Blog di Gertrude

Monza, 5 maggio 1628, Ore:8.08   (Sara Monge)

 

Ciao, sono Gertrude, ma tutti mi chiamano “la Monaca di Monza”.
È mattino presto, mi sono appena svegliata e non so cosa fare. Mi è venuto in mente di scrivere un blog, perciò adesso vi racconto cos’è successo ieri… è stata proprio una giornata particolare.

 

Sono seduta su uno sgabello durissimo dritta dietro a una grata, con una mano bianchissima e languida appoggiata ad essa, con le dita intrecciate negli spazi vuoti. Nel mentre vedo entrare il padre Guardiano con due donne: una giovane e l’altra evidentemente più anziana. Tutte le persone mi chiamano “la signora”,mi portano rispetto e mi temono perché provengo da una famiglia molto importante, appunto il padre guardiano per parlarmi abbassa la testa, mette la mano sul petto e mi dice con un tono di voce basso e calmo “questa è la povera ragazza per la quale mi hai fatto sperare molto di poterle dare aiuto e proteggerla, l’altra è sua madre.” Le due iniziano a fare inchini e io con un cenno della mano le faccio smettere e mi rivolgo subito al padre Guardiano dicendo che fare favori ai nostri amici frati cappuccini è un piacere per me, ma voglio saperne di più di cos’è successo a questa povera ragazza che è perfino dovuta fuggire dal suo paese per venire fino a qua in convento a Monza. Agnese, la madre della giovane Lucia, inizia a parlare ma io mi sto innervosendo perché voglio farmi raccontare tutta la storia con tutti i particolari dalla ragazza, non dalla signora perché senza ombra di dubbio Lucia la racconterebbe molto meglio dato che ha vissuto questa disgrazia in  prima persona.  Così mando via Agnese e il padre Guardiano. Mentre i due escono io lo informo che alla vecchia e alla ragazza lasciamo la camera della Fattoressa che ormai è maritata e quindi se ne deve andare.  Rimaste sole, io e Lucia, iniziamo a parlare e più mi racconta più sono curiosa, cosi le chiedo di raccontarmi tutto nei minimi particolari. Lei all’inizio è stata abbastanza timida, ma poi, pian piano, si è lasciata andare e abbiamo dialogato per moltissimo tempo.  

 

 

 

Monza, 7 maggio 1628, Ore:3.52 (Sara Monge)
È notte fonda e non riesco a dormire, allora ho deciso di raccontarvi brevemente la storia della mia infanzia, capirete magari il motivo di qualche mio comportamento, ad esempio la curiosità…

 

Sono l’ultima figlia del principe ***, un gentiluomo ricco milanese. Quest’uomo era tanto bravo tanto menefreghista appunto già prima che io nascessi aveva deciso la mia sorte: dovevo diventare monaca o frate, in poche parole bastava la mia presenza. Non importava a nessuno di che sesso fossi, ancor di meno la mia volontà, l’importante era che facessi parte della chiesa. Quando sono nata hanno deciso di chiamarmi Gertrude perché è un nome portato da una santa. Mi ricordo ancora molto bene quel giorno, ero piccolina…

È mattino e vedo entrare mio padre nella mia stanza con dei regali, sono un po’ perplessa perché non c’è nessuna festività in questi giorni, ma sono comunque felicissima. Inizio a spacchettare e trovo delle bambole vestite da monache e anche dei santini che rappresentavano sempre delle monache. Ho intuito che era fatto apposta, ma non sono stata a farmi tante domande e ho iniziato a giocare. Mio padre mi guarda sorridendo, si gira e esce dalla camera.

Già da giovanissima mi hanno portato al monastero di Monza per imparare l’educazione e per autonomasia mi chiamano “la signorina”. Sono passati un po’ di anni nel monastero perciò devo diventare pure io una monaca come le altre. Ma prima di essere chiamata con il nome “monaca” dovevo essere esaminata da un ecclesiastico chiamato “il vicario delle monache” così è sicuro che ci vado di mia volontà e non obbligata da altra gente . Questo esame non poteva essere svolto, se non un anno dopo aver inviato a quel vicario il mio desiderio, con supplica per iscritto. Questa prassi veniva applicata con tutte le monache ovviamente. Dopo circa un anno dal l’invio della lettera mi avvisarono che c’era un’ultima legge, cioè che dovevo trascorrere un mese fuori dal monastero dove sono stata istruita,  perciò sono stata costretta a ritornare alla casa dove ho passato i primi anni della mia infanzia. Ma stavo cercando qualsiasi modo per non diventare monaca, perciò mi sono rivolta a una mia compagna, la quale mi ha suggerito di dire tutto a mio padre con una lettera. Ho tentato, ma non ho mai avuto risposta, forse non l’ha neanche ricevuta. Arrivò il mio temuto giorno… il ritorno a casa. Sono 8 anni che non tornavo, sono pena di gioia, ho quasi le lacrime agli occhi per la felicità, avevo avuto un po’ di malinconia in questi anni. Nei giorni trascorsi a casa spero di continuo di poter parlare con qualcuno, invece era peggio che in monastero!!! Nessuno mi rivolge la parola tranne un paggio che mi porta rispetto, non ce la faccio più. Segretamente io e il mio nuovo amico paggio iniziamo a scambiarci delle lettere, finché un giorno una cameriera mi sorprende piegare una lettera e incuriosita me la toglie dalle mani. Legge tutto e in seguito la consegna a mio padre. Sento già i passi del principe e inizio a tremare come come non mai, ero terrorizzata, non ho mai avuto così tanta paura. Sarebbe stato capace di tutto. Mi ha rinchiuso in una stanza sorvegliata dalla cameriera ficcanaso che ha scoperto delle lettere che mi scambiavo con il paggio. Tra l’altro, questa donna, era insopportabile, antipatica e permalosa. Mi sto sento in colpa perché non ho più notizie del paggio, ma immagino che non lavori più qua, mio padre, conoscendolo, l’avrà sfrattato. Passato un po’ di tempo capisco l’enorme errore che ho commesso e all’ora scrivo una lettera con sincere scuse a mio padre.

 

Ora cerco di prendere un po’ sonno che domani mattina mi devo svegliare presto. La prossima volta continuerò a raccontarvi la mia storia.