodrigo e i suoi due bravi, ho incominciato a tentennare, a trovare scuse e ho avvisato il giovane del fatto che a quel punto tutto il paesino avrebbe saputo del “rapimento”. Allora lui, dopo avermi ricordato con tono scocciato del mio mal di testa perenne, ha iniziato a parlottare qualcosa sul Suo avere misericordia verso Don Rodrigo e sul fatto che così avrebbe potuto maritarsi senza alcun problema; ma io comunque, non essendo sicuro dell’ ascesa al Signore di Don Rodrigo e avendo quindi ancora paura, ho cercato di rimandare il tutto e ci sono riuscito, infatti il ragazzo era uscito dalla mia chiesa stanco e scocciato.

Qualche giorno dopo però ho incontrato Agnese, la madre delle “sposa“ di Tramaglino, e anche lei cercava di convincermi a celebrare il parentado ma io non ho ceduto… fino a quando non è arrivato lo “sposo” che, con voce affannata ma speranzosa, ci ha detto dell’ arrivo del marchese, l’ erede di Don Rod

incontro fra il Marchese e Don Abbondio

rigo, Pace all’anima sua. Allora io, ancora scettico, chiesi a Tramaglino se questo nuovo marchese fosse della stessa pasta di Don Rodrigo e lui mi rispose che è una persona estremamente buona e che ne aveva già sentito parlare bene in giro. Dunque io, con aria sollevata, gli ho detto che se la provvidenza ci aveva raggiunti è stata una grande cosa, un po’ come la peste che come una scopa ha spazzato via certi soggetti che, altrimenti, non ce ne liberavamo più.

Nei giorni successivi ho ricevuto la visita del marchese che si è mostrato affabile e generoso, e, avendo saputo dal cardinale Federigo della persecuzione di Don Rodrigo ai danni di Renzo e di Lucia, mi chiede il modo per riparare ai torti subiti dai due giovani e io, con aria soddisfatta, gli ho suggerito di acquistare i loro beni ad un prezzo equo, cosa che ha fatto il giorno dello sposalizo. Circa un mese fa,finalmente, ho finalmente sposato i Tramaglino e, giuro sul mio abito talare, che per una volta nella mia umile vita mi sono reso conto di avere fatto la scelta giusta e mi sono sentito finalmente sollevato. 

matrimonio tra Renzo e Lucia